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Racconti della luna pallida d'agosto (I) - Ugetsu Monogatari

Regia:Kenji Mizoguchi
Vietato:No
Video:Biblioteca Rosta Nuova, visionabile solo in sede
DVD:
Genere:Fiabesco
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Akinari Uyeda
Sceneggiatura:Matsutaro Kawaguchi, Yoshikata Yoda
Fotografia:Kazuo Miyagawa
Musiche:Fumio Hayasaka, Tamekichi Mochizuki, Ichiro Saito
Montaggio:Mitsuzo Miyata
Scenografia:Kisaku Ito
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Masayuki Mori (Genjuro), Machiko Kyo (Lady Wakasa), Kinuyo Tanaka (Miyagi), Eitaro Ozawa (Tobei), Ryosuke Kagawa (capo del villaggio), Mitsuko Mito (Ohama), Kikue Mori (Ukon), Ikio Sawamura (Genichi)
Produzione:Daiei
Distribuzione:Cineteca di Bologna
Origine:Giappone
Anno:1953
Durata:

95'

Trama:

Genjuro è un povero ceramista, che conduce una vita modesta nel seno della sua famiglia e ne è perfettamente soddisfatto e felice; mentre Tobei, suo cognato, sogna di diventare samurai. Scoppia la guerra e Genjuro parte per cercare di vendere la sua merce prima che la battaglia gli impedisca di raggiungere il mercato. Anche Tobei va con lui per aiutarlo: essi raggiungono il loro intento, e il grosso guadagno ottenuto spinge i due uomini ed i loro famigliari a lavorare senza sosta per guadagnare sempre di più e conquistare il benessere. Quando la guerra piomba loro addosso, i due partono, proponendosi di raggiungere con le loro famiglie un altro paese; ma le difficoltà di trasporto e l'infuriare della battaglia che li circonda li costringono a rimandare indietro le famiglie ed a proseguire da soli. Giungono finalmente ad Omizio, dove le loro vie si dividono. Genjuro vende la sua mercanzia e fa la conoscenza di una bellissima donna, che, accompagnata da una vecchia ancella, gli compera alcuni oggetti e se li fa portare a casa dallo stesso Genjuro. Entrato in quella dimora, Genjuro subisce l'influenza dell'atmosfera irreale di sogno che vi domina, ed è preso dalla passione per la bella principessa compratrice, che contraccambia i suoi sentimenti. Nel frattempo Tobei, affascinato da un corteo del ricco signore del castello, si arruola e, dopo molte battaglie, viene in possesso di una testa di nemico vinto, e diventa samurai, com'era nei suoi sogni. Ma in una casa da thè egli trova sua moglie e comprende quanto sia stato alto il prezzo pagato per la sua ascesa. Genjuro intanto viene liberato dall'incantesimo della principessa, che non era un essere reale, ma un fantasma: egli riesce a tornare a casa, dove apprende che sua moglie è morta, ma la sua immagine fantastica veglia su di lui e sul suo lavoro.

Critica 1:Nel Giappone del Cinquecento devastato dalla guerra civile, due poveri vasai di campagna tentano la fortuna, portando la loro merce in un villaggio vicino. La loro ambizione di guadagno provoca lutti e rovine nelle loro famiglie. La storia si mescola alla leggenda, il reale al soprannaturale in questa bellissima elegia sulla condizione femminile, straordinaria per sintesi narrativa, fascino figurativo, scatto fantastico. Da due racconti di Ugetsu Monogatari di Akinaru Ueda. Leone d'argento a Venezia 1953.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Nel Giappone del XVI secolo sconvolto dalle guerre feudali, due fratelli partono in cerca di maggior fortuna: Tobei fa il contadino ma sogna imprese eroiche da samurai e perderà la moglie, Genjuro fa il vasaio e, lasciata la moglie, la tradisce con una principessa-demone. Al ritorno, Genjuro scopre che la moglie è morta, ma la sente sempre accanto a sé e si dedica nuovamente al proprio lavoro, mentre Tobei, pentito, si ricongiunge con la moglie e, ottenuto il perdono, torna a zappare l’orto con rinnovata fiducia. Leone d’argento a Venezia e ritenuto uno dei massimi capolavori (forse proprio il massimo) dell’arte cinematografica del regista in assoluto più quotato, il film è tratto da due novelle di Akinari Ueda ed è una riflessione complessa e profonda sui veri valori dell’esistenza, che saltano evidenti agli occhi soltanto dopo numerose traversie e varie cadute morali, e sulla dignità e la forza delle donne, uniche a non lasciarsi ingannare dalle apparenze e a rimanere veramente libere, nell’amore come nella vita. Mizoguchi opera quasi a livello inconscio nella mente dello spettatore, procedendo per suggestioni piuttosto che per reali vicende narrative, e l’intreccio è come sospeso e dilatato da uno stile nebuloso e ondivago, difficile da seguire (e indubbiamente a rischio di noia) ma per questo ancora più appassionante se si riesce comunque a padroneggiarlo. Celebre la bellissima scena del picnic, in cui una breve panoramica continua il moto orizzontale delle onde di un fiume nel disegno a righe di una tovaglia stesa sull’erba, e straordinario tutto il nostos finale, talmente emozionante da non poter essere quasi descritto; esattamente come la colonna sonora, grave e minacciosa, che riecheggia sopra tutte le sventure e le miserie del genere umano. Anche se poi lo spirito pessimista di Mizoguchi è capace di impensabili slanci poetici e assolutamente non qualunquisti moniti di speranza: come in una favola dai temi universali (certi episodi sulla vanità umana ricordano analoghe situazioni omeriche) dotata del dono della sintesi. Nella sua rarefatta semplicità, vuole (e riesce a) parlare della vita e si rivolge ai vivi, non sempre (soprattutto se non lo vogliono essere) più felici e attivi dei morti. (…)
Autore critica:Roberto Donati
Fonte critica:centraldocinema.it
Data critica:



Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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Autore libro:

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