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Dov'è la casa del mio amico? - Khaneh - ye doost kojast?

Regia:Abbas Kiarostami
Vietato:No
Video:General Video, San Paolo Audiovisivi
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Diventare grandi, Il mondo della scuola - Bambini, Infanzia di ogni colore
Eta' consigliata:Scuole elementari; Scuole medie inferiori
Soggetto:Abbas Kiarostami
Sceneggiatura:Abbas Kiarostami
Fotografia:Farhad Saba
Musiche:Jahangir Mirshekari
Montaggio:
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Ahmad Ahmadpur, Babak Ahmadpur, Ayat Ansari, Khodabakhsh Defai, Iran Otari
Produzione:Institute for the Intellectual Development of Children and Young Adults
Distribuzione:Mikado
Origine:Iran
Anno:1987
Durata:

85'

Trama:

Un bambino si accorge di aver messo per sbaglio in cartella il quaderno del vicino di banco e sa che il maestro pedante lo punirà se non farà il compito sul quaderno giusto. Vorrebbe quindi riportarglielo, nel villaggio vicino dove egli abita, ma i genitori non lo lasciano andare, lo assillano con i compiti da finire e le mille commissioni casalinghe che i bambini "devono" fare. Finalmente si libera e va di nascosto a cercare la casa del compagno, ma non riesce a trovarla, passa da un'indicazione sbagliata a un equivoco, perde tempo con vecchi noiosi e chiacchieroni, si smarrisce fra i vicoli, si lascia sorprendere dall'oscurità. Tornato a casa senza averlo trovato, il compagno farà, nella notte, il compito anche per lui.

Critica 1:Dov'é la casa del mio amico? di Abbas Kiarostami è un film magnifico, bello di immagini e con sottigliezze psicologiche e critiche inaspettate. Lo si poteva credere un film di regime poiché è prodotto da un "Istituto per lo sviluppo intellettuale dei bambini e dei giovani", ma non ha nulla dell'opera di propaganda anche se non rinuncia a un suo discorso sulla società e le sue vecchie abitudini. Lo spunto drammatico è semplicissimo, degno di Ladri di biciclette. Una storia fatta di nulla e che ripercorre sempre gli stessi luoghi, le stesse assenze, mentre sul volto del bambino crescono la stanchezza e lo smarrimento. Una piccola tragedia scolastica ma più olmiana che deamicisiana, lontana dalla supponenza pedagogica del Cuore e tutta dalla parte dei bambini e contro la inavvertita prepotenza quotidiana degli adulti.
Autore critica:Alberto Farassino
Fonte criticaLa Repubblica
Data critica:



Critica 2:A proposito di questo film di Kiarostami, torna in mente uno splendidi racconto kafkiano: La passeggiata improvvisa... È sera e si è già in vestaglia, decisi restare in casa: fuori il tempo è poco invitante, eppoi l'uscire, dopo essersi trattenuti tanto a tavola con gli altri desterebbe stupore; senza contare che le scale sono già al buio e il portone sprangato. E tuttavia, come per un disagio improvviso, ci si veste, si dichiara di voler andar fuori e dopo un breve saluto, lo si fa. Quando ci s ritrova per la strada, si sente che i muscoli rispondono con particolari scioltezza all'inaspettata libertà che si è procurata loro; si sente che per merito di questa sola decisione si è raccolta in se stessi qualsiasi capacità di decisione e si corre per le lunghe strade: allora per questa sera “si è completamente usciti dalla propri famiglia, che si perde nel vuoto mentre la nostra personalità raggiunge la sua vera immagine, ferma, nera nel contorno, battendosi dietro le gambe. E tutto si rafforza ancor più, se a quella ora tarda si cerca un amico per vedere come sta”. Kafka disegna, attraverso la scrittura di questo racconto, il profilo di un'identità che riesce, finalmente, a trovarsi fuori dallo spazio e dal tempo claustrofobico della famiglia. (...)
Così nel film di Kiarostami, il piccolo Ahmad si libera dai vincoli di una famiglia che ripete nel microcosmo della relazione parentale il macrocosmo del sistema politico, sociale, religioso islamico, regolato da leggi eterne.
Il linguaggio filmico, in sintonia con la propria elementarità diegetica, articola parole di grande realismo: tempo e spazio coordinano inquadrature che rispecchiano nel silenzioso torpore dell'azione visiva e sonora, la pesantezza di un mondo chiuso, stagnante nell'incuria di una pavida indifferenza. Anche la fotografia restituisce nelle luci e nei colori una squallida spossatezza. Ma per Ahmad la liberazione non proietta come miraggio: pur significando simbolicamente il percorso rituale di un viaggio di iniziazione, la “passeggiata” del bambino ha una sua concreta realtà: è indirizzo di consapevolezza, di libertà, che non può esse tradito: a costo di violare la Legge. Se nel miraggio kafkiano c'è più la forza virtuale, onirica, di produrre cambiamento, di “uscire fuori” dalla soffocante trama familiare, nella parabola di Kiarostami si avverte piuttosto il bisogno, concreto, realistico, di cambiare un ordine vecchio con un ordine nuovo. Cercare un amico è per Kafka il gesto audace di un sonnambulo, che soltanto nel sonno più fantastico, può liberare se stesso dalle catene di carne della propria famiglia e spingersi lontano.
Perché Kafka è accorpato alla propria famiglia: per lui “cercare un amico” è realmente impossibile. Invece, per il piccolo Ahmad, la casa dell'amico è raggiungibile: il bambino è capace di porsi in modo autonomo di fronte le proprie responsabilità: è capace realmente di aprire la porta ed uscire fuori; oltrepassare la soglia senza provare smarrimento, “battendosi dietro le gambe”, diretto verso la casa del suo amico. Non è un sogno impossibile.
Con ostinazione Ahmad buca il muro di incomprensione profonda che divide il mondo dell'infanzia dal mondo adulto. Le sue domande sono per lo più destinate a rimanere senza risposta, ma in quanto forma linguistica dell'apertura, per il fatto stesso venire pronunciate, agiscono una comunicazione.
Proprio la comunicazione come strumento per operare un cambiamento è posta da Kiarostami al centro del film. Il bambino ha già imparato a conoscere il potere del linguaggio, attraverso cui raggiungere le cose: la casa dell'amico è l'altrove sconosciuto l'amico è quell'altro straniero. Il linguaggio però può vincere questa distanza paurosa, pigra, ignorante: più nessuna rassegnata accettazione è accettabile. La tradizione smarrita nei suoi valori originari dall'uso mascherato che ne ha fatto il potere, viene riscritta sul campo dell'esperienza, a contatto con la realtà.
Ed è l'incontro con il vecchio falegname a restituire un volto alla tradizione: una tradizione il cui passo stanco, impedito dagli anni, le giovani gambe del bambino faticano a seguire ma che senz'altro conosce e può con durre all'indirizzo segreto: finalmente una risposta a “Dov'è la casa del mi amico?”.
Il vecchio guida con saggezza il viaggio del bambino, della sua giovane coscienza, lungo il tratto più arduo mentre la notte confonde le tracce, indizi per una diversa possibilità di scelta. E sono proprio le scelte di Ahmad a contrappuntare tutto il film: veri e propri atti di parola, contrapposti al mutismo sordo degli adulti.
La madre, il nonno, il maestro, la vecchia malata e le altre donne: comparse tiranniche nella vita del bambino tanto assenti quanto condizionanti Ma Ahmad sembra non curarsene: ostinatamente continua nella ricerca della strada. Quando la madre gli proibisce di andare dall'amico per restituirgli il quaderno, il bambino non smette di spiegare, di chiedere ancora e ancora spiegare: non abbandona la fiducia di farsi comprendere. E tuttavia, incompreso, prosegue.
Ahmad deciderà di fare i compiti per l'amico Mohamed: la scrittura viene a sacralizzare la possibilità di una comunicazione che tra bambini è gesto spontaneo, linguaggio fisico di incontri, scambi, maturazione. L'altro, infatti, è per i bambini sinonimo di libertà e rispetto: e tutto questo la loro giovane, nuova scrittura, scrive. Forse è per questo che spunta un fiore tra le pagine del quaderno: quel fiore che la saggezza antica del vecchio falegname aveva consigliato ad Ahmad di conservare.
Così il quaderno di Mohamed diventa il quaderno di Ahmad: un solo quaderno: una lingua comune. Per comprendersi.
Dunque, fuori della fiabesca metafora da racconto delle “mille e una notte”, di cui Kiarostami si serve per fare un film oltre che sui bambini anche per i bambini stessi (che costituiscono la metà della popolazione iraniana), Dov'è la casa del mio amico? resta, realisticamente, come documento di ricerca condotta sulla possibilità di una comunicazione, di un linguaggio, che sappia stabilire, nel recupero dei valori originari, etici, non ancora contraffatti dall'uso storico del pensiero politico e della pratica religiosa, il sentimento di un'esperienza che nessun dogmatismo, tirannicamente conservatore o terroristicamente rivoluzionario, può schiacciare.
Così, la famiglia, la sua Legge, resta alle spalle del figlio che corre in strada a cercare l'amico: per restituirgli il suo quaderno. La porta è spalancata ormai e Ahmad contempla fuori la notte ventosa: le lenzuola si agitano, bianche nel buio. Però non fanno paura, perché il fuori non è più diverso, estraneo; Ahmad ora sa dove abita Mohamed: i contorni dei due amici sono chiari e fermi.
Autore critica:Emanuela Imparato
Fonte critica:Cineforum n. 312
Data critica:

3/1992

Critica 3:Dov’è la casa del mio amico? è essenzialmente un film di viaggio. Utilizzando una “tecnica del pedinamento” di matrice neorealista, l’autore mette in scena il cammino di Ahmad attraverso la campagna che separa il suo villaggio (Quoker) da quello dell’amico (Posteh) e quindi tra i viottoli della stessa Posteh. Simbolo del suo viaggio di ricerca è senz’altro il sentiero a zig zag che va a Posteh, disegnato sulla collina sormontata da un albero solitario. Due figure, quelle del serpente e dell’albero, che costituiscono un’allegoria del desiderio di conoscenza che funge da motore per la formazione del personaggio; rappresentano infatti la curiosità di Ahmad nei confronti di ciò che si trova al di là dei ristretti confini della sua casa, dentro la quale lo vorrebbero costringere la madre e la nonna.
Si può notare anche l’utilizzo degli elementi architettonici del cortile e dell’abitazione per sottolineare il regime di chiusura, fatto di obblighi e divieti, cui viene sottoposto Ahmad. È interessante, inoltre, il fatto che il sentiero a zig zag sia stato fatto tracciare ai bambini protagonisti prima delle riprese del film e che l’albero sia stato appositamente trapiantato laddove prima non c’era, secondo quel legame profondo tra il cinema e l’esperienza di vita (i bambini sono attori non professionisti) che caratterizza l’opera di Kiarostami e di altri autori iraniani.
La scelta compiuta da Ahmad di lasciare la casa nonostante il divieto della madre è da leggersi come un’assunzione di responsabilità nei confronti dell’ottusità degli adulti: nei confronti dell’inflessibilità con cui il rappresentante dell’istituzione scolastica impone le sue regole, ma anche nei confronti della miope determinazione con cui la madre si ostina a non considerare le ragioni del figlio; nei confronti, infine, dei personaggi incontrati lungo la strada, che risultano essere sempre troppo impegnati nelle loro faccende per dar retta al ragazzino.
E’ il caso, ad esempio, della donna cui è caduto in strada il lenzuolo, dell’uomo con l’asino, del vetraio che rimpiange i bei tempi passati e si muove in modo estremamente lento, esasperando il protagonista e lo spettatore del film. Tutto ciò favorisce l’identificazione con il personaggio di Ahmad (a questo proposito, è importante sottolineare la strategia narrativa costante con cui si fa puntualmente slittare il momento dell’incontro tra i due protagonisti, rendendo Ahmad. davvero troppo piccolo in confronto all’impresa che deve svolgere).
Centrale nel film è il rapporto tra il protagonista e gli anziani. A partire dalla nonna, che ripete all’infinito una serie di regole di comportamento di tipo formale, come quella di togliersi le scarpe prima di entrare in casa; proseguendo con i due vecchi incontrati a Posteh, che parlano dell’importanza, per un bambino, del rispetto della tradizione; per finire con il vetraio, che invece di dare ascolto al piccolo, si sofferma sulle moderne tecniche di costruzione delle finestre, un argomento rispetto al quale Ahmad non può che essere completamente indifferente.
Da ricordare, ancora, la figura di un altro compagno di Ahmad, incontrato lungo la strada, costretto dai familiari a trasportare pesantissimi secchi pieni di latte. Attraverso queste relazioni intergenerazionali a senso unico viene sottolineato il ruolo indiscutibile esercitato dalla tradizione all’interno della comunità e la totale subordinazione a essa delle istanze provenienti dalla componente più giovane della comunità stessa.
Autore critica:Umberto Mosca
Fonte critica:Aiace Torino
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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