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Violent Cop - Sono Otoko, Kyobo Ni Tsuki

Regia:Takeshi Kitano
Vietato:No
Video:Biblioteca Rosta Nuova, visionabile solo in sede
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Spazio critico
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Hisashi Nozawa
Sceneggiatura:Hisashi Nozawa, Takeshi Kitano
Fotografia:Yasushi Sasakibara
Musiche:Daisaku Kume (su temi di Eric Satie)
Montaggio:Nobutake Kamiya
Scenografia:Masuteru Mochizuki, Kazuyoshi Sawaji
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Beat Takeshi (Azuma), Maiko Kawakami (Akari), Makoto Ashikawa (Kikuchi), Shirò Sano (Yoshinari), Shigeru Hiraizumi (lwaki), Mikiko Otonashi (moglie di lwaki), Haku Ryu (Kiyohiro), lttoku Kishibe (Nito), Ken Yoshizawa (Shinkai), Hiroyuki Katsube (il sostituto capo della polizia Higuchi), Noboru Hamada (detective capo Araki), Yuuki Kawai (detective Honma), Ritsuko Amano (fidanzata di Honma), Taro lshida (detective Tashiro), Katsuki Muramatsu (sostituto questore Anan), Kenichi Endo (Emoto), Ei Kawakami (Hashizume), Kiminari Matsumoto (Sakai), Zhao Fanghao (psichiatra)
Produzione:Hisao Nabeshima, Takio Yoshida e Shozo lchiyama per Bandai Media Division - Shochiku Fuji Company
Distribuzione:Non reperibile in pellicola
Origine:Giappone
Anno:1989
Durata:

98'

Trama:

Azuma, un detective dal carattere indipendente e solitario vive con la sorella, appena uscita da un istituto di igiene mentale. Azuma trova difficile, se non impossibile, rispettare le regolari procedure d'indagine della polizia e sottostare ai superiori. Viene quindi duramente criticato dai suoi colleghi per i suoi metodi estremamente violenti.
Mentre indaga sull'omicidio di uno spacciatore, finisce per arrivare a Nito, uomo d'affari a capo del racket della droga. A questo punto la situazione precipita: Kyoshiro, killer spietato, fa sequestrare la sorella di Azuma. Questa, nelle mani dei rapitori verrà drogata e seviziata. Azuma viene sospeso dal suo incarico e, da solo, continua da solo la sua spietata e tormentata vendetta.

Critica 1:Le abituali tecniche di ripresa angolate gli sembrano inadeguate, perché inglobano anche dei particolari inutili all'immagine. Comincia quindi a eliminare il superfluo: le stanze si svuotano delle scenografie, le riprese vengono spesso effettuate in maniera frontale, la musica è utilizzata solo come punteggiatura, gli attori sono resi inespressivi e imperturbabili, i dialoghi, ideati dopo e in funzione delle scene, vengono ridotti all'osso. Il tema slitta sempre più in secondo piano e "clou" del film diventa il pacato amalgama di violenza devastante e frammenti di poesia. La violenza in si viene descritta nel puro contatto, con i pugni, i coltelli e il sangue che vagano tra i corpi, ripresi spesso in una danza "ralenti" accompagnata da un giocoso contrappunto musicale. Il sentimento non viene mai reso evidente, ma h solo percepibile sottopelle, dietro la fredda maschera del protagonista, costretto a una passività inevitabile e tragica. Nei lunghi silenzi si esaspera la tensione che introduce al gesto finale, reso infine per immagini e per omissioni invece che in suoni ed effetti.
Autore critica:Maria Roberta Novielli
Fonte critica"Panoramiche"
Data critica:

1997

Critica 2:"Ultima sequenza del film prima di un ulteriore epilogo. L'inquadratura è un totale di un interno di magazzino, la luce un cono con la sua base sul lato destro dell'inquadratura e il vertice sul sinistro. A ritmare questa proiezione materica di luce, tre colonne: dinanzi alla più distante, nel vertice del cono luminoso, Akari, sorella schizoide del poliziotto violento, fruga un cadavere alla ricerca di droga. Dalle precedenti inquadrature sappiamo della presenza di Azuma, il fratello, dietro la seconda colonna. Parte un colpo di pistola, il corpo della donna si accascia. Azuma inizia a comminare verso la fonte di luce, l'uscita, e la macchina carrella verso destra, giunge ad inquadrarlo in piano americano, poi in figura media. Un colpo parte dal lato destro dell'inquadratura, e centra Azuma al capo. L'inquadratura rimane completamente oscura. "L'uomo non troverà altri valori oltre a quello della morte, questo è sicuro". Così Kitano.
E' importante saper inquadrare la morte. Kitano freddamente dissemina di cadaveri tutti i suoi film, epifania dell'indifferenza , malattia della contemporaneità. La sua ossessione è pertanto la differenza, la possibilità di una sua formalizzazione; vale a dire, la capacità di individuare un valore e veicolarlo in un testo. Per questo, credo, i suoi film sono segnati dall'imperturbabilità dei limiti dell'inquadratura rispetto al fuori campo, o di fronte alla violenza degli atti che si consumano all'interno di quei confini. Necessità di designare con tanta più veemenza il dato, per farvi risaltare l'eccezione. Ora, nell'ultima sequenza di Violent Cop, si assiste alla messa in valore di una morte, dopo la presa di coscienza del decadimento di qualunque legame sociale, familiare, affettivo. La distanza rende irriconoscibile la vittima, nasconde l'assassino: ultimo atto di un'intimità ed affetto impossibili. La morte di Akari è distante, soprattutto da tutte quelle che l'hanno preceduta nel film. "Senza passeggiate non potrei collezionare appunti né osservazioni". Robert Walser, ironico passeggiatore, morì camminando. Dopo aver fatto fuoco sulla sorella, Azuma riprende il proprio cammino. Il personaggio "Beat" Takeshi, come quelli interpretati in Sonatine e Boiling Point, ha la propria cifra nella persistenza del suo agire; persistenza qui espressa nell'inarrestabile camminata, movimento azzerato in una precedente inquadratura frontale con teleobiettivo: Azuma cammina, ma verso dove? La risposta si cela nell'inquadratura di quest'ultima sequenza, uno sparo proviene dalla direzione opposta a quella di Azuma. Kitano potrebbe essere incluso in un insieme di registi "camminatori", con scarsissimo valore euristico, in cui includere anche Ioseliani, King Vidor, Jacques Rivette, certo De Sica (o Zavattini?). Solo per notare la fatica del procedere che li distingue, e il loro carattere di moralisti. Così come la ritrosia di Kitano verso il mare: Sonatine e Boiling Point sono due film sul bagnasciuga. Nel mare non si cammina (tranne qualcuno, forse).
Le ultime sequenze di Violent Cop producono una drammaturgia della luce che in questo lungo piano giunge a compimento. La luminosità coincide con la morte, cancellando ogni valore salvifico della luce. Il vestito troppo bianco di Akari, nel vertice del cono di luce, dinanzi ad una colonna ugualmente bianca; l'inattuale luminosità che emana Azuma, mentre cammina, e che scompare dopo la sua morte. Ma allora non c'erano sorgenti di luce, e quella che si pensava un'uscita non esisteva. Non tanto l'oscurità è mortifera, quanto la giunzione con la luce - vale come predestinazione. Poi, non rimane che l'indistinzione del buio.
Autore critica:Francesco Pitassio
Fonte critica:Cineforum n. 366
Data critica:

7/8/1997

Critica 3:In Violent Cop bastano le prime due scene che, da un'ipotesi di violenza urbana un po' casuale, un po' all' Arancia Meccanica - bravate di giovani, giovinastri, giovinetti e studenti - ci porta ad un'esplosione di violenza che è puramente corporea e insieme astrattissima, mentale. Tanto che si tratta di una testata che ci fa capire subito la strana violenza del personaggio, di questa specie di enigma che poi resta - attraverso i suoi film, quando ne è attore, non sempre - lo stesso Kitano. (...)
Ha diretto questo film quasi per caso. Doveva esserne l'attore, la star principale. Doveva esserne regista un importante regista di film d'azione, polizieschi, giapponese (Kinji Fukusaku). Non poteva in quel periodo e all'ultimo momento è stato proposto a Takeshi di esordire. E lo ha fatto con un improvviso fulgore figurativo.
E' veramente un film che sembra girato nel deserto, che sembra girato nella Monument Valley. E' un western, ancor più di Dirty Harry, e nello stesso tempo è invece un film implacabilmente urbano, talmente urbano da far sparire, di nuovo, la città e rendere alla fine il racconto dell'enigma di questa faccia che è lo stesso Takeshi Kitano. Quindi la faccia come prima impronta di stile, la faccia, gli occhi, il modo di socchiuderli, di stringerli, e quindi l'apparizione sulla scena poi, direi mondiale, di uno stile, di un altro stile ancora: lo stile "Beat" Takeshi Kitano, quello, molto personale, di una ferocia non improvvisamente sposata alla tenerezza, ma definitivamente legata alla tenerezza. Tenerezza, ferocia, passaggio brusco da dolcezze o violenze minimali ad abbandoni melò, crepuscolari, paesaggistici.
Autore critica:Enrico Ghezzi
Fonte critica:Fuori Orario
Data critica:

24/6/1995

Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:
Autore libro:

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