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Sciuscià -

Regia:Vittorio De Sica
Vietato:No
Video:General Video, Swan Video, Skema, Fonit Cetra Video, Ab Video, Videogram, Mondadori Video, Domovideo, San Paolo Audiovisivi
DVD:Klf music
Genere:Drammatico
Tipologia:Diritti dei minori, Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole elementari; Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori
Soggetto:Sergio Amidei, Vittorio de Sica, Adolfo Franci, Cesare Giulio Viola, Cesare Zavattini
Sceneggiatura:Sergio Amidei, Vittorio de Sica, Adolfo Franci, Cesare Giulio Viola, Cesare Zavattini
Fotografia:Anchise Brizzi
Musiche:Alessandro Cicognani
Montaggio:Nicolò Lazzari
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Tony Amendola, Enrico de Silva, Leo Garavaglia, Irene Smordoni, Rinaldo Smordoni
Produzione:Paolo William Tamburella per Società Coperativa Alfa Cinematografica
Distribuzione:Cineteca Nazionale
Origine:Italia
Anno:1946
Durata:

95'

Trama:

Pasquale e Giuseppe sono due ragazzi legati da sincera amicizia che nel disordine del dopoguerra esercitano delle lucrose se pur non del tutto lecite attività. Coinvolti in una rapina vengono inviati al riformatorio in attesa di giudizio. Il tempo trascorre senza che i due ragazzi vengano giudicati e frattanto la loro vita nel riformatorio si fa sempre più penosa. Contornati da una massa di disgraziati, precocemente traviati, di cui soltanto pochi fanno eccezione e mostrano i veri sentimenti confacenti alla loro età, maltrattati talvolta ingiustamente e comunque sempre inumanamente dai guardiani e dai dirigenti, i loro animi si inaridiscono e anche la loro amicizia viene meno fino a culminare nel tragico finale dove uno dei due ragazzi perde la vita.

Critica 1:Due giovanissimi sciuscià (da "shoe-shine", lustrare scarpe) napoletani sognano di comperare un cavallo bianco tutto per loro e, per averlo, s'invischiano in un "lavoretto" per adulti che li porta in un carcere minorile. Uno dei film del neorealismo italiano più conosciuti all'estero (Oscar speciale 1947 per "la qualità superlativa raggiunta in circostanze avverse"): la sua polemica sociale non parte da un dato ideologico, ma da un motivo umano. In chiave di elegia populista Zavattini e De Sica tornano al mondo dell'infanzia che avevano già esplorato con I bambini ci guardano (1943).
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:L'inizio del film fa pensare non tanto al neorealismo, quanto piuttosto a un qualsiasi classico americano per ragazzi degli anni Trenta, con i piccoli protagonisti vocianti, molto ritmo, spazi aperti e un generale senso di allegria. L'infanzia ritratta da De Sica e, soprattutto, sceneggiata da Zavattini appare quindi ritratta in quella che dovrebbe essere la sua dimensione congeniale, immersa nel gioco e nel divertimento. Il cavallo bianco è per i due protagonisti non solo un semplice passatempo, ma diventa il simbolo del loro desiderio di cose belle e piacevoli, che dovrebbero essere parte della normalità per un bambino. Viceversa, la vita di Giuseppe e Pasquale è segnata da impegni più gravosi, a causa del particolare momento storico, l'immediato dopoguerra, e da una condizione sociale disagiata.
Il lavoro minorile non sembra fare scandalo: al contrario, i due appaiono ben consapevoli che una gestione oculata degli introiti come lustrascarpe, aggiunti ai piccoli scambi di borsa nera, possano permettere loro di coronare il sogno di acquistare il cavallo bianco, disponibili pure a mangiare di meno per non fare mancare nulla all'animale. Ma il loro sogno si scontra con le esigenze molto più prosaiche della realtà quotidiana.
Giuseppe deve badare al sostentamento della famiglia, e proprio un suo fratello maggiore lo coinvolge in un progetto criminale di cui faranno le spese solo lui e il suo amico Pasquale. Appare emblematico che i piccoli traffici quotidiani dei bambini diventino veri e propri reati solo con l'intervento degli adulti, i quali in tutto il film non sembrano mai avere un ruolo di riferimento e aiuto, ma piuttosto di indifferenza o addirittura di ostilità nei confronti dei più piccoli.
Il luogo emblematico in cui si esplica tale atteggiamento è sicuramente il carcere minorile, il cui direttore incarna perfettamente un'ideale di controllo e repressione: sciorina freddi dati sulla maggiore incidenza della delinquenza minorile, senza rendersi conto della difficoltà dei tempi in cui si muore di fame, esige disciplina e ordine. Il suo atteggiamento ancora intimamente fascista emerge quando confonde più volte il "lei " con il "voi", e addirittura risponde istintivamente al saluto romano di un inserviente. E' nel carcere che Giuseppe e Pasquale perdono l'unica cosa che ancora nessuno gli aveva sottratto: l'amicizia reciproca, e con essa la fiducia in una possibilità di riscatto e in un futuro possibile.
La scena della falsa tortura, che spinge Pasquale alla delazione per proteggere l'amico, l'influenza dei più grandi su Giuseppe, che diventa più ruvido e scostante, la scuola quotidiana della sopraffazione non possono essere bilanciate dalla pausa di divertimento di una proiezione cinematografica. Ma non appare casuale che proprio durante il film riesca la fuga, quasi a invocare una possibilità dell'arte di rompere, almeno simbolicamente, sbarre sempre più rigide. Ma la disperata fuga finale dei due protagonisti si risolve tragicamente: l'assenza di lieto fine, con Giuseppe che muore e Pasquale che sconterà per tutta la vita il rimorso, segna definitivamente la denuncia del film, con un'infanzia che non avrà futuro e i sogni del cavallo bianco che si allontanano per sempre.
Autore critica:Michele Marangi
Fonte critica:Aiace Torino
Data critica:



Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:
Autore libro:

A cura di: Redazione Internet
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