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Hook - Capitan Uncino - Hook

Regia:Steven Spielberg
Vietato:No
Video:Columbia Tri Star
DVD:
Genere:Fantastico
Tipologia:Diventare grandi, Giovani in famiglia
Eta' consigliata:Scuole dell' infanzia; Scuole elementari; Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori
Soggetto:Tratto dai libri "Le avventure di Peter Pan - Peter Pan e Wendy - Peter Pan nei Giardini di Kensington" di James Matthew Barrie
Sceneggiatura:Jim V. Hart, Malia Scotch Marmo
Fotografia:Dean Cundey
Musiche:John Williams
Montaggio: Michael Kahn
Scenografia:Norman Garwood
Costumi:Anthony Powell
Effetti:David B. Beasley
Interpreti:Dustin Hoffman (Hook - Capitan Uncino), Robin Williams (Peter Banning - Peter Pan), Julia Roberts (Campanellino), Bob Hoskins (Spugna), Maggie Smith (la nonna Wendy), Caroline Goodal (Moira), Charlie Korsmo (Jack), Amber Scott (Maggie), Laurel Cronin (Liza), Phil Collins (l’ispettore Good)
Produzione:Amblin Entertainment
Distribuzione:Columbia
Origine:Usa
Anno:1991
Durata:

135'

Trama:

Peter Banning, un avvocato americano molto occupato dal suo lavoro, è incapace di dedicarsi alla moglie Moira e ai figli Jack e Maggie. Dopo essersi recato a Londra dall'anziana nonna Wendy, che lo ha allevato, scopre che i figli sono scomparsi e che Capitan Uncino li ha rapiti portandoli nella favolosa «isola che non c'è». Peter, con l'aiuto della fata Campanellino, raggiunge l'isola dove sia il pirata Hook, suo antico rivale, sia la banda dei «ragazzi sperduti» lo deridono perché non è più il coraggioso Peter Pan di un tempo. Attraverso un duro tirocinio fisico e un lento lavoro di recupero psicologico dei suoi ricordi d'infanzia, Banning, ritornato Peter Pan, riesce a sconfiggere il perfido Hook, a riacquistare l'ammirazione del figlio Jack, che intanto era stato plagiato da Capitan Uncino, e a recuperare l'affetto della moglie Maggie e l'amore della figlia Moira.

Critica 1:Benché i personaggi che popolano il film siano molti, distribuiti tra un mondo reale e contemporaneo e uno fiabesco che - per immagini e situazioni - rinvia al XVII e XVIII secolo, il vero protagonista della storia è l’adulto, Peter Banning. Questi è un professionista di successo, vive negli Stati Uniti (vero e proprio simbolo del progresso e della società occidentale), è perfettamente inserito nei meccanismi del consumismo, si muove con sicurezza e determinazione nel mondo che lo circonda poiché ne conosce perfettamente le regole e i vincoli. La sua famiglia vive nell'agiatezza, lontana dai pericoli e dalle preoccupazioni di cui sono vittime coloro i quali si collocano ai margini di una società assai poco interessata ai temi della solidarietà e della condivisione dei beni. Banning non si rende conto, però, che il lavoro lo ha allontanato sempre più dagli affetti - rappresentati dalla moglie Moira e dai figli Jack e Maggie - e da quella predisposizione alla comunicazione che gli era sempre stata propria. Il protagonista ha perduto per strada la capacità di giocare, sognare, trasmettere i propri sentimenti alle persone che lo circondano e gli vogliono bene.
Per rendersene conto, Banning ha bisogno di un evento traumatico che si verifica, non a caso, durante un suo soggiorno a Londra. Il ritorno alla relativa tranquillità della vecchia Europa - che nel film rappresenta la storia e la memoria - costringe Banning ad affrontare una realtà imprevista e drammatica. Il rapimento dei suoi figli da parte del perfido Capitan Uncino altro non è se non la presa di coscienza che i piccoli si sono irrimediabilmente allontanati da lui. Urge, a questo punto, un intervento da parte sua: solo così potrà recuperare quel rapporto con la famiglia che ha trascurato a causa delle sue ambizioni. Banning compie un viaggio che lo allontana dal reale e lo consegna all'immaginazione (significativo il fatto che la sua meta sia un posto chiamato «isola che non c'è»). Solo qui, recuperando il fanciullo che c'è in lui (Peter Pan), avrà la possibilità di ritrovare Jack e Maggie, rapiti ma al tempo stesso conquistati dal personaggio forte e coraggioso di Capitan Uncino. Quest'ultimo, infatti, pur essendo malvagio, rappresenta la figura epica dell'eroe rassicurante e temerario che i più piccoli tentano di rinvenire nell'immagine paterna.
Quello di Peter Banning è un “racconto di formazione" al contrario o, più precisamente, in due movimenti. C'è, prima di tutto, il salto all'indietro (all'infanzia che sostituisce il processo di maturazione) e poi il ritorno all'età adulta con una nuova consapevolezza che gli permette un rinnovato rapporto con la famiglia. Un percorso difficile che comporta la derisione dei «ragazzi sperduti» (altri bambini che, in fondo, attendono ancora l'intervento dei genitori) quando il protagonista non riesce trovare il Peter Pan che è nascosto in lui. Attraverso un rito di passaggio lungo e complesso, Banning torna a essere un eroe positivo e invincibile che, con l'aiuto di Campanellino, sa mettere in scacco il terribile Hook. Rientrato a casa, il protagonista riprenderà la sua vita di sempre ma con una nuova attenzione ai sentimenti e ai rapporti interpersonali.
Autore critica:Stefano Boni
Fonte criticaAiace Torino
Data critica:



Critica 2:Al limite dei giardini di Kensington, vicino alla Serpentina, che segna il confine tra i Kensington Gardens e la distesa più austera di Hyde Park, c'è la statua che gli ipglesi hanno dedicato a Peter Pan. È quella sotto la quale si sveglia Peter Banning dopo il suo volo di ritorno a casa, con lo spazzino Spugna (ritornato il cockney Bob Hoskins) che lo apostrofa ammiccando a un'ipotetica bevuta della notte precedente. È una statua piccola e leggera, dove Peter suona il flauto circondato da fate, folletti, uccelli. Fu costruita dallo scultore George Frampton e posta nei giardini il 1 maggio 1912, quando Barrie era all'apice del successo; infatti aveva appena pubblicato il romanzo Peter Pan and Wendy (quello che abbiamo letto da piccoli, trascritto fedelmente dal film di Walt Disney), adattato dalla sua commedia Peter Pan or the Boy Who Would Not Grow Up (Peter Pan o il bambino che non volle crescere), andata in scena per la prima volta nel 1904, e da allora un classico della tradizione teatrale natalizia inglese e americana. La statua consacrava l'ingresso del bambino «Tra-il-Qua-e-il-Là», a metà tra gli uomini e gli uccelli (e secondo Barrie tutti i bambini sono stati uccelli prima di diventare creature umane), nell'immaginario britannico. Simbolicamente, il giardino restava racchiuso tra Peter Pan e il «monumento» di un'altra bambina, quello che Barrie chiama il Palazzo della
bambina. «Questa era la bambina più celebre dei Giardini, e viveva nel palazzo da sola con un'infinità di bambole, così la gente suonava il campanello e lei, benché fossero già le sei passate, si alzava dal letto, accendeva una candela e in camicia da notte apriva la porta, e allora tutti le gridavano felici, «Ave a te, Regina d'Inghilterra!!». Naturalmente è la residenza reale dove crebbe la Regina Vittoria, quando Kensington era ancora considerato un villaggio alle porte del centro di Londra.
La società vittoriana e quella edoardiana, immediatamente successiva (nella quale Barrie visse e scrisse), non erano le migliori possibili per i bambini: a parte il disinteresse per i bambini poveri che lavoravano e morivano nei sobborghi industriali, la cultura considerava l'infanzia un mondo isolato da educare con rigore. «I bambini si dovrebbero vedere e non si dovrebbero sentire» era il motto dell'epoca. Barrie, che era scozzese e aveva avuto un'infanzia timida e fantasiosa, segnata dalla morte del fratello maggiore prediletto dalla madre, stava volentieri con i bambini. Senza figli, si affezionò molto a quelli della sua amica Sylvia Davies: George, Jack, Peter, Michael e Nico; li portava in giro raccontando storie, e li adottò alla morte dei genitori. A Peter Davies, diventato un celebre editore, la stampa si riferiva sempre con «Peter Pan»; quando morì sucida nel 1960, il «New York Times» titolò «Il Peter Pan di Barrie ucciso da un treno della metropolitana londinese». Peter Pan è fatto con i cinque bambini Davies, «strofinandoli violentemente insieme», come scrisse Barrie nell'introduzione alla commedia. Ed è fatto soprattutto del ricordo e del rimpianto di Barrie per la propria infanzia, che non era stata perfetta, ma ricca di suggestioni, di giochi liberi, di sogni.
«Il terrore della mia infanzia era la consapevolezza che sarebbe venuto un tempo in cui anch'io avrei dovuto rinunciare ai giochi e non sapevo come avrei fatto (questo tormento mi ritorna ancora nei sogni quando mi scopro a giocare alle biglie e mi giudico con severa riprovazione); sento che devo continuare a giocare in segreto», ha scritto nella biografia di sua madre. Così, inventa Peter Pan, che torna tutti gli anni a prendere Wendy Darling per le pulizie di primavera, e che non crescerà mai. Peter Pan è il bambino che, a una settimana di età, vola via dalla finestra di casa per andare nei giardini di Kensington, nell'isola degli uccelli in mezzo alla Serpentina, dalla quale è arrivato. Ma qui non è più un uccello, ma un bambino in camicia da notte; Non può più volare, perché, come dice Barrie, «nel momento in cui dubitate di poter volare, perdete per sempre la capacità di farlo». Dagli uccelli impara molte cose: ad accontentarsi facilmente, a costruire nidi, a distinguere i venti, a vedere l'erba crescere e, soprattutto, ad avere un cuore felice; e per dimostrarlo canta tutto il giorno, accompagnandosi con un flauto. Finalmente, un giorno riesce a riattraversare il fiume e a tornare nei giardini, dove gioca per tutta la notte (l'Ora di Chiusura) con gli oggetti dimenticati dai bambini «umani» e suona ai balli delle fate. Sono proprio le fate che gli insegnano a volare senza ali, per esaudire il suo desiderio di tornare dalla mamma. Ma Peter è leggero, un po' presuntuoso e tormentato tra l'affetto della mamma e la voglia di giocare ancora. Trovata sua madre addormentata, sta a guardarla per un po', suona per lei e decide di andare via ancora, a salutare tutti i suoi amici del giardino. Dopo feste d'addio durate molti mesi, una notte Peter torna definitivamente a casa.
«Volò direttamente alla finestra che avrebbe dovuto essere sempre aperta per lui. Ma alla finestra era chiusa, e davanti c'erano delle sbarre di ferro. Sbirciando dentro vide sua madre che dormiva pacificamente e fra le braccia teneva un altro bambino piccolo. Peter chiamò, "Mamma! Mamma!", ma lei non lo sentì; invano battè le manine contro le sbarre di ferro. Dovette rivolarsene singhiozzando ai Giardini, e non rivide mai più la sua mamma. Che bambino stupendo aveva pensato di essere per lei! Ah, Peter! noi che abbiamo commesso il grande errore, quanto diversamente ci comporteremo in una seconda occasione! Ma Salomone aveva ragione, non c'è una seconda occasione, non per la maggior parte di noi. Quando arriviamo alla finestra è Ora di Chiusura. Le sbarre di ferro sono lì a vita» .
Questo è Peter Pan come si configura nel primo dei libri dedicatigli da Barrie: un personaggio più notturno che solare, un fuori casta che alterna la malinconia all'euforia. Gli aspetti inquietanti di Peter si precisano con le elaborazioni successive. Peter è quello che accompagna i bambini morti per un pezzo di strada, ha i denti da latte nonostante abbia, nella fisionomia definitiva, una decina d'anni, è baldanzoso, vanitoso, smemorato, ma segnato dalla tristezza improvvisa di ricordi del passato. È un «ragazzo tragico», come fu definito alla prima del lavoro teatrale, che non può crescere, non può fermarsi, adattarsi. Appartiene ai boschi e al «little people» magico che li abita; non vuole andare a scuola e diventare un uomo, ma crede che «morire sarebbe un'avventura terribilmente eccitante». Farlo crescere può essere una scommessa stuzzicante; ma farlo felice di crescere è una negazione degli aspetti oscuri e demoniaci del personaggio.
Si sa che Spielberg pensava da anni a un adattamento di Peter Pan e che spesso ha insistito sulla propria identificazione con il personaggio e sulla propria passione per il film di Disney del 1953. Finalmente con Hook (70 milioni di dollari e un cast esemplare) ha potuto materializzare il suo giocattolo. Hook è tutto, un prontuario dell'immaginario di Spielberg, una ricostruzione dell'universo disneyano, una rielaborazione dei temi che corrono sotto l'opera e la vita di Barrie. Ci sono i sobborghi residenziali di Los Angeles, città piatta che nei suoi film sembra popolata soprattutto di ragazzini, e spaventose esperienze notturne nelle quali creature della fantasia irrompono a trascinare con sé i bambini di casa (il preannuncio di Hook assomiglia a quello degli extraterrestri di Incontri ravvicinati e degli spiriti di Poltergeist); la modernizzazione dei Bambini Perduti, che mette in scena tutta l'iconografia infantile elaborata nell'ultimo decennio dal cinema americano (con tanto di skateboards, miscuglio etnico, arti marziali, punk e rap); alcuni squarci del Paese-che-non-c'è che assomigliano ai cunicoli di Indiana Jones; il volo nel cielo stellato e le tre lune enormi del Paese-che-non-c'è che rimandano direttamente a E. T.; la voglia e il bisogno di rompere con il mondo adulto, indaffarato, nevrotico, che non ha più tempo per giocare.
Di Walt Disney ci sono la Londra dell'inizio («una città magica per i bambini», come dice Moira), con il volo intorno alla torre del Big Ben verso la seconda stella a destra, il cane-governante Nana e la stanza dei bambini Darling; la topografia, ricalcata passo passo, del Paese-che-non-c'è, con la Laguna delle Sirene, l'Albero Cavo e la Baia dei Pirati. Ci sono tocchi di Alice nel paese delle meraviglie (i fiori che si chinano ad annusare Peter Pan, e Peter che parla con Campanellino attraverso lo spioncino della sua casa-orologio a cucù) e soprattutto la materializzazione sorprendente di alcuni personag gi: il vecchio Tootles (Fischietto nella versione italiana della storia e del film di Disney) e la vecchia Wendy, che rimandano con malinconia profonda alle loro giovanili immagini disegnate, e i pirati Hook e Spugna, ricalchi incredibili delle figure di carta e delle loro movenze. Maggie Smith, Dustin Hoffman e Bob Hoskins, per quanto possono, rubano il film a Robin Williams e, forse, allo stesso Spielberg. Ma non è una semplice questione di attori, visto che anche Julia Roberts-Campanellino riesce a trasmettere una commozione più sottile del Peter Pan ritrovato. Il difetto vero sta proprio nella rilettura del personaggio principale, nelle scelte cui il regista lo costringe (e lo ha costretto nell'antefatto) e nella conseguente perdita di spessore magico e drammatico. Peter Pan, che ha smesso di essere il «ragazzo tragico» il giorno in cui si è innamorato della nipotina di Wendy, ha cancellato la memoria del passato, preservata invece ostinatamente da Wendy e Hook. Peter Banning torna a casa deciso a ricordare per sempre la propria infanzia, ma con questo rinnega sia le nevrosi che lo caratterizzavano all'inizio sia le complessità di Peter Pan, per tuffarsi, come scrive Christopher Frayling, nell'ottimismo del nuovo spiritualismo post-freudiano. Rischia cioè di trasformarsi nello stereotipo del bravo papà americano che gioca a baseball coi figli e non dimentica un compleanno, una specie di signor Darling bonaccione e sempliciotto, che non corrisponde né all'immaginario di Barrie né alla concezione del mondo adulto che Spielberg aveva un po' di tempo fa. L’ idea felice che consente a Peter Banning di volare e che poi lo riporta a casa è quella della paternità, un'idea che corrisponde ovviamente a un momento particolare della vita di Spielberg (diventato padre qualche anno fa), ma anche alla sensibilità di Barrie. Barrie, che non aveva figli, oltre che il padre adottivo dei cinque fratelli Davies, fu grande amico di molti altri bambini. Non era cresciuto e sapeva parlare con loro e condivideva i loro sogni e i loro fantasmi. Ma l'unica idea felice che avrebbe potuto riportare a casa il vero Peter Pan era quella della maternità, non quella della paternità; non solo la mamma di Peter che un bel giorno mette le sbarre alla finestra, ma anche la signora Darling di Peter Pan and Wendy, con quel bacio sospeso all'angolo destro della bocca (un bacio che né il marito né i figli riuscirono mai ad avere, ma che Peter si portò via con tutta naturalezza), ricalcata pari
pari su Sylvia Davies, della quali Barrie era sempre stato innamorato(…). Passar dal segno della madre a quello del padre non è necessariamente india di maturità, e quasi senz'altro ii questo caso rappresenta un'ulteriore semplificazione. Nella prima rappresentazione delle commedia, su esplicita indicazioni di Barrie, il signor Darling e Hook erano interpretati dallo stesso attore, Gerald du Maurier. La figli, Daphne du Maurier descrive cos l'interpretazione paterna di Hook: «Era una creazione tragica e piuttosto spettrale, senza pace e con l'anima tormentata; un'ombra scura; un sogno sinistro; uno spauracchio spaventoso che vive perpetuamente nei recessi grigi della mente di ogni bambino. Tutti i bambini hanno i loro Hook, e Barrie lo sapeva: è il fantasma che arriva di notte e si fa strada nei loro sogni bui. E Gerald che aveva immaginazione e la scintilla del genio, lo rese vivo». La figura paterna si sdoppia percòi nell'incubo. Attribuire lo sdoppiamento a Peter Pan non sarebbe impossibile, ma richiederebbe un Peter ancora più inquietante e minaccioso di quello immaginato da Barrie. Non c'è da meravigliarsi perciò che un Dustin Hoffman ambiguo e insinuante, pieno di nostalgie e di: verità agghiaccianti (come quelle che sussurra a Maggie: «I tuoi genitori ti raccontano delle storie per farti stare zitta. Prima che tu nascessi erano molto più felici, perché erano liberi»), riesca a emergere trionfalmente su un Peter unidimensionale, giocherellone, «buono». Robin Williams fa del suo meglio; E rende al meglio nella prima parte. dove è servito da tutte le nevrosi giuste e da una serie di battute azzeccate («Ho perso gli anni Sessanta, facevo il ragioniere», o, all'arrivo tra i Ragazzi Perduti, «Cos'è, l'asilo nido del Signore delle mosche?»); ma, al di là del giochetto, ben reso ma facile, della sua e altrui incredulità e dell'addestramento al ruolo di Peter Pan, perde di spessore e interesse lungo tutta la seconda parte.
Dietro questo Peter senza tormenti c'è l'intuizione di un altro film, che avrebbe potuto essere il capolavoro di Spielberg. La prima parte londinese e lo sguardo che si scambiano Peter Banning indaffarato e la vecchia Wendy ha tutta la malinconia della vecchiaia e dell'adattamento e il rimpianto delle molte pulizie di primavera nel Paese-che-non-c'è. Hook, che rivuole il suo nemico e la sua guerra (e al quale, certamente non per caso, il film è intitolato), ha lo scatto tragico del grande emarginato, di quel che davvero non vuole crescere. E il momento in cui il più piccolo dei Ragazzi Perduti ritrova sulla faccia di Robin Williams i lineamenti dell'infanzia ha l'intensità disperata e commossa della perdita. Crescere è un brutto affare, come lo è non crescere. In entrambi i casi si perde qualcosa.
Barrie e Peter Pan lo sapevano; e qui di sicuro lo sanno Wendy e Hook. Spielberg, invece, sembra averlo dimenticato. Quindici anni fa, Roy Neary (un padre americano capace di giocare con suo figlio), abbandonava la famiglia, il lavoro e la vita civile per inseguire l'immagine di una montagna incantata. Non tornava indietro di fronte a nulla e, alla fine, veniva scelto dai piccoli esseri extraterrestri per imbarcarsi con loro su un'astronave sulla quale non si invecchiava di un solo giorno. Era Incontri ravvicinati del terzo tipo, il vero Peter Pan di Spielberg.
Autore critica:Emanuela Martini
Fonte critica:Cineforum n.314
Data critica:

5/1992

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:Avventure di Peter Pan (Le) - Peter Pan e Wendy - Peter Pan nei Giardini di Kensington
Autore libro:Barrie James Matthew

A cura di: Redazione Internet
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