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Tre colori: film blu - Trois couleurs - Bleu

Regia:Krzysztof Kieslowski
Vietato:No
Video:RCS films & TV
DVD:San Paolo Audiovisivi
Genere:Drammatico
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Krzysztof Piesiewicz, Krzysztof Kieslowski
Sceneggiatura:Krzysztof Piesiewicz, Krzysztof Kieslowski
Fotografia:Slawomir Idziak
Musiche:Zbigniew Preisner
Montaggio:Jacques Witta
Scenografia:Claude Lenoir
Costumi:Virginie Viard
Effetti:
Interpreti:Juliette Binoche (Julie), Benoît Régent (Olivier), Florence Pernel (Sandrine), Charlotte Very (Lucille), Hélène Vincent (la giornalista), Philippe Volter (l'agente immobiliare), Claude Duneton (il medico), Hugues Quester (Patrice, il marito di Jillie), Emmanuelle Riva (la madre di Julie), Yann Tregouet (Antoine)
Produzione:Marin Karmitz, per MK2 Prods. - Ced Prods. - France3 Cinémal Cab Prods. - Canal Plus
Distribuzione:Academy
Origine:Francia - Svizzera - Polonia
Anno:1993
Durata:

99'

Trama:

Tutto è già accaduto. Il successo di lui, i momenti felici, la “loro" vita insieme. Lui, compositore di successo, giovane e brillante; lei, la sua compagna, la loro bambina. La strada che si lasciano alle spalle è breve è infinitamente lunga: forse compiuta. L'incidente è in agguato, persino prevedibile. L'auto esce di strada. La bambina e il marito muoiono. Per lei inizia l'educazione al dolore.

Critica 1:Dopo aver perduto in un incidente d'auto il marito, compositore di successo, e l'unica figlia, Julie (J. Binoche) tenta di ricominciare la vita da zero, senza elaborare nemmeno un po' il lutto, sbarazzandosi di tutto quel che la lega al passato. Aiutata dal caso, è risucchiata dentro la vita, decide di amare il prossimo. Riprende in mano e completa una partitura incompiuta del marito (un "Concerto per l'Europa"). Sceglie per il "Memento" del coro il tredicesimo capitolo della prima lettera di Paolo ai Corinti. 1? film della trilogia sui colori della bandiera francese (blu = libertà): coincide interamente con la protagonista (Kieslowski: "Voglio filmare la tua intimità") che, tolta una breve scena, è sempre presente sullo schermo. Gli altri personaggi sono funzioni narrative più che figure con vita propria. La musica ne è la forza trainante, e insieme il limite. Fa da cartina di tornasole agli intenti e alle teorie sociometafisiche che lo appesantiscono nella parte finale. "Un film all'europea, retorico e caricato, che nasconde un film kieslowskiano, crudo e cattivo... Questo (doppio) film è una polpetta avvelenata" (Bruno Fornara). Leone d'oro a Venezia ex aequo con America oggi di Robert Altman e meritata Coppa Volpi a J. Binoche. Distribuito in Italia come Film blu-Libertà.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Il blu è un colore immobile. Non viene dall'azzurro, non va verso il nero. Tra i colori della bandiera francese, Kieslowski ha scelto il blu per la sua nuova trilogia. È un colore freddo, che si chiude in se stesso. Come la protagonista del film. Quello che Kieslowski avrebbe potuto raccontare è prima del film e potrebbe iniziare dopo. Nel film c'è la ricostruzione di una persona all'interno di una personalità. È un film logicamente costruito sul non detto, su quello che non si può dire. Non per pudore, ma per realismo, o per consapevolezza dei limiti stessi del cinema, di un film. Film Blu è la descrizione partecipe (qualche volta compiaciuta) di un percorso interiore, dell'elaborazione personale di un dolore.
Così come in molti episodi del
Decalogo lo spunto di partenza è minimo, volutamente quotidiano. Piesiewicz, lo sceneggiatore-avvocato elabora una piccola storia di vita, Kieslowski sfrutta ogni vuoto, ogni debolezza del racconto per trasformarla in punto di forza di un film solido, definitivo. In Film Blu Juliette Binoche ci trascina con sé dentro la sua assenza (dal film, dalla vita, dalle relazioni con gli altri), senza escluderci. Il film sta tutto nel materializzarsi progressivo della solitudine che diventa una forza fisica, tangibile, acquista un proprio corpo nella misura in cui ne abbandona un altro. Lentamente, la Binoche ed il suo personaggio diventano un'astrazione, perdono corporeità, ma non diventano un'idea, si trasformano in un sentimento. Indefinibile, non ancora classificato.
Vivono, la protagonista e il suo sentimento, dentro, la violenta assenza degli altri, che loro stessi hanno fortemente voluto. L'attrice ed il suo personaggio hanno la stessa inaccettabile distanza di chi non conosce destinatari né destinazioni per i suoi pensieri. Gli scenari di Kieslowski-Piesiewiez sono altrettanti paesaggi dopo battaglie che nessuno ha combattuto. C'è un'aria di sconfitta iniziale, che non può che tradursi - al minimo scarto - in un piccolo riscatto.
Il film suscita diverse domande, sul piano della 'storia': è vero che è lei, la moglie discreta e bellissima, che ha sempre composto le musiche del marito? E, se è vero, perché lo ha fatto? Che cosa l'ha spinta a rimanere nell'ombra? Come si comporterà, adesso? Kieslowski propone questi interrogativi, ma non li porta fino in fondo. Preferisce proseguire nella catalogazione paziente degli istanti in cui si consumano intere esistenze, in cui si raggrumano i rapporti mancati, si sciolgono i legami inventati. "L'incerta chiarezza" poetica di Kieslowski, già messa in rilievo dalla critica a proposito del
Decalogo si fa qui più solenne, meno elementare. Anche un po' più retorica, probabilmente, rispetto a La doppia vita di Veronica.
Di
Film Blu si può mettere in dubbio l'ambizione eccessiva del presupposto iniziale: raccontare di un personaggio che si ritira dentro un nulla, un'atmosfera soltanto. Ma non si può non rimanere colpiti dalla sicurezza con la quale il regista porta avanti il suo progetto, senza esitazioni, con alcuni momenti di altissimo stile. Uno stile che ha bisogno, per esaltarsi, di sceneggiature particolari, sempre più semplici, minime. Lo stile di Kieslowski sta tutto nel contrasto che il regista forza, evoca, provoca - tra la vita dei suoi personaggi e il film che la racconta. I film di Kieslowski accolgono i personaggi; sono l'unica realtà che gli resta mentre la vita li disperde. La vita li fa scivolare via (gli uni rispetto agli altri, tutti insieme rispetto alla vita stessa) e loro non oppongono resistenza. Ma non c'è rassegnazione, piuttosto la certezza di un universo altro, il film appunto, che li lega, li tiene ancora dentro un mondo non più dispersivo, non più infinito.
La fuggevolezza del tutto trova un riscatto nella solidità di ogni inquadratura, nel suo porsi come un qualcosa di solido, un porto sicuro. Se nella vita che descrive i personaggi vanno verso un destino incerto, il film continuamente ripete loro che tutto può essere più bello. Non c'è simbolismo, in Kieslowski, nè una poeticità astratta. C'è piuttosto la capacità di dare ad ogni elemento del film una doppia vita. Così tutto quello che nel reale a cui rimanda ci parla di una sconfitta, della solitudine o della paura ci ritorna nello stesso tempo - in quanto parte del film - come il suo opposto. Se
Film Blu è un film sulla tristezza ed il suo alfabeto, non è un film triste. Certo, un film forte.
La Francia accoglie un altro autore imponendogli le sue regole e le sue star con naturalezza, come ha fatto con molti altri autori. E Kieslowski ricambia con questo primo episodio di una trilogia già prevenduta in molti Paesi. Tema centrale: il contrasto tra libertà e amore, dice Kieslowski, anticipando che lui sceglierà sempre l'amore. Ma sono parole, dichiarazioni d'intenti, interviste di lancio. Certo, se i film parlassero tra loro, se ci fosse un dialogo sotterraneo che li lega e lega i loro personaggi si potrebbe pensare che la Binoche ha trovato la forma e la spiegazione di quella frase che Leos Carax le indirizza nel suo
Mauvais sang: "Per sempre e mai". Può darsi che lei troverà un altro amore. Che - scoperto, abitato come se fosse un'isola in capo al mondo il lato invivibile della paura di essere soli - sia pronta per non esserlo mai più. O per sempre.
È una donna profondamente cambiata, quella che lasciamo alla fine di Film Blu. Non si porterebbe più con sé quell'unico oggetto fatto di scaglie colorate che l'ha seguita da una casa all'altra. Ha lasciato alle spalle tutte le certezze. Finalmente può intravvedere se stessa.
Autore critica:Paolo Taggi
Fonte critica:SegnoCinema n. 64
Data critica:

11-12/1993

Critica 3:Che attrice: in Trois couleurs. Bleu di Krzysztof Kieslowski, film imperfetto e bellissimo che fa dell’azzurro il colore della libertà, Juliette Binoche, sullo schermo dal primo all’ultimo minuto nel racconto che la elegge protagonista unica, offrendo la propria faccia a una macchina da presa che la esplora e denuda e le penetra persino nelle pupille, pronunciando pochissime parole e affidando soltanto all’intensità fisica l’espressione d’un sentimento ineffabile come il dolore, è davvero straordinaria. Che fosse molto brava, una ragazza piccola di statura capace per virtù di recitazione d’assumere grande autorità, un viso grazioso capace di diventare bellissimo, un corpo comune capace di massima seduzione, s’era già visto ne Il danno di Malle, ne Gli amanti di Pont Neuf di Carax, ne L’insostenibile leggerezza dell’essere di Kaufman: ma stavolta la prova è molto ardua, e pienamente superata. L’autoreclusione dalla vita, l’autocancellazione, la scelta di solitudine, il rifiuto degli altri (che sono adesso tentazione di molti, tentativo di alcuni) e l’impossibilità di liberarsi di se stessi, è il tema cruciale di Blu. Lavorando in Francia, il polacco Kieslowski dedica tre film intitolati ai colori della bandiera francese, ai principi di libertà, uguaglianza, fraternità proclamati dalla Rivoluzione francese ed essenziali per la civiltà europea, analizzandoli nella profondità degli individui anziché nelle implicazioni sociopolitiche: e Blu è il primo. Juliette Binoche, giovane signora ricca, moglie d’un celebre compositore impegnato a creare un Concerto per l’Europa e forse coautrice anonima della sua musica, vede morire in un incidente d’automobile il marito e la figlia di quattro anni. Devastata dal dolore, sola, senza parole e quasi senza lacrime, incapace di uccidersi, vuole liberarsi d’ogni memoria d’una vita annullata: mette in vendita le case, distrugge la partitura del Concerto a cui il marito lavorava, riprende il proprio nome di ragazza, allontana gli amici, scompare in un quartiere popoloso e popolare di Parigi dove nessuno la conosce, consuma giornate vuote, “ho deciso di fare niente, niente più conta”. Soltanto la musica e l’energia fisica non riesce ad annullare: le note le esplodono in testa a momenti, la vitalità si sfoga in lunghe nuotate, di notte, in un’azzurra piscina deserta. Ma la libertà individuale è troppo esigente, o non è praticabile, o non esiste: a poco a poco, diversi eventi (la scoperta d’una sussistente copia del Concerto che l’assistente del marito vuol completare, la scoperta che il marito aveva un’amante in attesa d’un figlio di lui) riconquistano la solitaria alla normalità quotidiana, la riportano a una vita che non sarà più felice ma forse neppure infelice. La conclusione enfatica del film, che accompagna con una musica trionfalmente mediocre una citazione dalla Lettera ai Corinzi (“Se non ho l’amore sono niente, l’amore è paziente e pieno di bontà, sopporta tutto, spera tutto, non perisce mai”), può essere la celebrazione della fine d’un lutto e del ritorno tra gli altri: ma può anche essere la registrazione d’una sconfitta o d’una menzogna, ci si può liberare degli oggetti e degli affetti, non del passato né di se stessi. Alcuni critici francesi hanno giudicato incongrue e dislocate l’ambientazione parigina, le caratteristiche di personaggi parigini. Possibile e irrilevante, mentre qualche cattiva influenza è magari riscontrabile nell’enfasi ambigua del finale: ma il talento e la profondità di Kieslowski e di Juliette Binoche hanno creato un gran film.
Autore critica:Lietta Tornabuoni
Fonte critica:La Stampa
Data critica:

6/9/1993

Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:
Autore libro:

A cura di: Redazione Internet
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