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Au hasard Balthazar - Au hasard Balthazar

Regia:Robert Bresson
Vietato:No
Video:San Paolo video
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Robert Bresson
Sceneggiatura:Robert Bresson
Fotografia:Ghislain Cloquet
Musiche:Jean Drejac da Sonata N. 20 di Schubert e Jean Wiener
Montaggio:Raymond Lamy
Scenografia:Pierre Charbonnier
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Philippe Asselin (Il maestro), Jean-Claude Guilbert, Arnold Pierre Klossowsky Il mercante, Francois Lafarge Gerard, Anne Wiazemsky Marie, Marie Claire Fremont, Walter Green, Nathalie Joyaut
Produzione:Parc-Film - Coproduzione Argos Parc Athos Svensk Film Industrie, Svensk Filminstituten
Distribuzione:Lab80
Origine:Svezia - Francia
Anno:1966
Durata:

95'

Trama:

Già compagno di giochi, durante le loro vacanze in un paese basco, di un bimbo pariginoJacquese dei suoi piccoli amici, l'asino Balthazar (è così che l'avevano battezzato) diventa, quando il fanciullo torna a Parigi, proprietà di una coetanea, Maria. Legata a Jacques da un'infantile "patto d'amore", costei, ormai adolescente, suscita la bramosia di Gèrard, un "blouson noir" sempre circondato da teppisti suoi pari. Indispettita con Jacques, tornato dopo anni in paese, e subito ripartito, Maria vende Balthazar alla proprietaria del negozio in cui Gèrard serve come garzone. Nelle mani del ragazzaccio (che riesce anche a sedurre Maria), il povero ciuco subisce ogni sorta d'angherie, fino a quando non viene dato a un alcoolizzato, Arnold. Perito Arnold per ubriachezza, Balthazar finisce in un circo, dove viene esibito come ciuco matematico; di lì, nelle mani di un avaro fabbricante di acqua minerale, che lo aggioga alla ruota di un pozzo; infine, di nuovo in possesso di Maria. Allo scopo di scagionare il padre della ragazza da una grave accusa, Jacques torna in paese. Rivede Maria: i giovani sembrano intenzionati a sposarsi. Recatasi da Gèrard per troncare definitivamente la loro relazione, Maria viene violentata da lui e dai "suoi"; anche per questo abbandona il paese e la famiglia. Suo padre muore e Balthazar resta alla vedova. Un giorno, Gèrard e un compagno rubano l'asino, caricandolo di merce di contrabbando; presso il confine, Balthazar viene ferito dai finanzieri e muore in mezzo a un gregge di pecore.

Critica 1:Una delle vette del cinema, e della visione pessimistica del mondo e dell'umanità, di Bresson che ha come punti di riferimento letterario Bernanos e Dostoevskij: è un mondo senza la Grazia osservato dall'occhio obiettivo di un asino; una riflessione cristiana (giansenista?) sull'esistenza del male; un viaggio sconvolgente attraverso i vizi umani narrato con un linguaggio spoglio e una concretezza che lascia parlare la realtà (le sue immagini) senza emettere giudizi. Lo scrittore Klossowski v'interpreta il mercante di grano. Esordio di A. Wiazemsky, futura interprete di Godard.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:In una lunga e illuminante intervista con Bresson Godard ha parlato a proposito di questo film di opera di arrivo “totale”; in effetti giungono per molti versi a definizione, forse anzi a conclusione alcune ricerche che si consolidano poi in Mouchette. Viene in luce più chiara infatti l'apparente contraddizione strutturale di un film calato nelle cose e nei fatti la cui tendenza però è verso la depurazione significativa, se non simbolizzante, in una dialettica tra realismo e astrazione che si è andata progressivamente delineando. L'andamento di parabola si coglie come primario, con le conseguenti operazioni di divisione, di dilatazione, di caricamento, di schematizzazione delle linee portanti; ma accanto, concomitante, vi è una forte spinta alla “collocazione”, al realismo si direbbe, il mondo si ispessisce invece di rarefarsi, si è scritto giustamente. Saranno le stesse valenze stilistiche di Mouchette.
Dal punto di vista tematico, sembra quasi che il negativo si dilati: dietro l'asse del rapporto tra scelta e preordinazione, tra il caso (che appare nel titolo) e la recettività assoluta, si avverte pieno il senso del reale subíto, il peso di una storia inevitabile e normale, secondo una definizione pertinente; il male, sempre più entità ontologica, e la violenza si ramificano, la morte o la “fuga” appaiono come il punto finale.
Stilisticamente, il perno è costituito dalla figura del testimone e dalla scansione allegorica delle sue “tappe”: “guardo con l'occhio di un giudice”, ha detto Bresson, sottolineando il fatto che quella che finora era stata una presenza corposa ma secondaria (il testimone, appunto) passa ad essere il polo di un'opera. Attorno a essa la tensione parabolica si articola e determina i ritmi interni. Su questa proposta il regista rischia l'evidenza didattica (i vizi - le tappe) o il parallelismo esplicito (la vita dell'asino - la vita dell'uomo), i contrappunti ideologici (quell'essere “candido” e “semplice” di cui parla il regista), la spinta rinforzante intellettuale (le reminiscenze bibliche, o colte). Dunque, un'operazione sottile, nella quale far intervenire l'abituale abbassamento, togliendo lo spessore drammatico, puntando all'osservazione: Balthazar è uno sguardo, ha scritto Ferrero.
Il problema era anche narrativo, di salvare l'uniformità (o l'unità) di fronte alla divisione in blocchi, le cui linee di incrocio potevano apparire o predeterminate o rischiosamente divergenti. Vi era poi un equilibrio da mantenere: da un lato c'è l'accentuazione di alcuni elementi “rituali” (il battesimo di Balthazar o - per altro
verso - il circo, la “ saggezza ” o la messa in scena), cioè un vero trasferimento segnico che carica gesti e significati ma contempora-neamente la struttura stessa esigeva che anche i gesti senza peso venissero inseriti nel complesso, con la loro non apparente liturgia significativa. Lo sforzo poteva rivelarsi preordinato, rendendo in-tellettualistico il tentativo di prendere “dal vivo” i significati se-condi. D'altronde, la rottura poteva anche attuarsi nel rapporto dif-ficile tra i diversi momenti che si contrappongono, ad esempio, tra proiezione soggettiva (Maria che accarezza Balthazar), l'ironia-realtà (i due ragazzi: “Come nella mitologia”), e poi l'urto (la se-quenza che segue, le motociclette che circondano la ragazza).
Il punto di sostegno è quello Maria-Balthazar, cui afferiscono i vari episodi, e in questa prospettiva quasi non contano le conseguenze temporali: les années passent dice semplicemente una didascalia all'inizio. Gli elementi di rinforzo della griglia principale sono di diverso tipo: narrativo, come per il momento di tensione-allentamento rappresentato dalle indagini attorno ad Arnold (il delitto non commesso); descrittivo, come per la collocazione “geografica” (i fatti, i lavori, i ritmi quotidiani, già intravisti nel Diario) o per quella sociale (la “povertà” della famiglia di Maria). Si giunge agli inserti didattici, che stridono nel contesto; è il caso del dialogo tra il pittore e il turista vicino alla cascata o del professore e l'allievo.
Avverti dietro un pessimismo che si radica e cresce. I destini si intersecano e “si ledono”, l'innocenza e la naturalità vengono violate, lo scacco è l'approdo, la morte di Balthazar riprende il peso iniziale (la bambina malata), diventerà il rifiuto di Mouchette; i legami col male, il continuo rimando sono in fondo la vera indecifrabilità. Lungo l'arco della parabola torna il tema dell'interferenza tra caso e scelte, e più ancora tra volontà e predeterminazione; è il caso che lega le “tappe” di Balthazar e le “avventure” di Maria, e c'è anche la volontà di questa di incidere, di cercare (la tensione, dunque). Il “sacrificio” è un passaggio; ma anche in questo film esso può forse assumere connotazioni non univoche, denotare inclinazioni verso una liberazione di ordine metafisico, avvalorato da accostamenti simbolici, da cariche semantiche implicite (i riferimenti biblici).
In fondo però è pur sempre la “perdita” il momento che più interessa, e già l'inizio lo fa intuire: la naturalità, l'amore (e talora i gesti convenzionali che lo caratterizzano), l'“ombra” che si proietta sul quadro (la malattia di Luisa). Poi lo sviluppo di queste premesse si amplia; sul piano dei soggetti gli altri si insinuano come negativo, la lettera contro il padre il Maria, il rapporto con Jacques che si incrina (“Fa che questa storia non si metta tra noi”, esclama Maria prevedendo le conseguenze). Sul piano dei fatti è il loro collegamento che ci sfugge, il loro costituirsi in legge che ci sovrasta; l'avanzamento della narrazione è anche questo manifestarsi come determinazione.
Su questa trama di motivi si muovono i personaggi, anzi, come forse ha giustamente precisato un critico, non personaggi, ma “segni individuali”, cioè corposamente emblematici, non “soggetti” drammatici. Maria, in parallelo a Balthazar, è l'asse ideologico del racconto, come lo sarà Mouchette del film seguente; la sua parabola è dall'innocenza alla fuga, articolando il tema della perdita. Disponibile, diventa progressivamente disincantata, “egli ama le sue sventure molto più di noi, ne ha bisogno”, afferma circa il padre. Alla radice c'è la sua ambivalenza, l'attaccamento a Balthazar e l'amore per Gérard, il naturale e l'attrattiva del male; la scena degli schiaffi e dell'abbraccio è quasi didascalica, ma piena di risonanze. (...)
(…) I brevi inserti descrittivi di luoghi di azione (il tribunale, il posto di polizia, o il mercato) acquistano una loro pregnanza proprio in virtù della cifra realistica: come gli oggetti, o i rumori (la campagna, il lavoro, la fatica, e ancora l'ostile); anche la musica interna al film dà sempre il senso dell'urto, della dissonanza (il transistor, la festa di Arnold).
Proprio per questo fa da contrasto col pianoforte della colonna sonora (il secondo movimento della sonata n. 20 di Schubert), una sorta di commento appena sottolineante: la parte riguardante i momenti dell'infanzia, il ritorno di Balthazar, Balthazar malato, il finale, tutto risolto in giochi di piani e di rumori (e il loro accordo straniante riscatta il possibile caricamento allegorico preordinato).
Certo, il processo di riduzione rischia il didascalismo (magari voluto) come nei dialoghi del mercante (l'avarizia, il denaro, la morte). Ma raggiunge la piena espressività quando arriva al procedimento bressoniano dei particolari, gli sguardi, i gesti , i silenzi, le allusioni, le ellissi (la più volte citata sequenza dell'olio sparso sulla strada per provocare l'incidente).
Tutto ciò, sintomo di una tendenza generale, è un'operazione pericolosa. Il rischio c'è, e Bresson probabilmente ne è cosciente. Nei particolari può portare a richiami trasparenti, nella struttura la stu-diata frammentazione può arrivare a una perdita di coesione, a uno squilibrio nel delicato rapporto degli elementi espressivi, tradito
magari da taluni sostegni ricercati (le punte didascaliche, ad esempio).
Può essere anche il riflesso di un tessuto ideologico che, pur rimanendo complesso, è volutamente ridotto a dati essenziali, col pericolo dello slittamento semplificante o dello schematismo; la “facilità” che talora si avverte nella rappresentazione del negativo (ed è un appunto che si fa a Bresson) può essere la prova più che di un “manicheismo medievale” (come taluno vorrebbe), di un equilibrio che può rompersi: il lavoro di scavo che diventa troppo allusivo, o per sintomatico rovesciamento - troppo pregnante.
Un rischio, allora, non solo di questo film. Ma cosciente, come quello di chi opera coerentemente (e ostinatamente) nel senso della depurazione del reale.
Autore critica:Giorgio Tinazzi
Fonte critica:Il cinema di Robert Bresson, Marsilio
Data critica:



Critica 3:Film cupo, pessimista e senza speranza, Au hasard Balthazar è una delle opere più importanti di Bresson. Pur mantenendo l’essenzialità e la rarefazione tipica del cinema del regista, il film si dipana narrativamente attraverso un sovrapporsi di intrecci legati fra loro dalla presenza dell’asino Balthazar che, in qualche modo, rappresenta l’insieme dei personaggi e la loro comune e infelice situazione. Una situazione in cui ogni valore cristiano è ormai scomparso, i sacrifici non hanno più senso e le buone azioni non portano a niente se non al contrario di ciò per cui erano nate. Il male regna sovrano. E così anche il sentimento d’amore che Marie sembra provare per Gérard non produrrà, alla fine, che la violenza sessuale di cui la ragazza sarà vittima (violenza che il film confina nel fuori campo e affida quasi interamente a un'unica e indimenticabile immagine della fanciulla nuda, di spalle, china su se stessa, in campo medio e al di là di una finestra). Au hasard Balthazar mette a confronto Marie e Gérard: lei è una ragazza delusa, immiserita e indurita da una vita da cui non ci si può aspettare niente (come di lì a qualche anno accadrà per la protagonista di Mouchette); lui è un teppista che incarna un male morale e assoluto perché privo di causa e fatto di reati spesso gratuiti (si veda la scena in cui insieme alla sua banda versa dell’olio per strada al fine di provocare una serie di incidenti automobilistici). Come sempre Bresson - col suo cinema comportamentale e antipsicologico - non ci spiega il perché di queste azioni, semplicemente ce ne mostra le devastanti conseguenze.
Come già il titolo indica, è centrale nel film il ruolo dell’animale Balthazar, l’unico essere vivente (oltre a Jacques, ma senza il problema del conflitto fra i due padri), con cui, negli anni dell’infanzia Marie vive dei momenti di felicità Il destino dell’asino corre parallelo a quello della ragazza: entrambi trascorrono un’infanzia felice, tentano una fuga durante l’adolescenza, vengono martirizzati da Gérard, patiscono la fame, cambiano amanti o padroni, vengono violentati o uccisi. La comunanza fra i due esseri è tale e a tal punto avvertita da Marie che, nella scena in cui la ragazza accarezza l’asino, è trasmessa allo spettatore una sensazione ambigua che confina con l’erotismo. Del resto non sono pochi i momenti del film carichi di un’esplicita sessualità. Ad esempio la scena in cui Gérard tenta di sedurre in auto Marie e dove le palpitazioni di un desiderio ancora in formazione sono tutte affidate a un gioco di piani ravvicinati di volti, mani e altre parti del corpo che vengono a contatto fra loro. Carica invece di una sessualità malsana è la scena in cui Marie finisce sostanzialmente per prostituirsi al vecchio commerciante di grano (interpretato dallo scrittore Pierre Klossowski) che incarna nel film il ruolo del male sociale, di quell’avidità determinata dalla sete di denaro e che, giustamente, individua nell’onestà del padre di Marie la causa principale del suo fallimento finanziario.
Autore critica:Dario Tomasi
Fonte critica:Aiace Torino
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:
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A cura di: Redazione Internet
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