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Dolce domani (Il) - Sweet Hereafter (The)

Regia:Atom Egoyan
Vietato:No
Video:Lucky Red Home Video
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Giovani in famiglia
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Tratto dal romanzo omonimo di Russell Banks
Sceneggiatura:Atom Egoyan
Fotografia:Paul Sarossy
Musiche:Michael Danna
Montaggio:Susan Shipton
Scenografia:Philipp Barker
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Caerthan Banks, Maury Chaykin, Ian Holm, Arsinee Khanjian, Tom Mccamus, Stephanie Morgenstern, Earl Pastko, Sarah Polley, Gabrielle Rose, Alberta Watson
Produzione:Camelia Frieberg e Atom Egoyan
Distribuzione:Lucky Red
Origine:Canada
Anno:1997
Durata:

110'

Trama:

Mitchell Stevens, avvocato di valore, arriva a Sam Dent, cittadina innevata della Columbia britannica, dove si è appena consumata una grande tragedia: l'autobus scolastico è precipitato in un lago ghiacciato e tutti i bambini sono morti. Uniche sopravvissute, l'autista Dolores e una ragazza, Nicole, che rimane su una sedia a rotelle. Stevens spinge per fare causa ai responsabili e ottenere un congruo risarcimento ma deve convincere i genitori delle vittime a lasciargli delega di rappresentanza e così comincia a ricercare il consenso di parenti e testimoni. Tra i tanti, i coniugi Otto e Walker acconsentono subito, mentre Billy Ansell, che al momento dell'incidente, come ogni giorno, seguiva in macchina l'autobus, rifiuta, perché convinto che il processo porterà altro dolore alla comunità. Così però non la pensa Risa Walker, con cui Billy ha una relazione da quando è rimasto vedovo. Stevens, a sua volta in pena per la figlia drogata e sieropositiva con cui si sente per telefono, contatta allora Nicole che, nonostante Billy tenti di dissuadere il padre, alla fine si convince a testimoniare nell'udienza preliminare. Ma, di fronte al giudice, Nicole mente sulla velocità dell'autobus. La causa così viene archiviata. Stevens torna in città e vede Dolores che ha ripreso il lavoro di autista. Forse a Sam Dent adesso può tornare la pace.

Critica 1:Non è un film di denuncia sociale né un dramma giudiziario o una detective story. I suoi temi sono altrove: la sopravvivenza a una tragedia familiare, l'elaborazione del lutto, il senso di colpa degli adulti quando un bambino muore, la convivenza con il dolore. Da un romanzo di Russell Banks l'armeno-canadese A. Egoyan (1960) ha tratto il suo quinto e più maturo film, girato in Cinemascope come per prendere le distanze da una materia incandescente nel suo dolente pathos. Gran Premio della Giuria a Cannes.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Messi di fronte a un nodo, alcuni tentano di scioglierlo, altri amano perdersi nel suo intrico. Abbandonato il formalismo di Exotica (1994), in Il dolce domani (Sweet Hereafter, Canada 1997) Atom Egoyan ne conferma in ogni caso la poetica: un’attenzione estrema e morbosa all’intrecciarsi – ai nodi, appunto – di memoria, solitudine, amore, cattiva coscienza. Il punto focale del film è la vicenda interiore di Mitchell (un convincente Ian Holmes), preso tra il rimpianto per il rapporto perduto con Zoe, la figlia tossicodipendente, e l’ostinazione con cui coltiva il rancore e l’odio delle donne e degli uomini che, in un piccolo paese della Columbia Britannica, hanno perduto tragicamente i loro figli. Attorno a questa vicenda, dunque, Egoyan organizza i tempi della sua narrazione: il passato prossimo dell’incidente e della causa legale (dicembre del ’95), il presente d’un aereo che porta Mitchell da Zoe (novembre del ’97), il passato remoto del rischio di morte corso dalla stessa Zoe a tre anni, il futuro d’una dolcezza non più che sognata. Ad annodare questi diversi fili temporali c’è la memoria dei protagonisti e, con essa, c’è per tutti una qualche forma di colpa profonda, nascosta. Procedendo nelle sue indagini, Mitchell mette a nudo la complessità dissimulata dei rapporti interni alla piccola comunità chiusa. Il panorama esistenziale ambiguo che ne viene – biografie di vinti, amori furtivi, legami incestuosi – contrasta nettamente con la forza e l’univocità del loro dolore. O meglio: con la forza e l’univocità dell’immagine che essi ne hanno. Qualunque sia la loro condizione psicologica, questi padri e queste madri tendono a non farne gravare il peso sull’opinione che hanno di sé come padri e come madri. In altri termini, la loro cattiva coscienza è tenuta con cura fuori da quella specie di cerchio sacro che è o è stato il loro rapporto con i figli. Tuttavia, a infrangere questa loro convinzione di fondo – che è anche un’autodifesa –, arriva la strategia dell’odio proposta e orchestrata da Mitchell. Egli stesso "convinto" della propria buona coscienza a proposito della sconfitta esistenziale della figlia e in qualche modo della sua morte psicologica, elabora il lutto che in ogni caso gliene deriva secondo il più tipico dei meccanismi difensivi: quello dell’espulsione (paranoica) della colpa su un colpevole esterno. Non esistono incidenti, sostiene: sempre, da qualche parte, qualcuno ne porta la responsabilità. E su quel qualcuno – un altro, appunto – la rabbia e l’odio possono e devono essere canalizzati. Il vantaggio di questo meccanismo è evidente: consente di dare un senso al dolore, evitando che dalla sua forza nasca un’autointerrogazione rischiosa, una messa in questione della propria buona coscienza. In fondo, ci vien da pensare, a Mitchell ben si applica una delle possibili interpretazioni di quella storia terribile e mostruosamente ambigua che è Il pifferaio di Hamelin. Chi, se non i genitori, ha chiamato in città lo strano musicista? Chi, se non i genitori, lo induce a seppellire nella viscere della montagna ragazzini e ragazzine? Da un lato, dunque, c’è in loro una sorta di odio inconsapevole per i figli – ossia, una potente ambivalenza emotiva nei loro confronti –, dall’altro c’è la loro convinzione pervicace di non portare su di sé alcuna responsabilità. In fondo, il pifferaio fa loro comodo, così come fa comodo alle madri e ai padri di Egoyan quest'avvocato che promette di portarsi via anche la più lontana possibilità che la cattiva coscienza s’insinui fin dentro quel tale inviolabile cerchio sacro. Questo rimuovere ogni sospetto di colpa, questo sprofondarla nel gelo dell’oblio più radicale, è già ben presente nella sequenza – la più intensa del film – in cui il torpedone giallo scivola attraverso il bianco del ghiaccio e poi, inesorabilmente, ne viene inghiottito. Anzi, già qui s’intuisce all’opera il pifferaio, per ora nelle vesti della conducente, tanto dolcemente colma d’amore e, nella sostanza, tanto mortale. D’altra parte, il regista è troppo affascinato dai nodi per decidersi a scioglierli. Invece di scendere nel fondo dei cuori di Mitchell e degli altri per dipanarne il groviglio, preferisce intrecciarne ancora di più i fili. Dunque, del Pifferaio e dell’intrico psicologico del suo stesso film finisce per dare una lettura deliberatamente e ambiguamente apologetica. I personaggi vengono sempre più immersi nelle ombre delle loro coscienze (anche con una pesante sottolineatura psicologica che ricorda da vicino Exotica). Capita infine che, per paradosso, la chiusura meschina della comunità – colma di risentimenti, piccinerie, menzogne – venga celebrata attraverso il personaggio di Nicole come la dimensione propria di un improbabile "dolce domani". Così, in ogni caso, vuole la poetica di Atom Egoyan.
Autore critica:Roberto Escobar
Fonte critica:Sole 24 Ore
Data critica:

30/11/1997

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:Dolce domani (Il)
Autore libro:Banks Russell

A cura di: Redazione Internet
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