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Capitan Conan - Capitaine Conan

Regia:Bertrand Tavernier
Vietato:No
Video:Mondadori Video, Bim
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:La guerra
Eta' consigliata:Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori
Soggetto:Tratto dal romanzo "Capitaine Conan" di Roger Vercel
Sceneggiatura:Jean Cosmos, Bertrand Tavernier
Fotografia:Alain Choquart
Musiche:Oswald D'Andrea
Montaggio:Luce Grunenwaldt
Scenografia:Guy-Claude Francois
Costumi:
Effetti:
Interpreti:François Berleand, Olivier Bruhnes, Jean Claude Calon, Franck Jazede, Daniel Langlet, Samuel Le Bihan, Bernard Le Coq, François Levantal, Christophe Odent , Frederic Pierrot, Catherine Rich, Claude Rich, Jean Yves Roan, Daniel Russo, Philippe Torreton, Cecile Vassort
Produzione:Little Bear , Les Films Alan Sarde, Tf1 Films Production
Distribuzione:Bim
Origine:Francia
Anno:1997
Durata:

127'

Trama:

Nel settembre del 1918, durante la prima guerra mondiale, l'esercito francese ottiene una decisiva vittoria e la resa della Bulgaria. A distinguersi in quella battaglia sono gli uomini, tutti ex galeotti, comandati dal capitano Conan. Firmato l'armistizio, gli uomini di Conan, di stanza a Bucarest, si abbandonano a violenze e saccheggi. Viene inviato ad indagare sull'accaduto il tenente Norbert, buon amico di Conan. L'amicizia fra i due viene messa a dura prova dai risultati dell'indagine.

Critica 1:In La vita e nient'altro (1989) Bertrand Tavernier racconta del maggiore Dellaplane, bloccato da qualche parte nella pianura di Verdun, due anni dopo la fine della Grande Guerra, con l'incarico d'identificare e "contabilizzare" i cadaveri dei soldati francesi. In Capitan Conan (Capitaine Conan, Francia, 1996) sposta lo scenario a Est, in Bulgaria e in Romania, tra il '18 e il '19. In ogni caso, torna a osservare con orrore freddo il lavoro della morte: allora facendone un bilancio, ora mostrandolo nel suo prodursi. Al centro di La vita e nient'altro c'è una galleria scura, piena di corpi, macerie, bombe, gas. Come il maggiore Dellaplane, anche la macchina da presa tenta d'entrarci. Ma ogni volta qualcosa la respinge: un'esplosione o un emergere d'angoscia, uno sviluppo narrativo o una crisi di panico. E così, quella sua bocca nera diventa l'immagine d'un vuoto, d'un nulla che nega al cinema ogni capacità di vedere, che gli impedisce di fare del suo occhio un organo privilegiato della coscienza. A questa immobilità ossessiva, a questo succedersi di blocchi e inibizioni dello sguardo, Capitan Conan sostituisce un vorticoso accumularsi d'immagini e mutar d'orizzonti. Da misurato e analitico, il montaggio di fa concitato ed ellittico. Quel che ora Tavernier cerca è di tenere il passo con il lavoro della morte, proprio mentre avviene. Non solo nel senso che, di quel lavoro, vuole dare una rappresentazione "dall'interno", ma pure nel senso che è deciso a mostrarlo anche "dall'esterno", incarnato in un corpo sovraindividuale, che finisce per diventare uno dei protagonisti se non addirittura il protagonista del film. L'inizio di Capitan Conan è tutto dentro la materialità dell'uccidere e di quella, speculare, dell'essere uccisi. La macchina da presa si mescola a Conan e ai suoi, e partecipa alle loro azioni da "lupi" (dando a questa parola un senso umano, troppo umano che nulla ha a che vedere con i lupi). Tagliare la gola a un nemico è ridotto a questione tecnica. L'omicidio è trasfigurato in prestazione professionale, e anzi in manifestazione d'alta moralità, di virtù eroica. Così, subito, Tavernier ci porta fino in fondo all'abisso in cui i gruppi umani precipitano, ogni volta che oppongono la propria totalità e chiusura alla totalità e chiusura di altri gruppi umani. Si tratta della contraddizione abissale, appunto, di pretendere dai singoli che considerino morale e virtuoso quel che, nella normalità, è loro imposto di considerare criminale. Per governare la contraddizione, una sorta di "astuzia" sociale ha escogitato le varie, complesse ritualità di mobilitazione che, tenendoli quasi per mano, conducono gli uomini e le donne dalla normalità della pace alla straordinarietà della guerra. Ebbene, Tavernier mostra quale sia il luogo verso cui quell'astuzia conduce. Dopo la prima sequenza, Tavernier porta la macchina da presa sull'altro lato della morte, su quello dell'essere uccisi. E qui, di nuovo, l'occhio del cinema si fa singolo tra singoli, confuso tra i fanti che, spaventati e derubati del diritto a decidere della propria vita, vanno incontro alle pallottole, ai coltelli di altri soldati. Non ha blocchi, non ha inibizioni, ora, lo sguardo della macchina da presa. Vede tutto: i cadaveri spogliati e depredati delle scarpe, gli uomini che restano bloccati, catatonici di fronte all'orrore, e gli uomini che, invece, in quello stesso orrore respirano aria di festa. Ma a questo profluvio di immagini manca, necessariamente, ogni senso che non sia lo smarrimento. Non c'è un "punto di vista" che possa dar loro ordine. Quando il film s'allontana dal campo di battaglia, dopo l'armistizio, permane quello smarrimento e quell'impossibilità, anche se ora i riti della smobilitazione, lenti e difficili, tentano di ricondurre alla normalità uomini abituati per anni a vivere nella straordinarietà della morte data e subita. Qui, appunto, Tavernier mostra dall'esterno il lavoro della morte, incarnato in quel corpo sovraindividuale che è l'esercito. Ce lo mostra smarrito, costretto a muoversi tra Romania e Bulgaria, senza meta finale e combattendo una guerra che non c'è più. E ce ne mostra anche la contraddizione interna: spostandosi, porta con sé - mostruosità che gli appartiene necessariamente - un gruppo di criminali che sono eroi e di eroi che sono criminali. Questo, alla fine, è il più tragico tra i frutti della morte al lavoro: questa produzione di lupi e, insieme, quest'autodifesa necessaria dai lupi. Il risultato è la sofferenza e l'annichilimento: non la sofferenza e l'annichilimento di entità generiche e astratte, ma proprio della carne e dello spirito dei singoli. Che si tratti di "vigliacchi" o di "guerrieri", il loro destino è l'insensata, muta bocca nera che, inutilmente, il maggiore Dellaplane cerca di penetrare.
Autore critica:Roberto Escobar
Fonte criticaSole 24 Ore
Data critica:

8/6/1997

Critica 2:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:Capitaine Conan
Autore libro:Vercel Roger

A cura di: Redazione Internet
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