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Udienza (L’) -

Regia:Marco Ferreri
Vietato:No
Video:Videoluce
DVD:
Genere:Commedia
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Raphael Azcona, Marco Ferreri
Sceneggiatura:Marco Ferreri, Dante Matelli
Fotografia:Mario Vulpiani
Musiche:Teo Usuelli
Montaggio:Giuliana Trippa
Scenografia:Luciana Vedovelli
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Claudia Cardinale, Dante Cleri Alain Cuny, Daniele Dublino, Vittorio Gassman, Enzo Jannacci, Irene Oberberg, Michel Piccoli, Sigelfrido Rossi, Ugo Tognazzi
Produzione:Franco Cristaldi per Vides
Distribuzione:Istituto Luce
Origine:Italia
Anno:1971
Durata:

112’

Trama:

Per quanto diretto con uno stile sobrio e asciutto, questo film non cela le sue intenzioni satiriche che, tuttavia, non vengono sorrette da adeguate scelte espressive. La figura moralmente ambigua del protagonista - che ama la voce di Papa Giovanni XXIII e si reca all'udienza con "Play-boy" in tasca; che brama colloquiare con Paolo VI onde rivelargli ineffabili segreti e nel frattempo accetta la "protezione" di una "squillo" - non può dare consistenza né al clima di coartazioni kafkiane derivanti dall'oscuramentismo religioso o dal Potere in generale, né a polemiche dottrinali. Svuotato di vigore il dramma del personaggio-chiave a causa del nulla verso cui i suoi ingenui sforzi tendono, la galleria del personaggi che lo avvicinano appare gratuita, banalmente allusiva, più prossima alla barzelletta volgare che alla realtà effettiva; e lo spettacolo risulta discontinuo e inconcludente. Se la pellicola vuole essere, come alcuni sostengono, una denuncia e una polemica anticlericale, non si può dire riuscita, perché basata su una storia che, se da un lato appare incredibile, dall'altro, anche sforzandosi di darle un significato emblematico, perde il vigore anticlericale propostosi. L'ipotesi (un privato cittadino che vuol parlare col Papa rischia di essere preso per matto e per un pericoloso fanatico) potrebbe infatti essere applicata a qualunque altra situazione analoga. E' per questo che il film va preso per quello che è realmente: o un tentativo di polemica mal posto e mal riuscito, o un divertimento assurdo. Un film da non prendere sul serio in ambedue le ipotesi. Nella prima, infatti, la polemica risulta inconsistente e immotivata; cioè non seria. Nella seconda si tratta di una barzelletta.

Critica 1:Amedeo (E. Jannacci), mite ufficiale in congedo, va da una città del Nord a Roma per parlare col Papa, a quattr'occhi, "anche nel suo interesse". Ci prova inutilmente per mesi finché una notte, malato di polmonite, muore davanti a un palazzo pontificio. Kafka (Il castello) c'è, ma è lontano. Tutto è realistico e diretto, legato a una precisa realtà, nulla è metaforico in questo film, scritto da Ferreri (1928-97) con Rafael Azcona e Dante Matelli, che pure è una sola grande metafora, leggibile a tre livelli: 1) politico: sul potere; 2) religioso: lo "scandalo" è raddoppiato perché, per un credente, il Papa non è un potente qualsiasi, ma fratello e padre, rappresentante del Cristo in Terra; 3) psicanalitico: un'affannosa e tormentata ricerca del padre. Tenero e atroce, allegramente beffardo nei toni e amaro nel fondo, tutt'altro che pessimista, ha la traiettoria di una sassata. Non mancano le scorie e i momenti incerti, ma poco intaccano la sostanza di un film importante e sottovalutato.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Un giovane a nome Amedeo, di cui sappiamo soltanto che è di origine provinciale e che è ufficiale in congedo, viene a Roma con la fermissima intenzione di parlare al papa. Cos'ha da dire Amedeo al santo padre? Non lo sappiamo, non lo sapremo mai, per colpa, appunto, del pontefice o, meglio, dei burocrati che lo circondano e che impediscono a Amedeo di arrivare fino a lui. Certo, giudicando dall'aspetto piccolo borghese di Amedeo, si pensa che ciò che vorrebbe dire al papa non potrebbe non essere insieme cervellotico e insignificante. Ma quella sua stessa così tipica mediocrità fa anche pensare che Amedeo potrebbe invece comunicare al papa qualche cosa di estremamente importante; quello appunto che la massa, di cui Amedeo è un perfetto rappresentante, direbbe al pontefice se potesse avvicinarlo. Amedeo è testardo; ma la sua ostinazione cozza contro insuperabili barriere burocratiche e fideistiche. Fallito il tentativo di prendere di sorpresa il papa durante una normale udienza, Amedeo si stabilisce a Roma, organizza nuovi piani. Un commissario della polizia vaticana, certo Diaz, vuol fare il furbo con lui, gettandolo tra le braccia di una sua confidente nonché squillo di lusso, Aiche. Ma Amedeo, nella sua monomania, si rivela il più forte: fa innamorare la povera ragazza, la mette incinta, continua imperterrito nella sua impresa. Tuttavia, come al protagonista de Il castello di Kafka, avviene a Amedeo, quanto più cerca di avvicinarsi al papa, tanto più di allontanarsene. Lo vedremo via via passare per svariati uffici vaticani, ricevendo dovunque dei rabbuffi. Un principe misticheggiante e neofascista, un famoso teologo belga gli daranno qualche speranza. Alla fine, abbandonato da tutti, perfino dalla buona Aiche, Amedeo cadrà morto sotto il colonnato di San Pietro. Al commissario Diaz, accorso presso il cadavere, ecco, d'improvviso, si presenterà un giovanotto molto simile ad Amedeo, con la frase rituale: «Vorrei parlare al papa...».
Abbiamo fatto il nome di Kafka per questo nuovo film di Marco Ferreri, L'udienza. Effettivamente lo schema è molto simile a quello de Il castello: il vano sforzo di avvicinare un personaggio autorevole e trascendente, il vano anelito ad una illuminazione definitiva. Ma c'è una differenza significativa: ne Il castello, il mito del castellano inavvicinabile nasce da una serissima nostalgia di trascendenza, in un ambiente però fantastico. Invece ne L'udienza, mentre l'ambiente è quello reale e storico della Chiesa, con la sua burocrazia e i suoi riti; la nostalgia di trascendenza, ridotta a fissazione, non è né seria né presa molto sul serio. Ne seguono vari effetti. Il principale è che il personaggio di Amedeo, così meschino e così ridicolo, non può funzionare da pietra di paragone delle secolari insufficienze della Chiesa (oggi si direbbe che non demistifica la Chiesa) e serve soltanto a Ferreri per acquerellare una serie di quadri irriverenti e divertenti della vita ecclesiastica a tutti i livelli. Curiosamente, Ferreri che nei suoi film più astratti, come per esempio Dillinger è morto, ha dato prova di un umorismo corrosivo, qui, alle prese con la realtà del cattolicesimo, si dimostra meno amaro e aggressivo, anche se, forse, più sottile. Del resto, questa modificazione era probabilmente inevitabile con un personaggio programmaticamente devitalizzato come Amedeo. In certo modo la Chiesa appare esangue e senile, in questo film, proprio perché Amedeo è anch'esso esangue e senile, e viceversa. Semmai va notato che, forse per la prima volta nella sua opera, Ferreri ha affrontato un tema relativamente attuale, giudicando, diciamo pure, da italiano, la massima e più antica istituzione d'Italia. E significativo che il sentimento misto di antica delusione e di rabbia sempre nuova del regista si sia incarnato nel personaggio provinciale di Amedeo, quasi a indicare che il fanatismo religioso sarebbe oggi un fenomeno di sottocultura. Enzo Jannacci ha interpretato la parte di Amedeo con un accorto dosaggio di melensaggine e di ossessione. Claudia Cardinale, una Aiche molto «romana», ha dei buoni momenti e così Ugo Tognazzi in quella del commissario Diaz. Accanto a loro, bisogna ricordare Vittorio Gassman, un caricaturale principe romano; Michel Piccoli efficace nella parte di Padre Amerigo; Alain Cuny incisivo in quella del gesuita belga.
Autore critica:Alberto Moravia (sta in Moravia al/nel cinema, fondo A. Moravia, 1993)
Fonte critica:L'Espresso
Data critica:

9/4/1972

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:
Autore libro:

A cura di: Redazione Internet
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