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Fratelli - Funeral (The)

Regia:Abel Ferrara
Vietato:No
Video:Columbia
DVD:Eagle Pictures
Genere:Drammatico
Tipologia:Spazio critico
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Nicholas St. John
Sceneggiatura:Nicholas St. John
Fotografia:Ken Kelsch
Musiche:Joe Dalia
Montaggio:Mayin Lo
Scenografia:Charles Lagola
Costumi:Mindy Eshelman
Effetti:
Interpreti:Christopher Walken (Ray), Chris Penn (Chez), Vincent Gallo (Johnny), Benicio Del Toro (Gaspare), Annabella Sciorra (Jeanette), Isabella Rossellini (Clara), Gretchen Mol (Helen), John Ventimiglia (Sali), Paul Hipp (Ghouly), Robert Miano (Enrico), Nicholas Decegli (Victor), Amber Smith (Brigette), David Patrick Kelly (Michael Stein), Patrick McGaw (The Mechanic)
Produzione:Mary Kane
Distribuzione:Life International
Origine:Usa
Anno:1996
Durata:

98'

Trama:

Johnny Tempio è un giovane mafioso che, all’uscita da un cinema dove ha appena visto un film con Humphrey Bogart, viene assassinato da un tipo che gli si è avvicinato con una macchina.
Per la famiglia Tempio, che pure è abituata alla violenza questo è il giorno più lungo, quello del funerale del ragazzo. I suoi fratelli Ray e Chez, insieme ai loro amici di famiglia e alle loro donne, sono tutti uniti intorno alla bara. Jean, moglie di Ray, chiede alla ragazza di Johnny, Helen, di trascorrere la notte con loro.
Ray, il capo di tutta la famiglia Tempio, rivive con la memoria il giorno in cui il padre, per la prima volta, gli ordinò di uccidere un uomo. Aveva solo tredici anni, e da allora è sempre vissuto in mezzo alla violenza. Jean lo prega di dimenticare l’accaduto e di seppellire il suo odio insieme al fratello, e di non cercare una vendetta che produrrebbe solo altro sangue. Ma il passato insegue Ray, e tutta la sua famiglia. Flashback: Johnny che fa il sindacalista, e sostiene gli operai contro i padroni. E quando Gaspare Spoglia viene dai Tempio per corromperli e farli passare dalla parte degli industriali, Johnny entra in conflitto con i fratelli. Quando poi Gaspare uccide l’amico di Johnny, Ghouly, che lo aveva insultato nel bar, Johnny diviene l’amante della moglie del boss mafioso, e questo provoca un ulteriore alterco, soprattutto con Chez, che lo insulta e picchia di fronte alla moglie Clara. Alla veglia funebre, Ray vuole vendicarsi e fa rapire Gaspare dai suoi. Gaspare nega fermamente di aver ucciso Johnny, ma Ray, benché convinto, alla fine, dell’innocenza di Gaspare, lo fa uccidere ugualmente. Poco dopo viene trovato il vero assassino, un ragazzo che Johnny aveva offeso pubblicamente. Ray se lo porta via con sé, e si fa giustizia. Il mattino dopo, Chez torna a casa sconvolto e, pistola nella mano, compie una strage familiare, colpisce Ray a morte e subito dopo si spara in bocca.

Critica 1:A metà degli anni '30 a New York, durante la veglia funebre, i fratelli Ray e Chez Tempio decidono di vendicare l'assassinio del più giovane Johnny. Più che un mafia movie, è una tragedia morale mimetizzata da film gangsteristico che fa irrompere il "sacro" (l'esistenza di Dio e quella del Male, l'etica cristiana, il libero arbitrio, la vendetta, il perdono, la carità) nei codici di un genere cinematografico. Scritto dal geniale Nicholas St. John, abituale collaboratore di Ferrara, e fotografato da Ken Kelsh su due tonalità dominanti (nero, verde), si conclude con una strage che l'avvicina ai massacri del teatro elisabettiano. Una delle novità del film che ha poco da spartire con quelli analoghi di Coppola e Scorsese, è il ruolo positivo, antagonistico e rivelatorio delle mogli. Passa attraverso loro la critica laica (o protestante?) al familismo amorale di fondo cattolico/mediterraneo che è alla radice del costume e della mentalità mafiosa. Straordinaria compagnia di attori.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Una notte sola e sei flashback: è in questo spazio angusto di una veglia funebre e della memoria che si consuma la tragedia dei tre fratelli Tempio, criminali italo-americani senza redenzione e, letteralmente, senza storia. Perché la loro storia è già stata scritta, nella memoria di Ray, nella pazzia di Chez, nell’idealismo sul generis di Johnny: una storia che è un intreccio pazzesco di imposizioni culturali (dal cattolicesimo, all’ebraismo, alla "onorabilità" mafiosa, addirittura al comunismo), che non lasciano nessuna libertà di scelta. "Se faccio una cosa sbagliata è perché Dio non mi ha dato la grazia", dice Ray alla moglie in un momento della lunga notte. "Se questo mondo fa schifo è colpa sua". E Chez, alla moglie che tenta di convincerlo a curarsi per trovare pace: "Se Dio mi voleva in pace ci pensava lui". E quello che vale per il Dio del cattolicesimo, vale quasi certamente per tutti gli altri santi e dei del mondo nero e disperato di Abel Ferrara. Vale per la santa Agnese protettrice della purezza decapitata perché aveva rifiutato la corte di un signore, per la santa belga che protegge i malati di mente, per i crocefissi e le immagini sacre che costellano le inquadrature e talvolta si mescolano a simboli di scongiuro pagano (come il corno nella catenina al collo di Isabella Rossellini), per il dio del marxismo e quello dell’ebraismo che, coniugati con l’ideale mafioso, impongono solo di seguire una strada tracciata nel sangue e nella violenza. Johnny esce da una riunione sindacale e va a massacrare i corrieri ("operai" anche loro) che trasportano il carico di una banda rivale. Chez cerca di redimere una giovanissima prostituta ma, visto che lei non accetta la salvezza per cinque dollari, per venti dollari la consegna brutalmente all’inferno e la sodomizza. Ray (il maggiore, depositario della legge di famiglia) paga per sempre la sua "maturazione" a tredici anni (quando, con il "bar mitzvah", un ragazzo diventa grande) e la scelta fatta allora, di uccidere con un colpo secco, uno solo, un nemico legato a una sedia in uno scantinato. "Puoi ucciderlo o lasciarlo libero. Ma se lo lasci libero tornerà a vendicarsi di noi", gli aveva detto il padre, l’altro, ossessivo intermediario tra la legge di famiglia e i tre fratelli, l’altro cadavere che pesa nei ricordi, che si è sparato una fucilata, e perciò, lui sì, è in pace (come dice Chez). Nessuna via di fuga, tranne la morte. Forse Chez, il pazzo con gli occhi tristi da ragazzino, con la sua strage ha rotto la spirale. Fratelli di Abel Ferrara non è solo un film sulla mafia, su un’eredità familiare incancellabile e opprimente (quel bossolo esploso che il padre consegna a Ray – "Portalo sempre con te; niente ti costerà mai di più" –, e che Ray seppellisce, dopo la vendetta, nel cadavere di Johnny), sulle guerre tra bande per il potere (potere limitato e illusorio; quello vero, come sottolinea Ray, sta da un’altra parte, per esempio alla Ford), sulle connivenze storiche tra mafia e sindacalismo, su un ideale maschile di "eroismo" violento e una pietà femminile dolorosa e accorata che può solo aspettare che tutti i lutti del cielo si compiano. Se lo è, lo è in maniera certamente inedita, senza alcuna traccia di romanticismo, senza alcuna giustificazione morale, neppure quella morale atavica e antisociale che spesso forma la stoffa degli eroi di massa. Nell’attacco, folgorante, vediamo il primo piano di Humphery Bogart in La foresta pietrificata e Johnny che guarda il film, sfiorato dal cono di luce del proiettore. Un gangster mitico dello schermo (il film di Mayo è del ’36 e, oltre a essere il primo successo di Bogart, introduce sfumature dialettiche e antieroiche nella fisionomia del gangster) e un giovane gangster convinto che siano la radio e il cinema a tenere ancora in vita l’America. La connessione romantica è inevitabile; solo più tardi scopriremo, dalle chiacchiere dei luogotenenti dei Tempio, che Johnny è stato ucciso proprio all’uscita del cinema. Ferrara non forza la vicenda in senso "mitico"; se mai, si limita a far storia: anche Dillinger fu ucciso dall’Fbi all’uscita di un cinema, dove aveva visto il gangster Clark Gable salire alla sedia elettrica in Manhattan Melodrama (Le due strade, 1934) di Van Dyke.
Una fine quasi naturale per il più idealista dei Tempio, che talvolta gioca a fare il bandito gentiluomo e che, alla sua maniera contraddittoria, è impastato di mito americano. Ma anche le leggende, ormai, nel cinema di Ferrara oppresso dalla colpa, sono esaurite; non è più tempo d’ eroi (o di antieroi, come era ancora negli anni Settanta, per esempio nel Dillinger di John Milius). Come dice Annabella Sciorra, la moglie di Ray, invitando con amarezza la fidanzata di Johnny a festeggiare la sua morte e la propria fortuna: "I Tempio sono affascinanti, e noi ci caschiamo. Ma sono criminali, e non c’è niente di romantico in questo". Questi "bravi ragazzi" la loro partita l’hanno già giocata, probabilmente prima di nascere. Possono solo andare avanti per una strada predestinata. Un destino che si concretizza nella propria forma ineluttabile e mortuaria proprio quella notte: una notte di veglia funebre nella quale tutto sfuma nella ritualità della famiglia, o delle "famiglie", famiglia di sangue da una parte, con i suoi bambini inconsapevoli, le sue donne accasciate e i suoi rosari che, si sa, serviranno a ben poco; e famiglia di mafia dall’altra, che esige la vendetta.
Ferrara non concede vie di fuga ai suoi personaggi fin dalla struttura del film; li chiude infatti implacabilmente in quell’unica notte, dal tramonto sottolineato dalla voce di Billie Holliday, con l’arrivo della salma di Johnny in casa Tempio, al mattino successivo, quando Chez va a seppellire il cadavere dell’assassino di Johnny, poi torna a casa e compie la sua strage davanti alla famiglia riunita per la colazione. Le fughe sono solo quelle dei ricordi, assillati anche questi dal lutto, tutti circoscritti e tesi inevitabilmente a quell’unico punto. Per questo Fratelli (fin dal titolo originale, The Funeral, che sottolinea immediatamente la claustrofobia dell’insieme, mutato in Fratelli probabilmente per ragioni superstiziose) non è solo (e neppure soprattutto) un film sulla mafia, bensì un’inevitabile tragedia familiare, una rincorsa di hybris e nemesis scatenatasi indietro nel passato (un passato certamente anteriore a quel primo delitto di Ray adolescente) che giunge finalmente a compimento. Come ha scritto Roberto Escobar, ai fratelli Tempio "non è concesso di riscattare la loro condizione con altre e diverse azioni. Come capita agli eroi tragici, possono opporre alla necessità niente più che il coraggio impotente della consapevolezza. In ogni caso, per quanto facciano e dicano, sanno che l’unica libertà che loro appartenga consiste nel cercare di mettersi all’altezza del fato (...). Qualunque cosa abbiano fatto, qualunque cosa facciano questa notte, i fratelli Tempio pagano una colpa che non è la loro, e che si può esprimere come trionfo "cosmico" della morte. L’inferno ci attende, dice Ray all’assassino di Johnny pochi istanti prima di sparargli: dunque, conclude, conviene abituarcisi subito, adesso. Oppure, come direbbe Chez, si può anticipare l’inferno, si può eludere la circolarità interminabile della morte scegliendo la morte.
Autore critica:Emanuela Martini
Fonte critica:Cineforum n. 358
Data critica:

10/1996

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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A cura di: Redazione Internet
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