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Uomo dal braccio d'oro (L’) -

Regia:Otto Preminger
Vietato:14
Video:Biblioteca Rosa Nuova, visionabile solo in sede - Empire Video
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Tratto dal romanzo omonimo di Nelson Algren
Sceneggiatura:Ben Hecht, Lewis Meltzer, Walter Newman
Fotografia:Sam Leavitt
Musiche:Elmer Bernstein
Montaggio:Louis R. Loeffler
Scenografia:Joe Wright
Costumi:Mary Ann Nyberg
Effetti:
Interpreti:Frank Sinatra (Frankie Machine), Eleanor Parker (Zosch\Sofia), Kim Novak (Molly), Arnold Stang (Passero), Darren McGavin (Louis), John Conte (Johnny "Drunky"), Tommy Hart (Kvorka)
Produzione:Carlyle Productions
Distribuzione:Cineteca Griffith
Origine:Usa
Anno:1955
Durata:

119’

Trama:

Frankie Machine è un bravo venditore di carta e un ex drogato. Ritornato a casa dopo un periodo passato in prigione, combatte per avere un nuovo stile di vita e non ricadere nella trappola della droga.

Critica 1:Professionista del poker con moglie paralitica per colpa sua si dà alla droga ma cerca disperatamente il riscatto nell'amore di una dolce entraineuse. F. Sinatra in gran forma, bella musica di Elmer Bernstein (prima partitura jazz scritta interamente per un film), splendido bianconero di Sam Leavitt per un melodramma robusto e poco plausibile sulla droga. Titoli geniali di Saul Bass. Da un romanzo di Nelson Algren, adattato da Walter Newman e Lewis Meltzer.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:La questione della droga, come quella dell'alcolismo comincia ad essere un problema sociale nell'America degli anni '50, e il cinema inizia a rendere conto (specie quello degli europei viennesi-hollywoodiani: The Lost Weekend, di Wilder, e del '45; Hatful of Rain di Zinnemann uscirà nel '57). The Man tratta il tema in maniera esemplare (lo testimonia il realismo estremo con cui sono mostrate le crisi di astinenza e l'effetto della droga), senza moralismi e senza conclusioni «miracolose» (a differenza del pur bellissimo Wilder). Tuttavia non è un film inchiesta e non ha ambizioni sociologiche. Frankie diventa schiavo della droga dopo l'incidente della moglie del quale si sente responsabile (ragioni psicologiche del tutto private, non sociali). L'eroina è dunque un aspetto, un modo della difficoltà di esistere, ed è questo che interessa Preminger. Sono il senso di colpa patologico e l'altrettanto patologico bisogno di espiazione che spingono Frankie alla droga. In qualche modo, si tratta anche in questo caso di un'ossessione, per giunta legata a un passato che incombe sul personaggio (il ricordo dell'incidente, che Zosch, anche lei ossessionata dal timore di perdere l'uomo, prolunga con la falsa malattia e cerca di «fissare» nell'album di fotografie). Proprio un viaggio à rebours appare quello che Frankie Machine (dopo la prigione e la disintossicazione, e la scoperta della musica, che lo fanno sentire cambiato) compie tornando al suo mondo di prima, a un passato che vive come cristallizzato negli slums del quartiere polacco di Chicago. Significativa è la sequenza di inizio: al lunghissimo movimento di macchina, che accompagna la discesa dall'autobus di Frankie, segue, dopo uno stacco di montaggio, una pausa. Frankie immobile guarda attraveso la vetrina del bar di Antek, e ritrova tutto e tutti come prima. In effetti, è questa immobilità del tempo che sembra impedirgli di dimostrare a se stesso e agli altri di essere cambiato. Per lui si susseguono attese tutte vane o frustrate (la telefonata per il provino, l'audizione fallita, ecc.), su di lui incombe la claustrofobia di un mondo-trappola (e l'idea della trappola è subito introdotta, anche figurativamente, dalla inquadratura dall'alto del vano scala al momento del suo ritorno a casa) in cui le frustrazioni degli uni si riversano sugli altri (quelle di Frankie, ma anche di Drunky su Molly).
È dunque un mondo di frustrazione, di decadimento. Decadimento prima fisico (la malattia di Zosch, lo spacciatore diabetico, il mendicante cieco ecc.) e poi psichico (e la droga li coniuga entrambi), fino allo squilibrio mentale. Non ci sono speranze praticabili, o praticate nel corso del film. Frankie si libera dalla droga grazie a Molly (la sequenza del cold turkey è straordinaria, nelle inquadrature che mostrano dall'alto la crisi di Frankie, e nell'estrema drammaticità - ma anche sensualità - del momento in cui Molly si sdraia su di lui per calmarlo). Ma noi non assistiamo al compimento del riscatto, come non vediamo la nascita del musicista, che ne sembra la condizione. La musica è una possibilità di fuga dalla trappola, e di comunicazione con l'esterno (anche quella della radio), ma, come ha notato Weinberger su «Cinéma», quella che sentiamo non è mai la musica di Frankie, è solo quella del film, proiezione di un Frankie ideale. La metafora tripla dei bellissimi e un po' maclareniani titoli di Bass (una serie di tratti bianchi che si aggregano fino a comporre un braccio: il braccio che «taglia» a poker, quello che si buca, quello che suona la batteria) si rivela una sconfitta progressiva. Nel finale, a differenza che nel romanzo, Zosch si suicida, in una sequenza di montaggio mirabile che parte dal primo piano della donna che suona il fischietto, simbolo dell'impossibilità di comunicazione normale, e quindi della sua pazzia. Ma ciò non attenua il pessimismo del film, anche se vediamo Frankie (liberato dalla droga e - con la morte di Zosch e la scoperta della falsità della malattia - dall'ossessione di colpa), allontanarsi con Molly. Il racconto si ferma prima che il suo riscatto diventi tangibile, e senza smorzare il clima angoscioso di tutto il film e degli avvenimenti finali: l'ultima immagine che resta davvero impressa è quella di Frankie chino sul cadavere di Zosch, mentre le accarezza meccanicamente e nevroticamente le mani esangui.
Per questa «autopsia della frustrazione» (Weinberger, ancora), Preminger non solo ritorna al bianco e nero (splendido, di Leavitt), ma recupera addirittura suggestioni espressioniste e Kammerspiel nella ricostruzione stilizzata in studio del ghetto polacco (e in questo ghetto, con un'appena riconoscibile autocitazione, intravvediamo, sul cartellone pubblicitario di Carmen Jones, la figura dell'eroina di un altro ghetto), che a molti ha ricordato il Lang di M, eine Stadt sucht einen Mörder, Murnau o Wiene (per esempio, Raskolnikov), e che forse - al di là del colore - ispirano anche il Catfish Row di Porgy and Bess. Ma tutto ciò acquista una dimensione nuova, in una regia che ha fatto parlare di virtuosismo o di «frenesia tecnica», ma che è invece indissociabile dalle altre scelte di messa in scena e dalle esigenze narrative. Ad esempio, i crescendo della musica diventano tutt'uno con la scrittura della macchina da presa (nella sequenza magistrale in cui Frankie ricade nel vizio l'accensione musicale corrisponde al movimento di carrello che raggiunge il personaggio). Proprio la musica (jazzistica, incentrata sulle percussioni) esplora insieme alla camera quel mondo di frustrazioni. Del resto, Preminger sceglie Elmer Bernstein, non ancora noto prima del successo di The Man, contando anche sul fatto che i suoi impegni gli consentano di assistere alle riprese e perciò di comporre una partitura con piena intelligenza del racconto (...) La direzione degli attori è perfetta, anche nel caso della Novak. Nel personaggio morbido ma disincantato e malinconico di Molly, l'attrice trasforma i presunti difetti in qualità: i movimenti lenti e sinuosi, la forza sensuale e materna del corpo, la fissità dello sguardo rivelano la storia di una ragazza che ha dovuto cominciare presto ad affrontare la vita, e per questo, é generosa con chi non riesce a farlo.
Autore critica:G. Carluccio
Fonte critica:Otto Preminger, Il Castoro Cinema
Data critica:

1990

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:Uomo dal braccio d'oro (L')
Autore libro:Algren Nelson

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