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Anna - Anna

Regia:Nikita Mikhalkov
Vietato:No
Video:Mondadori Video
DVD:
Genere:Documentario
Tipologia:Diventare grandi
Eta' consigliata:Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori
Soggetto:Nikita Mikhalkov
Sceneggiatura:Nikita Mikhalkov, Sergej Mirochnitchenko
Fotografia:Vadim Alissov, Vadim Ioussov, Elisbar Karavaev, Pavel Lebesev
Musiche:Eduard Artemyev
Montaggio:Leonora Praksina, Gin San-Un
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Anna Michalkov, Nikita Mikhalkov
Produzione:Camera One (Francia), Studio Trite (Russia)
Distribuzione:Columbia
Origine:Francia
Anno:1994
Durata:

100'

Trama:

Un documento-testimonianza filmato, dal 1980 al 1991, nel quale Nikita Mikhalkov pone precise domande alla sua bambina, Anna, di sei anni (una piccola "pioniera" dell'epoca di Brezhnev) fino alla sua adolescenza inoltrata. Le domande concernono desideri e speranze, gioie e paure alternate ad eventi collettivi, vita quotidiana di leader politici (Chernenko, Andropov, Gorbaciov) e la perestroika, fino al termine dell'URSS come sistema politico centralizzato, al contrastato potere di Eltzin e alla rinascita della Comunità Russa. Dell'immenso universo che si è allontanato da Dio vengono citati gli episodi più salienti, molte imprese, forze e risorse umane, aneliti occultati e vitalità. Anna la bambina ne rispecchia nella sua intelligenza ed innocenza tutto ciò che la formazione collettiva le ha imposto finché, alle soglie della giovinezza, identifica con più cosciente immediatezza ciò che, in orizzonti più ristretti, cuore e sentimenti le suggeriscono: la terra a cui avverte di essere legata e vicina; la casa e gli affetti familiari; la salute e la felicità per sé e i propri cari in un mondo aperto e vivibile nella pace e nella libertà.

Critica 1:Per 12 anni dal 1979 al 1990 il regista russo (1945) di Schiava d'amore filma a intervalli regolari la propria figlia, ponendole ogni volta le stesse domande sui suoi desideri e paure, raccontando in parallelo la propria versione sulla storia del suo paese nel suo tormentato passaggio dall'epoca di Breznev al postcomunismo. La parte privata di questo film casalingo è interessante e offre almeno un momento di emozionante intensità (la morte della madre di Nikita, nonna di Anna); formata da immagini di repertorio già viste e montate in modi o convenzionali o facili, la parte pubblica è commentata da considerazioni in altalena tra buon senso e banalità.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:All'origine c'è un'idea; alla fine un colpo di fortuna che premia quest'idea. Anna, l'home movie con cui, anno dopo anno, Mikhalkov vuole raccontare la crescita di sua figlia, dai sei ai diciassette anni, diventa il racconto dell' agonia e della fine di un regime e del magma indistinto che ne prende il posto. Il privato diventa pubblico con violenza inattesa. Un cambiamento storico interferisce nel percorso di un'educazione e l'home movie si trasforma in un sorprendente film politico sempre in bilico tra l'emozione privata e l'irruzione della storia. Da seguire o per cento minuti senza un attimo di noia. Ma anche da confutare su entrambi i pia-ni della narrazione. L'home movie, anzi-tutto. Questa famiglia, profondamente russa, ma riciclata nell'establishment sovietico, è un mondo a sé ed è fiera di esserlo. Mikhalkov si pretende incarnazione della tradizione più nobile della Russia e crede di poter giudicare il Paese dall'alto della sua cultura e del suo albero genealo-gico. L'educazione di Anna, assieme a ful-minee verità, mescola silenzi e reticenze.
Il regista denuncia la mancanza di Dio, la scomparsa del senso del peccato e della colpa, ma non racconta l'educazione reli-giosa tra le pareti domestiche, lasciando credere che non ci sia. Perché allora il rimpianto? Anna, con l'età scolare, dice che desidera “dare le risposte giuste”. Il regista commenta di aver conosciuto anche lui, da bambino, la paura di sbagliare, una paura “che si insinuava in quelli che vivevano nel nostro Paese”. È vero, le risposte spontanee di Anna diventano, a contatto con la scuola, ufficiali (e solo più tardi ritorneremo spontanee e personali). Ma questa stessa scoperta potrebbe essere fatta con qualunque bambino e ovunque, forse solo sostituendo alla scuola, sovieti-ca e corruttrice, la coeva tv, non meno cor-ruttrice, di fronte a questo circo televisivo made in Japan o in Usa, le canzoni dei pionieri, che peraltro esaltavano una fra-tellanza tra i popoli sovietici la cui alter-nativa si sarebbe rivelata prossima al tri-balismo. Ed è facile imputare a Mikhalkov la colpa di prevaricare Anna, riducendola a oggetto di un suo test, banale come quel-lo proposto da un settimanale. Il ritratto del sistema è lineare durante tutto il film: “C'è l'imperatore, le guardie, i volontari, i commercianti, gli artisti, i cittadini. C'è tutto, tranne Dio. O meglio c'è una pletora di piccole divinità viventi, ma la gente non ospita un autentico Dio dentro se stessa”. Cambiano i capi, cade il regime, ma il giudizio di Mikhalkov non cambia. “Più l'impero cercava di apparire maestoso, più ognuno di noi coltivava la sua piccola patria”. Il montaggio alterna celebrazioni ufficiali al suono dell'Internazionale e squarci di "vita reale". Il regista commenta: “Era ben altra la vita che si viveva e i canti che si intonavano”. La centralità della guerra in Afghanistan nell'accelerazione della crisi del regime è opportunamente sottolineata, ma a danno di altre cause, come l'offensiva della presidenza Reagan, taciuta forse dal regista per non doversi misurare con il proprio nazionalismo. Alla tragedia di Cernobyl sono dedicati pochi secondi; molti di più a un già dimenticato terremoto in Armenia. Ma Mikhalkov accomuna i due fatti in un giudizio solo: “La divina natura risponde con l'autodistruzione”. Questa visione spiritualistica guida per mano il regista. Che sull'esperienza (laica) della glasnost dice: “Si avveravano le profezie dell'Ecclesiaste: più la gente imparava meno gioia riusciva a trarne”.
Il futuro è proiettato in una dimensione infernale: esplode il Challenger, un Mig precipita a Le Bourget, divampa il fondamentalismo iraniano, Gaultier impone la sua moda delirante ai giovani. “II posto riservato a Dio resta carente” commenta il regista, “e viene alla luce un esercito di stregoni, pronti a riempire quel vuoto. Che plagiano spiriti vulnerabili che sprofondano in un'incertezza ancora più grande”. Mikhalkov dileggia il passato sovietico, ma non crede nella perestroika, e di Eltsin dice solo che andava appoggiato contro il golpisti del '91. Il suo cuore batte al passato remoto, un passato di cui scopre le tracce nella pietà popolare, nei prati, nei campi di grano, negli stagni, nelle anse dei fiumi.
Il regista nutre il suo film di un'ambizione tutta letteraria. Nel 1980 ha appena terminato di girare Oblomov e si propone di mettere a confronto l'infanzia di sua figlia, cittadina dell'impero sovietico, e quella del piccolo Iliusha Oblomov, cittadino dell'impero russo. L'esaltazione dell'impero zarista è palese. “Fuggendo di casa”, dice Mikhalkov, “Iliusha non poteva smarrirsi, perché le persone che incontrava sul suo cammino vivevano secondo le leggi che erano state dei loro antenati, perché la vita della sua casa e quella del suo paese erano parte della stessa storia. Anna, invece, fuori di casa, trova un mondo di artifici e mistificazioni”. Anna e Iliusha: qual è il punto di divergenza tra le due infanzie? “A separarle sono la fede e l'assenza di Dio”. L'assenza di Dio, aggiunge il regista, ignorando buona parte della cultura degli ultimi secoli, “significa aver perduto il rispetto per la vita e per la morte”. Quando Anna, ormai diciassettenne, lascia commossa la Russia (per andare a studiare in Svizzera!), il papà-regista si chiede se Iliusha, alla stessa età, si sarebbe messo a piangere lasciando la patria. “Penso di sì”, risponde, “perché l'assenza di Dio che separava queste due Russie non è riuscita a distruggere il suo amore universale, quest'amore che fa piangere e la cui forza e purezza sono note in tutto il mondo come la misteriosa anima stressa”. Anna si iscrive a pieno titolo nella filmografia di Mikhalkov, ma, nel suo autobiografismo e nella sua impronta documentaria, ne rappresenta la versione estrema, dì gran lunga la peggiore. Le note dolenti, pseudocecoviane, il crepuscolarismo, la nostalghia, che erano stati i tratti caratteristici della produzione migliore del regista, si ritrovarono tutti in quest'ultimo film, ma senza essere passati attraverso le maglie della drammaturgia e quelle della censura: una doppia camicia di forza che costringeva il regista al confronto, suggerendogli pietà e passione. Con esiti spesso eccellenti. In Anna Mikhalkov usa il megafono invece della pianola. Firma un tradimento contro se stesso, prima ancora che contro la storia.
Autore critica:Giorgio Rinaldi
Fonte critica:Cineforum n. 354
Data critica:

5/1996

Critica 3:
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Data critica:



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