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Fucking Amål - Il coraggio di amare - Fucking Åmål

Regia:Lukas Moodysson
Vietato:No
Video:Dnc Visualmind - Key Films Video
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Le diversità
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Lukas Moodysson
Sceneggiatura:Lukas Moodysson
Fotografia:Ulf Brantas
Musiche:Robyn, Lars Gullin, Broder Daniel
Montaggio:Michal Leszczylowski, Bernhard Winkler
Scenografia:Lina Strand, Heidi Saikkonen
Costumi:Maria Swenson
Effetti:
Interpreti:Alexandra Dahlström (Elin), Rebecca Liljeberg (Agnes), Erica Carlson (Jessica), Mathias Rust (Johan), Stefan Hörberg (Markus), Josefin Nyberg (Viktoria), Ralf Carlsson (il padre di Agnes), Maria Hedborg (la madre di Agnes), Jill Ung (la madre di Elin), Axel Widegren (Oskar)
Produzione:Memfis
Distribuzione:Key Films
Origine:Svezia
Anno:1998
Durata:

89'

Trama:

Agnes, sedici anni, introversa e con il sogno di fare la scrittrice, vive male la routine di Åmål, provincia svedese, con i genitori che non colgono la sua infelicità e i compagni a lei indifferenti. L'unica che la attrae è Elin, quattordicenne che sogna di diventare modella o psicologa e odia la banalità, a partire dalle futilità di Jessica, sorella sedicenne. Costretta dai suoi a organizzare una festa di compleanno, cui si presenta solo una compagna handicappata, Agnes riceve la visita di Ursula e Elin, che per scommessa con la sorella la bacia. Le due vanno poi a ubriacarsi a un'altra festa, ma Elin è scossa e torna da Agnes per chiederle scusa, giungendo mentre l'amica sta per tagliarsi le vene. Iniziano a parlare e tra loro nasce un tenero sentimento, che si scontra con i pregiudizi sociali. Dopo alcuni giorni di dubbi, Elin manifesta il proprio amore ad Agnes. La nuova coppia decide di uscire allo scoperto, incurante dell'incredulità di compagni e compagne.

Critica 1:La provincia svedese, che fa da sfondo al film, rende bene un ambiente che dietro apparenze linde e benestanti svela il nulla che opprime le due protagoniste. La dialettica tra contesto e personaggi viene regolarmente enunciata all'inizio di molte sequenze, con rapide zoomate in avanti, dal generale al particolare. Tale movimento appare anche funzionale a rendere il dinamismo e l'inquietudine delle protagoniste, e a stimolare la mobilità dello sguardo dello spettatore, invitandolo a superare la pigrizia della percezione sociale e lo stereotipo della "normalità".
È proprio la consapevolezza di voler reagire a tale pigrizia ad accomunare le due protagoniste fin dall'inizio: solo che il movimento centripeto di Agnes (la solitudine a casa e a scuola, la poesia, la musica classica come soundtrack per il suicidio, il diario sul computer) non incontra ancora l'istinto centrifugo di Elin (il bisogno di sballarsi con i farmaci della madre, l'aspirazione a diventare Miss Svezia, gli eccessi alcolici alle feste, la mitizzazione dei rave, l'ostentazione di una fisicità disinibita), come accadrà in modo complementare nel finale.
Il percorso dinamico delle due protagoniste, la loro capacità di porsi interrogativi e di operare scelte, fa risaltare la piatta omogeneità del contesto. I comportamenti massificati e spersonalizzati degli altri personaggi prescindono dall'età, dal sesso o dalla classe sociale. Alcune scene, emblematiche e realistiche, sottolineano l'incapacità delle famiglie di comprendere un disagio sottile. Si pensi all'atteggiamento passivo di fronte ai giochi televisivi, che accomuna la madre di Elin ai suoi amici; oppure l'insensibilità della madre di Agnes, che cucina roastbeef per la festa di compleanno della figlia vegetariana; i discorsi del padre che non si rende conto che una sedicenne non può aspettare altri venticinque anni per capire che i problemi dell'adolescenza poi si risolveranno.
Anche i compagni di scuola di Elin e Agnes svelano mentalità tradizionaliste dietro stili giovanili e atteggiamenti moderni: i maschi confrontano le dimensioni del telefonino, orgogliosi di "avercelo più piccolo"; la sorella Jessica è succube di modelli comportamentali di genere ben definiti, per cui le femmine devono essere provocanti e faranno le parrucchiere, mentre i maschi devono essere forti e diventeranno giocatori di hockey o meccanici.
In questo senso, la storia d'amore tra le due protagoniste diventa il simbolo di una resistenza all'omologazione di una società del benessere manifesto. Come auspica il titolo, un vero percorso di appropriazione del sé presuppone anche la capacità di mandare a quel paese la piccola città in cui ogni segno di diversità è visto come pericolo da attutire (il politicamente corretto, che Agnes ribalta violentemente nello sfogo contro la ragazzina handicappata) o da condannare e rimuovere: le battute dei compagni di scuola contro la "lesbica", il volto terreo della madre di Agnes, incredula che una cosa simile possa accadere a sua figlia, l'indignazione dell'uomo che si ferma per dare un passaggio alla due amiche, quando scopre un loro furtivo bacio.
In modo rigoroso, il rapporto lesbico tra le due protagoniste non viene mai utilizzato come pretesto per sequenze pruriginose o scene che strizzino l'occhio a chi cerca il proibito. Il loro amore omosessuale diventa piuttosto una via personale e reciproca per trovare una propria identità, a prescindere da ciò che tutti gli altri ritengono "giusto" e "normale".
Autore critica:Michele Marangi
Fonte criticaAiace Torino
Data critica:



Critica 2:E' una storia d'amore, Fucking Åmål (Svezia, 1998, 89'), ma non solo. È anche la storia d'una fuga dalla provincia dell'anima, dalle grettezze bene ordinate d'una vita ficca e miserabile. E, ancora, una discesa impietosa nella crudeltà spaventata, nella solitudine degli adolescenti, e in un'assenza disperante di padri e di madri. Lukas Moodysson, esordiente trentenne, lo ha girato in soli trenta giorni, e con una ristrettezza di mezzi evidente. D'altra parte, il colore saturo delle immagini e la loro sgranatura fastidiosa non ne riducono la capacità di prenderci agli occhi e al cuore. Dopo le prime inquadrature, già il dialogo ci "tiene", essenziale e implacabile. Lo stesso vale per lo sviluppo narrativo: niente c'è, in sceneggiatura, che non sia profondamente necessario. Agnes (Rebecka Lilieberg) ama Elin (Alexandra Dahlstrom), ma non nutre speranze d'esserne anche solo notata. Sembra renderlo impossibile la freddezza dell'altra, sommata all'abitudine, alla convenzione dominante dei sentimenti, o se si preferisce alla loro normalità. Questo è il cuore della storia d'amore. La quale, come ogni storia d'amore, tende a ridurre man mano sullo sfondo le situazioni e i volti che non siano direttamente, immediatamente quelli delle due protagoniste. In questo senso, Fucking Åmål fa emergere dall'indifferenza d'una piccola comunità di adolescenti due solitudini e due desideri che s'incontrano per caso, che ancora quasi per caso riescono prima a parlarsi e, poi, a vincere insieme non solo contro il giudizio e il pregiudizio di gruppo, ma contro le proprie stesse timidezze e paure. Che si tratti d'un amore fra due donne - fra due ragazzine -, certo acuisce le une e le altre, le timidezze e le paure. Ma per il resto, quella di Agnes ed Elin è una storia d'amore che verrebbe da definire comune, una storia d'amore come ogni altra. E così la racconta Moodysson: semplicemente, teneramente normale. Ne avverte e ne mostra, ancora, l'individualità e l'irripetibilità. La sua Agues e la sua Elin non sono maschere d'uno stereotipo, d'una diversità erotica ridotta a una (dichiarata, banale) generalità. Sono invece due giovanissime donne innamorate, osservate e descritte nella loro viva vita, e nel loro coraggio di fuggir via, se non dai confini fisici, certo dai confini spirituali di una "fottuta" piccola città. E c'è poi; oltre a quest'amore - come suo limite e sua chiusura -, il mondo degli adolescenti di Åmål, nel Sud della Svezia. Un mondo molto vicino, per altro, a quello che ci ha raccontato, con attenzione e intelligenza, anche Gabriele Muccino (Come te nessuno mai, 1999). È crudele, quel mondo. Lo è anche nei confronti degli adulti, ma in primo luogo e soprattutto a danno di ragazzi e ragazze che vivono una ribellione tanto necessaria quanto immaginaria, e che la soffrono in una realtà interiore di separatezza, solitudine, silenzio profondo. Come nel film di Muccino, appunto, li domina una curiosità erotica colma d'angoscia. Il loro linguaggio, all'apparenza orientato a una sessualità non inibita, dirompente, suona invece come un "sistema simbolico" che produce una sua continua, paradossale denigrazione. O forse: come uno stratagemma per tenerla a bada, almeno implicitamente. Non conoscono mediazioni, non conoscono sfumature, gli adolescenti di Moodysson. Incapaci - necessariamente incapaci, data l'età - d'immaginarsi una biografia che si svolga nel tempo, di proiettarsi in un futuro che superi la dimensione dei giorni dalla vita pretendono l'assoluto. Dunque: l'amore assoluto, lo sballo assoluto, il sesso assoluto. E magari. come racconta Fucking Åmål si riducono a surrogarlo beandosi della magia che sta in un telefono cellulare. In fondo, è questa la provincia dell'anima da cui Agnes ed Elin più si sentono oppresse, e da cui coraggiosamente fuggono. Nella comunità di adolescenti, infatti, sembra stia formandosi la Åmål del futuro: non diversa da quella di oggi, e dominata se non dagli stessi pregiudizi, certo sempre dallo stesso peso sociale dei pregiudizi. E c'è infine, nel bel film di Lukas Moodysson, il mondo degli adulti. O meglio, quel mondo non c'è. I padri e le madri stanno ai margini delle vite dei loro figli e figlie. Certo, sono questi che li tengono lì, ai margini. In ogni caso, non c'è disamore, nelle loro case. Al contrario, c'è tenerezza (in particolare, fra Agnes e il padre). Ma c'è anche una sorta di pusillanimità nel cuore. Non hanno coraggio, i padri e le madri di Fucking Åmål. Di fronte alla sofferenza dei figli, a propria volta soffrendone, immaginano che il meglio per loro sia fermarsi "sulla soglia". E' così, forse. Forse, non si può andare oltre. D'altra parte, averne il coraggio, avere il coraggio di fare e sbagliare, sarebbe già qualcosa: un cenno, un gesto, un segno lanciati fin dentro solitudini spaventate e inconsapevoli.
Autore critica:Roberto Escobar
Fonte critica:Sole 24 Ore
Data critica:

5/3/2000

Critica 3:Tra le molte decine di adolescenti alla ricerca dell'esplosione amorosa e dell'identità sessuale che hanno invaso gli schermi quest'anno, da un estremo all'altro, da American Pie a Come te nessuno mai, arrivano con Fucking Åmål (titolo metà misterioso metà eloquente di un film premiatissimo e di grande successo in Svezia, candidato all'Oscar e campione di incassi, e si capisce perché) due ragazzine strepitose, le loro turbe emotive e un film strano, toccante e originale. La "fucking Åmål “del titolo misterioso è una "maledetta" cittadina svedese uguale a qualsiasi altra cittadina di provincia del mondo, dove non succede mai niente, i genitori sono (al meglio) buoni ma non capiscono granché o (al peggio) indifferenti, i ragazzi sono un po' scemi e un po' violenti, non c'è altro da fare che ciondolare attorno ai bar e alle discoteche o spettegolare a scuola di piccole e spesso inesistenti avventure sessuali. Non così Agnes (una faccia tenera e intensa, un po' finnica, Rebecca Liljeberg), che ha il problema di essere innamorata della sua compagna Elin - Alexandra Dahlström, la bella della scuola, provocatoria e provocante, un po' matta, un po' cattiva, ribelle e tosta - e confida al suo computer poesia e messaggi d'amore per la maliarda indifferente. Finché il giorno del sedicesimo compleanno di Agnes, in una serata fallimentare voluta dai genitori di Agnes, che dovrebbe essere una festa ed è un umiliante mortorio a cui non viene nessuno, Elin le piove in casa per sbaglio, le due ragazze si trovano faccia a faccia, scocca una scintilla di tenerezza subito rintuzzata e travolta da pentimenti, ripicche e cattiverie. E seguita da una trionfale affermazione del diritto di volersi bene (o di amare, come dice il sottotitolo, tanto per spiegare cosa sia questa "maledetta" Åmål). Il film, scritto benissimo e diretto altrettanto bene da Lukas Moodysson, già poeta e romanziere, al suo primo lungometraggio, è più interessante come ritratto delle dinamiche della tribù giovanile, con le sue crudeltà e le sue follie, le sue preclusioni e i suoi rifiuti, che come manifesto di amori saffici in boccio - anche perché le due protagoniste, nonostante tutte le arie da scafata di Elin, si portano dietro una palpabile innocenza adolescenziale, e il loro amore "lesbico", proprio per come lo descrive con pudore e tenerezza Lukas Moodysson, potrebbe essere solo una tappa della loro crescita, una fuga dalla rozzezza del mondo circostante. Sono i rifiuti, le violenze, le prepotenze, i modelli secondo cui si sta insieme, ci si annusa o ci si respinge tra teenager, e il modo incalzante, intenso, autentico con cui Moodysson filma le facce e registra i detti e i non detti dell'idiometto giovanile, a fare la forza di un film spesso divertente, a tratti doloroso, mai banale: neanche in quel finalone a ritmo di musica che lo ricollega improvvisamente al genere giovanilistico-sentimental-amoroso a cui "non" appartiene.
Autore critica:Irene Bignardi
Fonte critica:la Repubblica
Data critica:

6/2/2000

Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:
Autore libro:

A cura di: Redazione Internet
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