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Age d'or (L') - Age d'or (L')

Regia:Luis Buñuel
Vietato:No
Video:Mondadori Video (Il Grande Cinema)
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Luis Buñuel, Salvador Dali'
Sceneggiatura:Luis Buñuel
Fotografia:Albert Duverger
Musiche:Musiche da brani di Mendelssohn, Mozart, Beethoven, Debussy, Wagner, Van Parys e un pasodoble
Montaggio:Luis Bunuel
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Llorens Artigas, Jacques B. Brunius, Pancho Cossio, Simone Cottance, Caridad De Labarquesque, Xaume De Miravilles, Paul Eluard, Marie Berthe Ernst, Max Ernst Il Capo Dei Banditi,
Valentine Hugo, Lya Lys La Donna, Gaston Modot L'uomo, Pierre Prevert, Pruna, Lionel Salem
Produzione:Le Vicomte di Noailles (Francia)
Distribuzione:Cineteca di Bologna - Cineteca Griffith
Origine:Francia
Anno:1929
Durata:

60'

Trama:



Critica 1:2° film surrealista di Bunuel, ideato con Salvador Dali come Un chien andalou (1929), non ha una continuità narrativa anche se vi si possono individuare un prologo, un epilogo e un filo conduttore, l'amore folle che butta l'uno nelle braccia dell'altra un uomo (G. Modot) e una donna (L. Lys) che non potranno unirsi mai. Disponibile scena per scena alle più varie interpretazioni e in linea con l'ideologia surrealista, è un pamphlet visionario contro i pilastri della borghesia capitalista (la Chiesa, lo Stato, l'esercito) e sostiene che soltanto la forza sovversiva del desiderio e dell'amore è accettabile. Lo fa con un fuoco di fila di invenzioni visive fondate sull'esasperazione, l'indegnità, l'assurdo, pur rifiutando, in nome di un realismo "oggettivo", i procedimenti formali dell'avanguardia del tempo. "... è un'opera fortemente tesa alla creazione di un nuovo linguaggio, un linguaggio articolato secondo i dettami del Secondo Manifesto del Surrealismo di cui Bunuel e Dali furono tra i firmatari e che è contemporaneo al film.
Finanziato dal visconte Charles de Noailles che rischiò la scomunica, fu proiettato per 6 giorni allo Studio 28 di Parigi, bersaglio di un'incursione di squadristi di destra che lo devastarono. Pochi giorni dopo il prefetto Chiappe lo vietò. Uscì in pubblico soltanto nel 1950 a New York e nel 1951 a Parigi.
Autore critica:Auro Bernardi
Fonte critica
Data critica:



Critica 2:Il secondo film Buñuel lo può girare grazie al successo di Un chien andalou. Anche questa è un'impresa extraindustriale, frutto del mecenatismo del visconte Charles de Noailles. Il surrealismo ha ormai trovato nel trentenne spagnolo Luis Buñuel (Calanda, Aragona, 22 febbraio 1900) il suo vate cinematografico: se ne serve per le sue battaglie - memorabile sarà quella in occasione dei tumulti provocati dai giovani dell'Action française nel cinema dove si proietta il film - e lo serve nella sua ricerca di uno stile.
Dai 17 minuti (muti) del cortometraggio “benedetto” da Breton, passiamo ai 60 (sonori) di L'âge d'or, opera a modo suo regolare, che dispone di un bilancio di un milione di franchi e di un piano di lavorazione del quale sono previste quattro settimane in interni (nei teatri di Billancourt), alcuni giorni di esterni alla periferia di Parigi e un trasferimento a Cadaqués in Spagna per la sequenza iniziale.
Le circostanze non potrebbero essere più favorevoli. Il visconte ama le arti, non pone vincoli a Buñuel. Una libertà provvisoria, che ha tutta la precarietà dei fatti “irregolari” e tutta la bellezza dell'imprevisto e dell'infrazione. La libertà del surrealismo: un momento felice in cui il grido della ribellione può uscire non soltanto dalle pagine della letteratura ma anche dallo schermo di un'arte che i surrealisti considerano il mezzo espressivo più congeniale ai loro principi.
Nei confronti di Chien andalou, L'âge d'or si segnala per una organizzazione più rigorosa dei processi psicologici presi a oggetto del film. La libertà delle associazioni d'idee resta intatta, ma il ritmo al quale si susseguono - più disteso - permette allo spettatore di “leggere” meglio tra le pieghe degli eventi e di decifrarne con minore fatica (minore incertezza) il significato. Non è un caso che contro L'âge d'or si siano scatenati gli squadristi fascisti dell'Action française e non soltanto i borghesi offesi nel loro buongusto: ciò vuol dire che la provocazione politica ha colto nel segno. Qui si mette in discussione il potere, apertamente.
Sornione, secondo uno stile qui appena abbozzato (in attesa di precisarsi nei film maggiori, trent'anni dopo), Buñuel inizia con uno squarcio di documentario sugli scorpioni. Poi, sui dirupi di un paesaggio sassoso, vediamo un gruppo di vescovi assorti in preghiera. Nei pressi si aggirano folcloristici banditi. Uno di loro entra in una baita a scuotere i compagni, li trascina fuori, ma quelli cadono a uno a uno esausti (l'infrazione “tradizionale” e anarchica è fuori gioco). Un corteo di barche attracca in una insenatura. Ne scendono dignitari, militari, preti e suore. Passano davanti al luogo dove c'erano i vescovi: ci sono rimasti gli scheletri e i paludamenti (non è la vecchia Chiesa che conta, coi suoi riti, ma il nuovo potere economico-militare). Il dignitario in capo sta per pronunciare un discorso (vedremo che si tratta della posa della prima pietra della “ città eterna ”, simbolo del potere e della religione) quando un grido di donna lo interrompe. Una ragazza si dibatte per il piacere tra le braccia di un uomo. Gli scherani agguantano l'uomo, mentre la donna al gabinetto medita. La “città eterna” che ora stanno fondando può anche crollare (crollare nel desiderio dei ribelli). L'uomo è trascinato per le strade, la donna in casa si strugge per lui: va in camera sua, dove sul letto è sdraiata una vacca, siede davanti allo specchio, il vento (del desiderio) le agita i capelli. L'uomo mostra un documento ai suoi custodi, che lo liberano. “I marchesi X ” interrompe una didascalia “si apprestano a ricevere gli ospiti”, in una villa presso Roma (la “città eterna” sempre in piedi, eppure da sempre morta). Arriva anche l'uomo, che si sbarazza di alcune importune megere, e trascina in giardino la donna. Fremono d'amore, si abbrancano. Sul più bello li interrompono: il ministro vuole lui al telefono. L'uomo va, lo manda al diavolo, e quello muore, appiccicato al soffitto. In giardino, una orchestra suona (Wagner, Tristano e Isotta), finché il vecchio maestro barbuto non si secca e si allontana. La donna lo vede e lo bacia con trasporto. La gelosia sconvolge l'uomo che, a casa, sventra un cuscino di piume, getta dalla finestra un pino in fiamme, un aratro, un vescovo, una giraffa. Didascalia: “Tornavano i sopravvissuti del castello di Selliny”. Siamo alle sadiane Centoventi giornate. Il film si conclude con la figura dì Cristo che avanza sul ponte levatoio del castello, rientra per uccidere una ragazza insanguinata apparsa sulla soglia, ne esce vecchissimo. Una croce, brevissimi accordi di un paso doble.
Il 28 novembre 1930, allo Studio 28 (dove aveva trionfato Un chien andalou), cominciano le proiezioni del film, con l'esito che si è detto. Buñuel ha di nuovo levato un inno all'amore, inteso stavolta non solo come trasgressione della morale borghese ma anche come rivolta totale contro il potere. Il surrealismo come arma di lotta, e come beffa. Dunque, doppiamente intollerabile.
Autore critica:Fernaldo Di Giammatteo
Fonte critica:100 film da salvare,Mondadori
Data critica:

1978

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:
Autore libro:

A cura di: Redazione Internet
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