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Benvenuti a Sarajevo - Welcome to Sarajevo

Regia:Michael Winterbottom
Vietato:No
Video:RCS Films& Tv, L'Espresso cinema
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:La guerra, La memoria del XX secolo
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Tratto dal libro "Natasha's Story" di Michael Nicholson
Sceneggiatura:Frank Cottrell Boyce
Fotografia:Daf Hobson
Musiche:Adrian Johnston
Montaggio:Trevor Waite
Scenografia:Mark Geraghty
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Juliet Aubrey Helen Henderson, Stephen Dillane Henderson, Igor Dzambazov Jacket, Kerry Fox Jane Carson, Gordana Gadzic Signora Savic, Woody Harrelson Flynn, Emily Ann Lloyd Annie Mcgee, James Nesbitt Gregg, Emira Nusevic Emira, Marisa Tomei Nina, Goran Visnjic Risto
Produzione:Dragon Pictures per Channel Four Films e Miramax Films
Distribuzione:Mikado
Origine:Gran Bretagna
Anno:1997
Durata:

100'

Trama:

Sarajevo, 1992. I giornalisti occidentali realizzano servizi sull’assedio della città. Tra loro c’è Michael Henderson, corrispondente per una tv britannica, che vive la frustrazione di non poter far nulla di concreto per la gente di Sarajevo. Realizzando un servizio su un orfanotrofio che si trova sulla linea del fronte, conosce la piccola Emira. Nel servizio auspica l’evacuazione dell’istituto e, un giorno, si procura un pullman per portar via i ragazzi dall’orfanotrofio. Dopo esser stato intercettato dalle milizie cetniche, che rapiscono alcuni bambini musulmani, il pullman riesce finalmente a passare. Emira rimane con Henderson, che annuncia alla moglie a Londra l’arrivo della nuova ospite. Ma alcuni mesi dopo arriva una telefonata: la bambina ha una madre che la rivuole con sé. Emira vuole restare nella nuova famiglia e Henderson si reca a Sarajevo per incontrare la donna. Consapevole del fatto che la bambina è felice dov’è, la giovane accetta di lasciarla con la nuova famiglia.

Critica 1:Sei anni fa, nel novembre 1991, Michael Henderson, inviato speciale d'una rete televisiva inglese, mandò a Londra un servizio sulla caduta di Vukovar nell'ex Jugoslavia, sulla partenza dei sopravvissuti verso la Bosnia, e su un orfanotrofio sottoposto a bombardamenti quotidiani sulla linea del fronte. Pieno di orrore e compassione per il destino di quei bambini-bersaglio abbandonati, Henderson seguitò a parlare di loro sperando di indurre la comunità internazionale a fare qualcosa, non poté mantenere il distacco professionale e, indignato per l'indifferenza generale, intervenne personalmente riuscendo a far fuggire i bambini in Italia e adottando una di loro. La crudeltà della guerra aveva cambiato il cuore freddo del giornalista, il mutamento di lui aveva salvato vite umane: il messaggio non potrebbe essere più chiaro. Dall'esperienza di Henderson l'inglese Michael Winterbottom, l'autore di Butterfly Kiss e di Jude, ha tratto Benvenuti a Sarajevo: sarà magari più una buona azione che un bel film, ma lascia capire tutto lo strazio dell'assedio di Sarajevo meglio di quanto non abbiano fatto a suo tempo i notiziari televisivi, condanna aspramente una viltà dei leader politici europei, racconta con emozione una di quelle tragedie individuali della guerra nell'ex Jugoslavia sempre ignorate oppure mistificate dalla teleipocrisia del "caso umano". Utilizzando pure materiali documentari, il film vede la guerra con gli occhi dei giornalisti inviati speciali a Sarajevo chiusi nell'albergo Holiday Inn, per primo il reporter-star americano Woody Harrelson. Il racconto forte e sdegnato, capace di suscitare in ciascuno un senso di vergogna, risulta quindi quadruplo: la guerra, le vittime della guerra, i narratori della guerra, gli spettatori della guerra.
Autore critica:Lietta Tornabuoni
Fonte criticaLa Stampa
Data critica:

24/11/1997

Critica 2:Il nuovo film dell'arrabbiato inglese Winterbottom Welcome to Sarajevo è la denuncia dell'inferno della guerra nell'ex Jugoslavia, di cui è stato "riallestito" uno degli episodi più cruenti, la bomba al mercato di Sarajevo. Ma è anche un film controcorrente sul giornalismo d'assalto, visto con meno cinismo del solito, nonostante il personaggio di Woody Harrelson sia quello classico del deluso che passa al bar per rifarsi della propria impotenza e della crudeltà del mondo, cui affida in diretta tv il consumo di una tragedia. Vince la coscienza di un reporter inglese che tornerà a casa con una bambina dei campi profughi, come racconta Michael Nicholson in Natasha's story. Un film un poco schizofrenico, che testimonia la follia della guerra e l'indifferente gioco dei potenti. Qui la tragedia corale, là la storia privata, con la ricostruzione del conflitto, nella città considerata il 14mo luogo più pericoloso del mondo. Con Winterbottom (il cui talento espone le varie rabbie di Butterfly kiss”, Jude, Go now) si combatte contro l'indifferenza. Dove se mai Welcome to Sarajevo si rivela insufficiente è proprio nell'aspetto emotivo, tanto che deve rivolgersi alla fine al classico Adagio di Albinoni, per riannodare le fila sentimentali. Ma ben venga un film che, con un ottimo montaggio, lotta per non dimenticare e per denunciare il cinismo occidentale, sfiorando la poesia e parlando a nome di 300 mila bambini. Una cosa è certa: nessun uomo è moralmente abilitato a reggere l'agonia di un popolo. E i bambini sempre e comunque ci guardano.
Autore critica:Maurizio Porro
Fonte critica:Corriere della Sera
Data critica:

8/11/1997

Critica 3:Il film è ispirato all’esperienza vissuta dal reporter della tv inglese Michael Nicholson e raccontata nel libro La storia di Natasha, la cui protagonista è una bambina bosniaca che il giornalista riuscì a portare via da Sarajevo e ad adottare tra mille difficoltà. Come sottolinea la didascalia conclusiva del film, quella della sorte dei bambini e degli orfani è una delle questioni più gravi prodotte dalla guerra in Bosnia. Una tragedia corale rivista attraverso una storia privata: il film inizia con le immagini della caduta della città di Vukovar il 12 novembre 1991 e si conclude alla fine del 1993, quando il giornalista Michael Henderson ottiene dalla madre della bambina il permesso per l’adozione.
Aprendo il film con le riprese autentiche di quei giorni, Winterbottom spera di restituire un significato a quelle immagini di repertorio, facendole ritornare di attualità, dopo essere state neutralizzate dal grande contenitore spettacolare e rassicurante dei mass media e della televisione in particolare. Centrale nel film è infatti proprio il discorso fatto con e su le immagini: la spina dorsale della storia risiede nella decisione dell’inviato di trasformare la notizia su un orfanotrofio in pericolo in una vera e propria campagna stampa, per attirare la curiosità dell’Occidente. Da parte sua, Henderson ritiene che la strategia di insistere su un fatto in particolare, invece di abbandonarlo per dedicarsi a qualche altra notizia del giorno sulla Bosnia, permetta al lavoro di informazione di incidere in qualche modo sulla realtà che si sta testimoniando. Nei servizi televisivi Henderson cede la parola agli ospiti dell’orfanotrofio (vedi la scelta di mostrare uno a uno i loro volti, con i loro nomi e le loro storie). Il suo tentativo è quello di creare un rapporto che sia il più diretto possibile tra le vittime della guerra e gli spettatori: il giornalista realizza un collegamento in mezzo ai bambini subito dopo un bombardamento.
Henderson viene presentato sin dall’inizio del film come un personaggio legato alla presenza dei bambini. Mentre un collega americano si fa furbescamente immortalare in mezzo alla strada, un bambino che fugge al ralenti diventa un indicatore di percorso per Henderson e il suo cameraman.
Importante, secondo il disegno del film, è il fatto che Henderson sia un padre di famiglia e che proprio per questo resti maggiormente colpito dalla condizione degli orfani. Durante la sua prima telefonata a casa alla moglie, dall’altra parte della cornetta si sente la voce della figlia che chiama la mamma dal sicuro della sua cameretta. L’esplosione dei bombardamenti della scena seguente crea un forte contrasto con l’atmosfera rassicurante di quella precedente. Il percorso tracciato dal personaggio nel corso del racconto viene puntualmente segnato dalla presenza di figure di giovanissimi. Oltre a Emira, c’è la bambinetta che nella scena del massacro chiede al giornalista dove siano mamma e papà e, ricevuta la notizia della loro morte, se ne va da sola con il suo sacchettino di plastica contenente forse i pochi averi dei genitori. Sono, queste sui bambini al rallentatore, inquadrature che il regista costruisce in soggettiva, sottolineandone l’impatto e la permanenza nella mente del protagonista. Fanno parte di tale serie il piccolo che Emira è costretta a consegnare ai cetnici, quella del giovane completamente nudo che insegue invano il pullman con i profughi, la ragazzina che procede a fatica lungo una strada spingendo una carrozzella stracolma di legna, il chierichetto col vestito insanguinato che, nel sogno di Henderson, scappa e poi guarda intensamente negli occhi il giornalista, invitandolo a seguirlo.
Autore critica:Umberto Mosca
Fonte critica:Aiace Torino
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:Natasha's Story
Autore libro:Nicholson Michael

A cura di: Redazione Internet
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