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Gatto nero, gatto bianco - Crna macka,beli macor

Regia:Emir Kusturica
Vietato:No
Video:Cecchi Gori Home Video
DVD:Home Vi
Genere:Commedia
Tipologia:Minoranze etniche
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Emir Kusturica, Gordan Mihic
Sceneggiatura:Emir Kusturica, Gordan Mihic
Fotografia:Michel Amathieu, Thierry Arbogast
Musiche:Vajislav Aralica, Nele Karajillic
Montaggio:Mica Zajc Svefolik
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Florijan Ajdini (Zare), Zabit Mehmedovski (Zarije), Bajram Severdzan (Matko), Sabri Sulejman (Pitic)
Produzione:Karl Baumgartner
Distribuzione:Cecchi Gori
Origine:Jugoslavia
Anno:1998
Durata:

120'

Trama:

Pitic, padrino gitano magnate delle discoteche, e Zarije, proprietario di un cementificio, non si vedono da tantissimo tempo. Sono arrivati ad 80 anni e rimangono grandi amici. Zarjie vuole chiedere a Pitic del denaro per concludere un affare legato al mercato nero del petrolio. Per assicurarsi il prestito, Matko, figlio di Zarjie, dice a Pitic che suo padre è morto. Pitic ne è profondamente colpito e decide di andare sulla tomba di Zajie. Matko vuole coinvolgere nell'affare Dadan, re dei gangster gitani. Zare, figlio di Matko, deve sposare la sorella di Dadan, la piccolissima Afrodita. Ma il giorno del matrimonio Zare e Afrodita si ribellano e Zare aiuta Afrodita a scappare. La ragazza trova comprensione tra le braccia dello spilungone Grga, nipote di Pitic. Le cose sembrano appianarsi. Zare è libero di sposare la cameriera Ida e organizza subito un matrimonio per sé e per Afrodita. Mentre Pitic muore e si scatena il putiferio, Zare e Ida fuggono con una fisarmonica piena di soldi, minacciando il prete alla presenza di due testimoni, un gatto nero e uno bianco.

Critica 1:Gatto nero, gatto bianco (ma come si vedrà uno dei due felini è femmina) è Il tempo dei gitani girato da un Kusturica di buon umore - e con (un po' più di) senso della misura. E' anche il film apparentemente apolitico di un autore che dopo le polemiche seguite a Underground aveva annunciato che non avrebbe più fatto cinema. Insomma, sembra che il regista di Sarajevo dica "niente politica, siamo zingari" - e si scopre invece che sotto il film corre una sottile vena di promozione della bizzarria, tolleranza, vitalità di cui si nutre o si dovrebbe nutrire la koiné culturale jugoslava postbellica. Di Il tempo dei gitani il film di Kusturica (il sesto in tutto, lungo diciassette anni di lavoro) ritrova la nonna (Liubica Adzovi) nel ruolo di una nonna, i riti matrimoniali rumorosi e sovreccitati, il velo nuziale che vola per conto suo sullo sfondo del cielo, la festa dei decibel, l'estetica dei detriti colorati, la virilità aggressiva. Ma qui la vitalistica, smodata allegria di un mondo coloratissimo, picaresco, turbolento, grottesco, qualche volta persino poetico (si veda l'inseguimento da favola della nanetta travestita da tronco d'albero) si presenta come la faccia più immediata di un dualismo per cui, come nel West dei bei tempi, anche nella ex-Jugoslavia gitana tutti hanno la pistola facile, il denaro è la molla di ogni gesto e i clan sono l'un contro l'altro armati. Eccoci dunque sul bel Danubio blu affollato di barche, di traffici e di mascalzoni che non sembra abbiano mai sentito parlare di pulizie etniche o di Kossovo. Matki (Bajram Severdzan) è uno zingaro in cerca del colpaccio che gli cambi la vita. Ma gli riesce solo di combinare un gran pasticcio: il ras dei gangster locali lo frega a dovere, e la lotta tra i clan si riassume in un complotto degli adulti ai danni di due ragazzi riluttanti che dovrebbero sposarsi contro i loro sogni. Siamo in un cinema vitalistico, rumoroso, agitato, senza pause, che può provocare nello spettatore più delicato il mal di testa, come capita anche a uno dei due simpaticissimi ma faticosi padrini gitani del film. Ma se si riesce ad entrare nel gioco del film - che è nato, curiosamente, come documentario su un gruppo di musicisti ed ha preso la sua forma narrativa strada facendo - Gatto nero gatto bianco è divertimento in offerta speciale. Dal maiale che pazientemente e metodicamente sgranocchia la carrozzeria di un'auto al nonno fanatico di Casablanca (con relative citazioni ironiche), dalla gigantesca cantante acconciata alla Kaurismaki che fa uno strano numero con il sedere al ras Dadan Karambolo (lo strepitoso Srdjan Todorovic) perennemente scoppiato e survoltato, che porta la coca in un crocefisso e finisce, letteralmente nella merda, Gatto nero gatto bianco continua a sorprendere e quasi sempre a divertire: e anche se non è il miglior film di Kusturica (difficile battere le sue prime amarognole commedie o un capolavoro visionario come Underground ) il film lascia il segno, come è successo a Venezia, dove i suoi gitani sono stati, assieme alla borghesia provinciale di Racconto d'autunno, i concorrenti più attendibili al Leone d'oro andato a Gianni Amelio.
Autore critica:Irene Bignardi
Fonte criticala Repubblica
Data critica:

8/11/1998

Critica 2:Mettiamola così: un Kusturica minore vale sempre più di molti film “normali” che circolano per i cinema del mondo. Ripetendo un paragone artistico che usammo già da Venezia, vedere Gatto nero gatto bianco dopo l'immenso Underground è come passare dalla Cappella Sistina al tondo Doni: cambiano le dimensioni, ma è sempre Michelangelo. Il confronto tra il sommo Buonarroti e il bosniaco Emir vi sembrerà esagerato, ma sapete com'è: nel cinema, accanto a tanti venditori di saponette, c'è anche qualche artista, e Kusturica è uno di questi. In Gatto nero gatto bianco, suo sesto lungometraggio, Emir ha fuso la tematica del Tempo dei gitani (1989) con l'episodio delle nozze in Underground (1995), e li ha come compressi, girando un'opera molto compatta che per lui, abituato alle sceneggiature aperte e alle riprese senza fine, è a tutti gli effetti un “piccolo film”. Dopo una lunga premessa che serve a definire le tre famiglie su cui si impernia il film, Gatto nero gatto bianco racconta un matrimonio riparatore (ma per motivi economici, non morali...) all'interno della comunità gitana che ancora vivacchia, libera e agitata, nelle terre dell'Europa centrale. (...) Tra nozze mal combinate e morti nascosti in soffitta che si riveleranno ancora vivi, il film va avanti per 2 ore a ritmo frenetico, pieno di musica, di strilli, di trovate scenografiche e di animali che fanno da coro alle umane vicende (strepitoso il maiale che, lungo il film, si mangia a poco a poco un'automobile). Rinunciando del tutto alla narrazione classica, a favore dell'affastellamento di gag e di personaggi, Kusturica si rivela più che mai debitore della letteratura fantastica sudamericana, oltre che delle tradizioni dei natii Balcani: un Marquez trasportato in una Jugoslavia illusoriamente pacificata. Sì, perché sullo sfondo la guerra c'è sempre, se non altro nel vitalismo persino nevrotico con cui i rom tentano di affermare la propria identità, di fronte a un'Europa che non li vuole più.
Autore critica:Alberto Crespi
Fonte critica:l'Unità
Data critica:

6/11/1998

Critica 3:Il singolare titolo del film, che in una corretta traduzione dall’originale diventerebbe “gatta nera, gatto bianco”, trova un’efficace interpretazione all’interno del sistema che unisce i personaggi più giovani. Infatti Zare è bruno di capelli, di carnagione scura, lento e sognatore, mentre Ida è bionda, di pelle decisamente più chiara, sempre in movimento, molto pragmatica e sveglia. Ancora più deciso è il contrasto tra la piccola e indomita Afrodita e Grga Jr., il gigante spilungone e idealista.
Bella la prima coppia, decisamente bruttina la seconda. Ma proprio nell’antiteticità degli amanti, nell’attrazione tra gli opposti, risiede il carattere straordinario del sentimento d’amore che unisce i protagonisti. Personaggi che hanno tuttavia una caratteristica che li accomuna. Si tratta della tenera ingenuità e della dolcezza di cui sono disponibili nei confronti del mondo. Zare appare addirittura come una figura naïve, mentre la piccolissima Afrodita viene significativamente soprannominata “Bubamara”, coccinella. L’ambiente naturale, prezioso giacimento di metafore, è il luogo in cui entrambe le coppie si dichiarano. Zare e Ida nella sequenza dell’amore tra i girasoli, quindi in mezzo al fiume con la camera d’aria utilizzata come salvagente che rappresenta una felice condizione di isolamento dalle insidie del mondo. Il colpo di fulmine tra Grga Jr. e Afrodita avviene nel bosco, luogo archetipico dell’universo fiabesco, di cui i due rappresentano il mito rovesciato di Cenerentola e del Principe Azzurro.
Tutti i personaggi dei giovani denotano inoltre una naturale propensione alla ribellione. Abitanti di un mondo che vuole essere la complessa allegoria di un moderno Far West, essi trovano nel loro atto di protesta contro le leggi degli adulti un barlume di possibilità di non diventare dei criminali. Nella visione del film i Balcani di oggi vengono rappresentati come un mondo in cui regna la corruzione e dove la microcriminalità, spezzettata e spesso esercitata individualmente, costituisce il solo modello di sopravvivenza. Emblematica, in tal senso, la scena in cui una ragazzina imita il film Strade di fuoco di Walter Hill, attribuendo all’immaginario di matrice occidentale una matrice d’ispirazione assai diffusa tra i giovani dell’Europa dell’est.
Quella descritta dal film è una società dove regna la tradizione: è la nonna di Ida ad affermare che andare contro la tradizione porta male. Una società dove trionfa l’educazione all’immagine esteriore: la nonna di Ida dice alla ragazza che non deve farsi vedere dalla gente mentre sta piangendo. Ma soprattutto si tratta di una società profondamente patriarcale, dominata dall’imposizione dei padri sui loro eredi, dove l’unico obiettivo è quello di sistemare materialmente i propri figli attraverso un matrimonio d’interesse. Ma spesso e volentieri proprio i personaggi che sono apparentemente più deboli arrivano a farsi beffe dei più forti, li mettono in una luce ridicola, sovvertendo l’ordine del mondo. E le vittime di un tale sovvertimento sono gli appartenenti alla generazione di mezzo.
Oltre alla simpatia nei confronti dei giovani, il film è caratterizzato anche dalla simpatia verso gli anziani. Gli adulti in attività vengono, infatti, rappresentati come ossessionati unicamente dagli affari e dalle speculazioni. Si instaura così un rapporto privilegiato tra nipoti e nonni che salta una generazione di adulti falliti o ipocriti. I vecchi, che appartengono in modo romantico al passato, non muoiono mai veramente, sono sempre pronti a risorgere, come accade ai due vecchi amici uniti da un legame che costituisce l’incipit del racconto. Sarà proprio uno dei nonni a nascondere in una fisarmonica il denaro ricavato dalla vendita della cava per garantire un futuro a Zare e a Ida in viaggio sul fiume della vita. Come a dire che è nell’arte, nella musica e nella poesia, che risiede la vera ricchezza.
Autore critica:Umberto Mosca
Fonte critica:Aiace Torino
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:
Autore libro:

A cura di: Redazione Internet
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