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Processo alla città -

Regia:Luigi Zampa
Vietato:No
Video:Biblioteca Decentrata Rosta Nuova, visionabile solo in sede
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Ettore Giannini, Francesco Rosi, Luigi Zampa
Sceneggiatura:Ettore Giannini, Francesco Rosi, Luigi Zampa
Fotografia:Enzo Serafin
Musiche:Enzo Masetti
Montaggio:Eraldo Da Roma
Scenografia:Aldo Tomassini
Costumi:Maria De Matteis
Effetti:
Interpreti:Amedeo Nazzari (Giudice Antonio spiccaci), Silvana Pampanini (Liliana Ferrari), Paolo Stoppa Il (Delegato Perrone), Mariella Lotti (Elena Spiccaci), Franco Interlenghi (Luigi Esposito), Irene Galter (Annamaria Esposito), Dante Maggio (Armando Capezzuto), Eduardo Ciannelli (Alfonso Navona), Turi Pandolfini (Don Filippetti), Tina Pica (padrona del ristorante)
Produzione:Film Costellazione Produzione
Distribuzione:Cineteca Nazionale - Cineteca dell’Aquila - Cineteca Lucana
Origine:Italia
Anno:1952
Durata:

98'

Trama:

A Napoli vengono assassinati Salvatore Ruotolo e sua moglie. I corpi esanimi degli uccisi vengono trovati in luoghi diversi. Poiché si tratta evidentemente di un delitto della camorra, l'omertà e la paura sono un serio ostacolo al procedere delle indagini, subito iniziate dalle autorità. Le dirige un giovane e coraggioso magistrato, il quale, partendo da un indizio scoperto casualmente, tenta di ricostruire la storia del duplice delitto. La matassa che il magistrato deve sbrogliare è intricatissima. Numerosi sono gli indiziati, tra i quali vi sono persone in apparenza insospettabili. Deciso ad andare sino in fondo, il giudice mantiene tutti gli indiziati in stato di arresto, provocando il risentimento dell'opinione pubblica, ma di fronte alla resistenza passiva, che incontra dappertutto, anche tra i collaboratori e i familiari, egli si sente scoraggiato e sta per rinunziare all'impresa, quando un fatto nuovo, che ha per conseguenza la morte di un innocente, ravviva in lui la coscienza della propria responsabilità. Egli proseguirà le indagini, senza riguardi, a costo di mettere in stato di arresto tutta la città.

Critica 1:Liberamente ispirato ai fatti del processo Cuocolo (qui Ruotolo) dal nome dei coniugi assassinati nel 1905 a Napoli dalla camorra racconta come un giudice istruttore scopra nelle indagini legami e corruzioni che investono non soltanto la camorra, ma tutta la città. Non è solo il miglior film di Zampa, anche per merito dell'efficiente sceneggiatura (Suso Cecchi d'Amico, Ettore Giannini, Diego Fabbri, Turi Vasile) e uno dei rari drammi giudiziari riusciti del cinema italiano, ma anche una di quelle opere in cui le istanze civili e morali del neorealismo s'innestano sul robusto tronco di un melodramma popolare attento alla lezione del cinema americano d'azione. Su una colorita galleria di personaggi minori si staglia l'efficace interpretazione di Nazzari.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:(…) Lo scandalo Cuocolo a cui il film fa riferimento rappresentò una tappa esemplare nell'evoluzione della camorra a Napoli. Infatti, non si limitò a rivelare l'ampiezza della corruzione e il suo radicamento in strati diversi e lontani della popolazione, ma diede la misura della nuova fisionomia politica che la malavita stava assumendo. Bruciando le tappe, la camorra stava diventando interclassista, ossia cessava la semplice funzione di braccio armato della committenza criminale (quanto al ruolo di osservatore (nel 1904, sotto l'egida del prete Vito Vittozzi, imputato poi al processo Cuocolo, aveva impedito la rielezione del deputato socialista Ettore Ciccotti), nondimeno era riuscita in alcune occasioni a darsi un'immagine in qualche modo sindacale. Resta comunque il fatto che la nascente democrazia portava il segno inquietante di un trasformismo benedetto dal crimine organizzato e che uno dei riconosciuti padrini di tale alleanza fu proprio Giovanni Giolitti, «il ministro della malavita», appunto. Lo scandalo Cuocolo era esploso nel 1909 (il processo fu celebrato a Viterbo fra il 1911 e il 1912) e Zampa ne ebbe notizia dettagliata da Francesco Rosi, che dal canto suo ricorda: «Andavo a Napoli ogni settimana, perché erano i primi anni che lavoravo a Roma con Giannini e trovai su una bancarella due libri, introvabili, sul processo Cuocolo». Facile immaginare come, in anni di restaurazione dopo le grandi speranze della Costituente e della Repubblica, potesse risaltare l'analogia: l'Italia democristiana muove i primi passi e ha già fatto conoscere il sottogoverno dei Vanoni, dei Campilli, dei Bonomi e dei Mattei. Per dirla con Giorgio Galli, «mentre si celebra l'avvento della Repubblica, Michele Sindona risale la Penisola dalla Sicilia a Milano, munito di lettere di presentazione con le quali inizia la sua favolosa carriera». In parallelo con il già citato espediente teatrale, Processo alla città mostra l'intreccio di corruzione «alta» e «bassa» e, in una significativa sequenza, sancisce il legame con l'immagine del Parlamento. L'interclassismo che la camorra aveva assunto viene esemplato nel film con la comprensenza di due città in una. Prendiamo per cominciare la sequenza d'avvio. Sui titoli di testa ferve l'attività di un forno. Poi, due ragazzi camminano sulla spiaggia con le gerle del pane e scoprono il cadavere di Ruotolo. Siamo a Napoli, e il pane è il primo elemento ad essere messo in campo; paradossalmente, verrà subito abbandonato sulla fanghiglia del bagnasciuga, quando il terrore farà fuggire i garzoni adolescenti. Ecco, il pane è sprecato sul confine fra la città e il mare, una linea ideale che nel film rappresenta un punto di non ritorno: chi non vuole compromettersi con la malavita è costretto ad emigrare, a cercare lavoro nelle Americhe. Altra sequenza chiave è quella del confronto fra il giudice Spicacci e Alfonso Navona, «l'uomo del banco dei pegni». I due si fronteggiano come rappresentanti emblematici di forme opposte e in certo senso complementari di Giustizia: l'uno è la legge scritta dello Stato, l'altro la legge d'onore della Società. Fra loro la bilancia del banco che, inquadrata prima in un altro faccia a faccia tra lo stesso Navona e la giovane moglie di Luigino Esposito, con le sue catene alludeva al carcere, qui, pendendo ora da una parte, ora dall'altra, sembra delineare le sorti alterne nel conflitto fra i due personaggi. Risulta evidente come Navona funga da anello di congiunzione fra la Napoli ricca e borghese e la Napoli povera, in altre parole, incarna la nuova natura che la camorra è venuta assumendo. E se la voce fuori campo, nel finale, sembra preludere ad una soluzione dettata dall'ottimismo della volontà, da Processo alla città deriva comunque un senso di impotenza, lo stesso che da allora avrebbe informato il cinema di denuncia più cosciente: il giudice Spicacci, il popolare Amedeo Nazzari, così amato dalla gente in quel difficile periodo, è già fuori gioco, ossia confinato dal sistema in una quasi illegalità, costretto al processo indiziario, all'intuizione come unica risorsa in un quadro socio-politico tanto chiaro quanto impenetrabile.
Autore critica:Tullio Masoni e Paolo Vecchi
Fonte critica:Cineforum n. 314
Data critica:

5/1992

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:
Autore libro:

A cura di: Redazione Internet
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