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Casa Howard - Howards End

Regia:James Ivory
Vietato:No
Video:Panarecord, De Agostini
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Letteratura inglese - 900
Eta' consigliata:Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori
Soggetto:Tratto dal romanzo omonimo di Edward M. Forster
Sceneggiatura:Ruth Prawer Jhabvala
Fotografia:Tony Pierce-Roberts
Musiche:Richard Robbins
Montaggio:Mike Sharing
Scenografia:Luciana Arrighi
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Emma Thompson, Anthony Hopkins, Vanessa Redgrave, Samuel West
Produzione:Ismail Merchant per la Merchant Ivory Productions; coproduzione Ann Wingate
Distribuzione:Cineteca dell'Aquila
Origine:Gran Bretagna
Anno:1991
Durata:

145'

Trama:

Nei primi del '900, in Inghilterra, dopo il mancato fidanzamento fra Paul Wilcox, figlio di una ricca e formalista famiglia edoardiana, ed Helen Schlegel, intellettuale e impulsiva, i rapporti fra le due famiglie si sono bruscamente interrotti. Una sera Helen, uscendo da un concerto, prende per sbaglio l'ombrello di un giovane, Leonard Best, che per riaverlo, la segue sotto la pioggia fino a casa, dove conosce la gentile sorella maggiore di lei, Margaret. Dopo qualche tempo, poiché Helen si tratterrà a lungo in Germania e Paul si trasferisce in Nigeria, cadono i motivi che avevano allontanato le due famiglie, e nasce una profonda amicizia fra la sensibile e aristocratica Ruth Wilcox (madre di Paul) e Margaret Schlegel, che, nonostante la differenza d'età, si comprendono e si apprezzano. Sentendo che la ragazza è addolorata per dover lasciare la casa in cui vive e non riesce a trovarne un'altra perché ha poco denaro, Ruth vuole condurla a Casa Howard, l'amato cottage di sua proprietà, nell'Hertfordshire. Però il precipitare della malattia che l'ha colpita le impedisce quel breve viaggio con l'amica, che le fa spesso compagnia. Prima di morire, Ruth scrive a fatica un biglietto, senza data e senza firma, in cui dichiara di voler lasciare Casa Howard a Margaret Schlegel. Ma il vedovo Henry, abile e ricco uomo d'affari riunisce i figli Charles e Paul, la figlia Evie e la nuora Dolly (moglie di Charles) e tutti sono subito d'accordo nel voler distruggere quello scritto "insensato" del quale Margaret ignora l'esistenza. Così vien fatto. Intanto Leonard Best, che ha sposato Jackie, una donna volgare a cui era legato da tempo e ha un lavoro modesto, rivede le sorelle Schlegel, le quali, per aiutarlo, chiedono consiglio ad Henry Wilcox, circa la solidità della ditta in cui il giovane è impiegato, e il finanziere risponde sicuro che tale società sta per fallire e che Best farà bene a licenziarsi al più presto. Leonard segue il consiglio e si rovina perché non trova altro lavoro, mentre il presunto fallimento non avviene affatto. Helen e Margaret sono addolorate per il danno causato al loro protetto, che rifiuta del denaro. Intanto Henry dona a Margaret una preziosa bottiglia del '700 come ricordo di sua moglie, e comincia a frequentarla. Improvvisamente le chiede di sposarlo perché si sente solo e Margaret accetta con grande ira di Charles perché questa borghesuccia prenderà il posto di sua madre. Intanto viene celebrato il fastoso matrimonio di Evie Wilcox e al ricevimento giungono improvvisamente Helen e i coniugi Best, cui la ragazza vuole procurare del cibo, perché sono affamati. Margaret si offre di ospitare i Best in albergo, ma Jackie, rimasta sola, si ubriaca, e vedendo Henry gli ricorda la loro antica conoscenza (è stato il suo amante dieci anni prima), mentre ora finge di non riconoscerla. Dopo una scenata fra Henry e Margaret, costei perdona il futuro marito e presto i due si sposano. Intanto Helen ascolta le malinconiche confidenze di Best; va in barca con lui sul fiume e finisce fra le sue braccia. Passano alcuni mesi, Helen è sempre in Germania e scrive solo cartoline, evitando di incontrare i parenti, che finiscono col pensare ad una malattia mentale, e perciò le danno appuntamento a Casa Howard, dove le faranno trovare un medico. Ma appena la ragazza arriva, tutto è chiaro: Helen è incinta di alcuni mesi, ma vuole restare sola ed essere l'unica responsabile, infatti Leonard è ignaro. I Wilcox sono indignati per la macchia sull'onore della famiglia, e Margaret chiede invano al marito di perdonare sua sorella, come lei ha perdonato lui. Intanto Best va a Casa Howard, per avere notizie di Helen, ma Charles, infuriato, prima lo schiaffeggia, poi gli va addosso percuotendolo con un'antica spada: nel trambusto Leonard viene schiacciato da uno scaffale di libri e muore. Il medico dice che forse era malato di cuore, ma Charles viene messo sotto inchiesta, dalla quale esce assolto. Frattanto Margaret ha deciso di lasciare il marito e dedicarsi alla sorella e al bambino. Dopo alcuni mesi, Henry, sapendo che i figli non tengono a Casa Howard, decide di darla a sua moglie, confessandole che era stata indicata come erede nel testamento di Ruth.

Critica 1:Dal romanzo omonimo (1910) di Edward M. Forster. Conflitto tra due mondi (due culture, due mentalità) all'interno della società londinese del primo Novecento: le due sorelle Schlegel della piccola borghesia colta e progressista e i ricchi, conservatori Wilcox, fondatori senza fasto né splendore dell'Impero. C'è anche una terza classe sociale, quella degli esclusi per censo ed educazione, rappresentata da Leonard Blast, povero e orgoglioso. La posta in gioco è Howards End, bella e scomoda dimora di campagna: appartiene ai Wilcox, passa in eredità a una delle due Schlegel e, infine, all'altra. Sotto la vernice di raffinata eleganza, è un film (e un romanzo) attuale: beni immobili, sicurezza finanziaria, compagnie di assicurazione che falliscono, conflitti tra femminismo e vita domestica, attriti tra classi sociali. Premio speciale a Cannes e tre Oscar: attrice protagonista (E. Thompson), scenografia (Luciana Arrighi) e costumi.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Howards End mette in scena con avvelenata sensibilità il binomio società/natura, costringendolo a dichiarare e produrre tutta la crudeltà che è capace di nascondere (quando sia favorito da particolari, privilegiate, condizioni) dietro la più spettacolare esibizione di “bellezza”. Il calligrafismo, che spesso viene imputato - e non sempre a torto - a James Ivory quale elemento estetizzante del suo cinema, piacere della ricostruzione e della riproduzione ambientale, che finisce per sovrastare e mettere la sordina all'intenzione critica sottintesa, qui viene brillantemente superato, grazie alla perfetta adesione raggiunta tra immagine e discorso.
La centralità narrativa di Howards House non solo non si trasforma in un alibi per scivolate decorativo-antiquarie, ma chiama in causa senza esitazione un'altra centralità, quella dialettica, che ne fa a tutti gli effetti il luogo destinato, dove le contraddizioni dapprima vengono in superficie per poi ritirarsi sullo sfondo, senza in realtà risolversi. Questa casa di campagna, circondata da un paesaggio che deve il suo indiscutibile fascino all'azione combinata tra libera energia naturale e intervento “educatore” dell'uomo; questo nido, che Ruth, prima moglie Mr. Wilcox, ha sicuramente amato molto più che non il marito e gli stessi suoi figli; questo regno dell'ambiguità (familiare, sociale, morale) viene accarezzato dalla macchina da presa nei suoi interni ma soprattutto negli esterni, con una complicità che da sospetta diventa, nel dipanarsi della vicenda, apertamente fasulla. E la smagliante fotografia di Tony Pierce-Roberts (lo stesso di Camera con vista), capace di esaltare il colore incantevole dei fiori, il volume della vegetazione cangiante nelle sfumature e nelle forme, si presta sapientemente al gioco ingannevole della seduzione estetica, che deve fare da contrappunto a quello ben altrimenti feroce della sopravvivenza nel meccanismo dei rapporti sociali.
Anche geograficamente, del resto, Howards House non è poi così distante dalla metropoli che ne dovrebbe costituire il polo antitetico. Il cordone ombelicale costituito dai mezzi di trasporto più moderni (illuminante la battuta della zia di Meg ed Helen, quando ricorda di Howard House soprattutto l'orribile passaggio in automobile che ve l'ha condotta) ne facilita il raggiungimento, al punto di renderla quasi un sobborgo della città. L'immagine di rifugio, di salvezza, che dà di sé diventa dunque sempre più illusoria; gli elementi a suo carico si accumulano, la sua funzione metaforica di falsa coscienza si fa evidente.
A Ivory, però, non interessa il cinema a tesi. Fortunatamente. Un altro elemento che avrebbe potuto spingere il realizzatore a una lettura preventiva di questo tipo è da vedere nella chiarezza con cui sono individuati i milieu sociali di appartenenza dei protagonisti. La vicenda mette in relazione - secondo lo schema del “triangolo”, tipico del dramma borghese, si potrebbe dire - tre ceti sociali, esemplificati da tre distinte famiglie: l'alta borghesia affaristica, la media borghesia colta e “democratica”, il proletariato in colletto bianco, distante anni luce dalle prime due nonostante i suoi pietosi tentativi di frequentazione. Facile intuire, una volta contestualizzata storicamente la vicenda, chi dei tre sia destinato a funzionare da intruso, con l'obbligo di farsi parte per salvare il rapporto, complicato ma legittimo, degli altri due.
Ebbene, nonostante la precisione con cui sono descritte tutte queste distinzioni sociali e le relative connotazioni ideologiche di cui i relativi appartenenti sono portatori, il film sfugge miracolosamente alla trappola delle facili schematizzazioni. È l'interesse portato prima di tutto alla ricchezza psicologica dei personaggi e alle sfumature in cui questa si stempera, nel variare molteplice dei rapporti che si intrecciano tra loro, a mantenerlo sulla pista giusta. (...)
Tornando a Howards End e ai suoi personaggi, occorre riconoscere che, per articolazione di sceneggiatura e per complesso equilibrio di messinscena, il film ci comunica la sensazione di un Ivory in vero e proprio stato di grazia. La disinvoltura con cui, dopo un'astuta serie di “false partenze” (in realtà, disseminazione di elementi da cui prenderanno forma le vicende parallele, necessarie all'evoluzione della principale), conduce i due protagonisti, Margaret e Mr. Wilcox, nelle reciproche braccia è solo la premessa della misura con cui il complesso organismo dei rapporti familiari e sociali, di cui la coppia fa parte, viene colto, a partire da questa svolta cruciale, nel suo sviluppo drammatico, contradditorio e vitale.
Henry Wilcox, cinico rappresentante della rispettabilità che deve contraddistinguere la sua classe sociale, firma la sua resa nel momento in cui abbandona momentaneamente il gruppo degli amici per accostarsi a salutare Margaret ed Helen, che neppure l'avevano visto. Che cosa lo ha spinto a fare ciò? Forse ha già colto, senza capire, quel portamento che fa di Margaret qualcosa di più dell'amica prediletta della defunta Mrs. Wilcox negli ultimi tempi della sua vita? quel particolare misterioso che impressionerà la vecchia governante di Howards House, facendole credere di rivedere in Margaret la stessa Ruth Wilcox? Henry Wilcox nasconde nell'oscurità del suo spirito una sensibilità, che la convenienza sociale non gli ha mai concesso di esibire?
Margaret Schlegel, da parte sua, è effettivamente l'alter ego di Ruth Wilcox, una sorta di suo “perfezio-namento”; efficacissima organizza-trice della propria casa; portatrice di una completa padronanza di sé e delle proprie reazioni, che sa peral-tro condire con quel sense of humour capace di comunicare la sensazione della più spontanea naturalezza. Quando decide di raggiungere a Londra Mr. Wilcox, che le vuole mostrare la casa per un'eventuale proposta d'affitto, ha già compreso tutto; e nel momento in cui decide di diventarne la moglie, ogni suo comportamento si trasforma di con-seguenza, con la naturalezza (la crudele naturalezza, verrebbe da dire) di sempre. In più, rispetto a Ruth Wilcox, ha quella frequentazione della cultura che per l'altra era solo una graziosa velleità. Chi è e da che parte sta veramente Margaret Schlegel?
Intorno a Henry e Margaret, portatori di disordine, si muovono gli altri: quelli che hanno evidentemente sempre fatto riferimento solo alla loro apparenza, alla superficie dei loro comportamenti e dei loro discorsi. I figli di Paul, difensori a oltranza di quel perbenismo e di quella conservazione, dei quali hanno sempre visto nel padre il grande rappresentante. Helen, cresciuta davvero nel culto di un'emancipazione e di un anticonformismo, che nella convivenza con la sorella maggiore ha avuto modo di rafforzarsi come in una sorta di brodo di coltura. Tutti costoro entrano in rotta di collisione con i rispettivi depositari di ogni loro modello e convinzione esistenziali, dal momento in cui si ritrovano abbandonati alla propria irrinunciabile coerenza. La loro strada è segnata. In particolare, il destino di Helen e di Paul Wilcox è senza scampo; la prima sarà costretta a ripiegare, dai suoi battaglieri propositi di riparatrice dei torti prodotti dall'ingiustizia sociale, alla malinconica condizione di ragazza -madre - vedova, ospite a vita nella dimora dei principali responsabili di quell'ingiustizia; l'altro finirà in prigione, ironica vittima punita dal sistema delle leggi creato dalla sua stessa classe sociale, della cui rispettabilità ha voluto farsi, letteralmente, paladino.
Per Margaret ed Henry, Howards House costituisce infine una sorta di “terra di nessuno”, luogo giustamente delegato, nella sua affascinante doppiezza, a fornire rifugio al loro rapporto. Margaret ottiene, senza saperlo, ciò che le era dovuto (e non dubitiamo che, se lo avesse saputo, sarebbe riuscita ad ottenerlo comunque); suo marito accetta di rimanere con lei nella dimora che probabilmente ha sempre preferito, senza ammetterlo, fra le tante di sua proprietà. L'epilogo, però contiene una soffusa nota di precarietà, che ci tiene con i piedi saldamente a terra: la necessità formale di porre una conclusione al racconto si realizza proprio nel riconoscimento, in tono minore, dell'inafferrabilità dell'esistenza, della vita, che di quello ha costituito il principale ingrediente.
Di questo ammirevole ritratto di gruppo con paesaggio va senza dubbio cercato il merito anche nel lavoro di casting, che ha permesso l'accostamento pressoché perfetto degli interpreti, in parte già collaudati (Helena Bohnam Carter in Camera con vista, Joseph Bennett in Maurice, Vanessa Redgrave ne I Bostoniani), in parte alla prima esperienza con Ivory, (Emma Thompson e Anthony Hopkins, naturalmente, ma anche Samuel West, che era stato il giovane aristocratico di L'amico ritrovato, qui intrerprete del povero impiegato Leonard Bast). Su questa tavolozza ha lavorato il regista con la consueta sapienza, riuscendo a ottenere un risultato di altissimo livello corale; in particolare, il duo Thompson/Hopkins produce e comunica in diversi momenti un vero e proprio “piacere dell'interpretazione”.
Ma non è solo questione di attori. Ivory riesce a imprimere alla narrazione un ritmo particolare, fluido, avvolgente, ma capace di controtempi e di pause, in cui affiorano le contraddizioni più insidiose o i segreti che rendono più vulnerabili; in cui risaltano le sproporzioni tra gesto ed effetto, che traducono il grottesco in drammatico, e si dichiara lo spiazzamento morale che in particolari occasioni può consegnare il più forte all'ineluttabilità di un destino che lui stesso ha contribuito, senza saperlo, a indirizzare. Di fronte alla complessità della materia narrativa, e con l'aiuto di una sceneggiatura davvero all'altezza, il regista è riuscito a muoversi tra personaggi, ambienti, paesaggi e avvenimenti, mantenendo giusta distanza e - per così dire - giusta passione: Howards End è senza dubbio la miglior riuscita di James Ivory, fra le tre trasposizioni da Forster che figurano a tutt'oggi nella sua filmografia, e questo primato deve senz'altro molto proprio alla giusta movenza con cui il regista ha saputo, questa volta, attraversare il terreno insidioso del testo romanzesco preesistente. Nella produzione forsteriana, Howards end è uno dei risultati più complessi e maturi; Ivory ne ha tratto uno dei suoi film più ricchi e più proficuamente ambigui sia nei contenuti che nelle scelte formali.
Autore critica:Adriano Piccardi
Fonte critica:Cineforum n. 319
Data critica:

11/1992

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:Casa Howard
Autore libro:Forster Edward M.

A cura di: Redazione Internet
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