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Fuga dalla scuola media - Welcome to Dollhouse

Regia:Todd Solondz
Vietato:No
Video:Lucky Red Home Video
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Il mondo della scuola - Giovani
Eta' consigliata:Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori
Soggetto:Todd Solondz
Sceneggiatura:Todd Solondz
Fotografia:Randy Drummond
Musiche:Jill Wisoff
Montaggio:Alan Oxman
Scenografia:Susan Block
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Heather Matarazzo, Victoria Davis, Brendan Sexton Jr., Daria Kalinina, Christina Bucato
Produzione:Todd Solondz
Distribuzione:Lucky Red
Origine:Usa
Anno:1995
Durata:

87'

Trama:

Dawn Wiener, seconda figlia di una famiglia ebrea nel New Jersey, ha undici anni, è bruttina, porta occhiali spessi e veste decisamente male. Cerca di essere aperta e allegra ma non trova comprensione. A casa i genitori la mettono sempre in difficoltà, la sorellina Missy viene coccolata e preferita, mentre il fratello maggiore Mark, esperto di computer e componente di una band musicale, non le dà molta attenzione. A scuola il teppistello Brandon minaccia di stuprarla, e lei, dopo avere invano corteggiato un amico di Mark, sembra decidersi a cedere ma Brandon alla fine rinuncia. La vera ossessione di Dawn è quella di riuscire a crescere il prima possibile, e, dopo tante delusioni da adolescente, non può fare altro che chiedere al fratello maggiore com'è la vita quando si arriva alla scuola superiore.

Critica 1:“ La gente afferma di avere avuto un infanzia felice, mentre il realtà la loro è sicuramente stata un'infanzia infelice da cui si sono liberati con uno sforzo immane. E per questo motivo affermano di aver avuto un'infanzia felice: perché sono sfuggiti a quell'inferno che è, appunto, l'infanzia”. E' una frase di Thomas Bernhard che il regista Todd Solondz ha scelto come epigrafe per il suo film, ed è giusto citarla per capire subito di che stiamo parlando. E anche per chiarire un equivoco: visto otto mesi fa a Berlino (dove passò, con grandi applausi, al Forum) Welcome to the Dollhouse ci parve una strepitosa commedia; rivisto oggi, con il titolo un po' scemo di Fuga dalla scuola media, ci ha gettati nella più cupa depressione. Eppure è lo stesso film, reso appena appena meno buffo dal doppiaggio. Solo che le commedie, viste in quei luoghi tetri che sono i festival, sono fuorvianti: bastano due risate per credere di aver scoperto il nuovo Billy Wilder. Quando poi le rivedi al cinema, i conti tornano. Comunque, un giusto mezzo ci deve essere. Diciamo allora che Fuga dalla scuola media è una commedia nera, perfida, tutt'altro che "buonista" (anzi, chiamiamola "commedia cattivista"), e fondamentalmente triste. Quando si ride, si ride amaro. Si ride di fronte alla faccia squinternata di Dawn Wiener, alunna undicenne di una scuola media del New Jersey: la tipica brutta della classe, che tutti evitano e chiamano "cesso", "rospo" o anche di peggio, visto che "wiener" in America sta per "salsicciotto" con tutte le metafore del caso. Si ride di fronte alla famiglia Wiener: Dove tutti odiano Dawn, a cominciare dalla sorellina Missy che gira per casa in tutù, frega a Dawn il dolce serale e sogna solo di impossessarsi del telecomando. E si ride di fronte alle tragedie scolastiche di Dawn, che prima acceca un'insegnante cicciona poi viene presa di mira da un bullo che le mormora “oggi alle tre, aspettami: ti prendo e ti trombo”... Il film è esile, ha un ritmo un po' discontinuo, ma è cattivo di una ferocia che non regala speranze, ed è uno sguardo agghiacciante sulla provincia americana e sui suoi riti (la festa d'anniversario dei coniugi Wiener è da antologia). Contiene ottima musica, perché il fratello di Dawn, Mark, ha la classica band da garage (la scena in cui provano "Satisfaction" è notevole; la casa vien giù dalle stecche, e Mark afferma, protervo: “Come credete che fossero gli Stones, la prima volta?”). E sfodera almeno un personaggio geniale, quello di Missy, interpretato da una piccola russa che, stando alle parole del regista, è assolutamente eterea, danzereccia e mostruosa anche nella vita. Fuga dalla scuola media ha vinto il Sundance e in America è diventato un piccolo caso. Ora Todd Solondz, 37 anni, al secondo film, è molto corteggiato dalle majors. Purtroppo, a Roma, l'uscita suicida in un cinema immenso come il Metropolitan l'ha messo nei guai. Speriamo che altrove possa trovare un suo pubblico, se lo merita.
Autore critica:Alberto Crespi
Fonte critical'Unità
Data critica:



Critica 2:Il film si apre su un'immagine di felicità, che rappresenta l'ideale famiglia americana con i genitori e i tre figli tutti sorridenti e curati. Ma già il movimento di macchina lento e preciso che va a isolare ed escludere dall'insieme Dawn, anticipa a un tempo la sua estraneità all'ostentata tranquillità del resto della famiglia, ma anche il suo status di protagonista principale e di punto di vista privilegiato del film. Oltre le superfici bidimensionali, viene così proposto uno sguardo più profondo e complesso, che va al di là delle apparenze della normalità. La quieta famigliola della fotografia si rivelerà infatti un insieme di indifferenza e superficialità, in cui chi non si adegua o non capisce certe ritualità, come accade a Dawn, viene punito ed escluso.
Fin dalle prime battute il film prende le distanze da una rappresentazione dell'infanzia felice e idealizzata, ma al contrario invita a confrontarsi con certi aspetti non piacevoli del difficile passaggio in un'età di mezzo, in cui non si è più felicemente incoscienti come i bambini - simboleggiati nel film dalla sorellina Missy, una sorta di Barbie in carne ed ossa - e non si è ancora induriti o freddamente calcolatori come i più grandi: ad esempio il fratello maggiore Mark, liceale che sa misurare ogni suo gesto e intento.
Anche a scuola le cose non sembrano andare meglio. Anzi, è quello il primo luogo in cui si esplicano il conflitto e la violenza, verbale e fisica, e in cui sembra vigere una rigida separazione sociale, tra chi appare o si sente un vincente e chi invece viene considerato un perdente. Il criterio di valutazione non è tanto di merito o di appartenenza sociale, ma piuttosto di apparenza esteriore. Emblematici, in tal senso, i personaggi di Brandon e della sua fidanzatina, accettati da tutti come "ribelli" ufficiali.
In questo senso il problema principale di Dawn appare in primo luogo quello di non avere un ruolo riconosciuto dagli altri. La ricerca di una propria identità sarà frustrata dai tentativi di adattare per sé schemi altrui: il tentativo di far innamorare il diciottenne Steve; il volersi atteggiare a dura con i più piccoli; la ricerca di nuove competenze nella sfera sessuale, con risultati grotteschi. L'unico spazio di relazione umana autentica si ha non a caso nell'amicizia che nasce con Brandon, in cui ciascuno dei due può permettersi di comunicare le proprie debolezze e frustrazioni e di riconoscere i propri problemi, oltre ogni ruolo assegnato dagli altri.
L'impossibilità di questa amicizia, dovuta alla fuga di Brandon, fa ricadere Dawn nell'unica dimensione in cui si è in qualche modo sentita a suo agio, ovvero quella della fantasia e della fuga dal reale. Dal "Club delle persone particolari", raso al suolo dai genitori per la loro festa di anniversario, ai sogni irrealizzabili - l'incontro con Steve o l'eroico salvataggio di Missy a New York - la giovane protagonista si rende conto che i suoi spazi di vivibilità sono sempre ai margini di ciò che a tutti gli altri appare normale e piacevole.
In questo senso, il finale del film sembra almeno sancire una maggiore consapevolezza del personaggio, anche se non è un canonico lieto fine. Dawn che si unisce al coro di compagni e compagne di classe nell'autobus che li conduce a Disneyworld non sembra più felice del solito, ma solo consapevole della necessità di omologarsi un po' per non sentirsi troppo esclusa. Con la speranza che la seconda media sia meno terribile della prima.
Autore critica:Michele Marangi
Fonte critica:Aiace Torino
Data critica:



Critica 3:
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Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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