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Re dei Giardini di Marvin (Il) - King of the Marvin Gardens (The)

Regia:Bob Rafelson
Vietato:No
Video:Biblioteca Decentrata Rosta Nuova, visionabile solo in sede
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Bob Rafelson
Sceneggiatura:Jacob Brackman, Bob Rafelson
Fotografia:Laszlo Kovacs
Musiche:
Montaggio:John F. Link
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Ellen Burstyn, Bruce Dern, Jack Nicholson, Julia Anne Robinson
Produzione:Columbia
Distribuzione:Cineteca Lucana
Origine:Usa
Anno:1972
Durata:

100'

Trama:

David Staebler vive a Filadelfia, speaker di una emittente radiofonica locale ove, nella rubrica notturna "Eccetera" racconta tristi vicende in cui immette deformazioni pessimistiche delle proprie esperienze. Jason Staebler, invece, vive nella balneare Atlantic City con la moglie Sally e la figliastra Jessica. Un giorno, chiamato d'urgenza e per un importantissimo affare, David "il filosofo" raggiunge Jason "il sognatore" e apprende il suo utopistico piano: fondare un complesso di turismo a Tiki, isoletta delle Hawai. David tenta invano sgonfiare i sogni del fratello, privo di capitali e già inguaiato con il boss negro Louis. Le discussioni avvengono davanti alle due donne e danno a Sally l'impressione che Jason voglia sbarazzarsi di lei per privilegiare Jessica. Disperata, la moglie uccide il marito. David torna a Filadelfia e racconta ai suoi invisibili ascoltatori la tragica vicenda.

Critica 1:Jason, pubblicitario idealista e sognatore impelagato in uno sballato affare di speculazione edilizia, cerca di coinvolgere il fratello David, conduttore di un programma radiofonico. Epilogo sanguinoso. Terzo film di Rafelson, è una cronaca familiare ai margini dell'inespresso di calibrata lentezza e di penetrante finezza psicologica. Sono due nevrosi e due diversi disagi che affettuosamente si confrontano, due solitudini incapaci di stare nella realtà. Un film anomalo nel panorama del cinema hollywoodiano con una Atlantic City indimenticabile. Il titolo allude a una casella del gioco di Monopoli (il nostro "Parco della Vittoria"). Incompreso dalla critica americana, fu apprezzato da quella europea.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Si deve alla celebrità raggiunta da Jack Nicholson se Il re dei giardini di Marvin, diretto da Bob Rafelson dopo Cinque pezzi facili ('70) e prodotto nel '73, solo oggi arriva in Italia in compagnia di altri fila interpretati dal famoso attore prima che il suo nome cominciasse a lampeggiare nel firmamento divistico. Meglio tardi che mai, commenteremo, tanto piú che il repéchage è piú che giustificato dalla qualità del film. Nicholson riveste la parte di un conversatore radiofonico, che nel vino delle sue giovanili ambizioni di artista ha versato molta acqua e ora si accontenta di raccontare, davanti a un microfono, fra una parentesi musicale e l'altra, storielle confidenziali, poetiche e amaricce, che hanno un alone fiabesco e incantato. David libera i suoi pensieri, parla piane e con un tono suadente di voce, lascia indovinare agli ascoltatori la personalità di uomo deluso e battuto dalla vita. È l'opposto di suo fratello, Jason, al quale è unito da un affetto e da una solidarietà che risalgono al periodo dell'infanzia. Questi si trova nei pasticci e lo manda a chiamare e David accorre ad Atlantic City Per Jason contano il denaro e il successe e l'intraprendenza che sono le virtú principali di ogni autentico americano. Negli affari trasfonde una dose prorompente di vitalismo e un entusiasmo illimitato, ma piú che realizzarli Jason li immagina, li sogna, li accarezza, se ne bea persuaso di poter dominarne in ogni caso le combinazioni. E invece è soltanto un traffichino, che si agita molto e stringe pugni di mosche nella mano: gli eventuali soci sono lesti nel dileguarsi, i possibili finanziatori - c'è di mezzo un boss negro, un mafioso che ha interessi nelle attività alberghiere - lo stimano un inconcludente. Jason si è incaponito a condurre in porto un ambizioso progetto di lottizzazione in un'isola delle Haway e, piú per non contraddirlo che per intimo convincimento, David gli sta appresso e lo accondiscende. Ma anche questa è una bolla di sapone, l'ennesima, e Jason non vuole capacitarsene, non riuscirà mai a correggersi e a fronteggiare la realtà senza paraocchi.
Non è questa l'unica spina che lo punge e di cui David si accorge anche se non osa contrastare l'amato fratello poiché, in seguito, gli invidia la mancanza di freni critici e inibitori e l'impavida sicurezza di sé. Jason convive con Sally, una donna che non si rassegna a invecchiare e che ha un atteggiamento competitivo nei confronti della figliastra, Jessica, piú bella e piú fresca di lei ed eccessivamente espansiva con il patrigno, il quale non è insensibile al suo fascino. Fra i tre si, è stabilito un rapporto non privo di un pizzico di ambiguità e a soffrirne è Sally, che sente la sua impotenza di fronte alla giovinezza di Jessica e teme di perdere Jason. Il trio, cui si è aggiunto David, poggia su puntelli instabili e veleggia in un mare di inquietudini e dissonanze. L'equilibrio precario che lo tiene insieme si rompe improvvisamente durante una accesa discussione, quando Sally, ingelosita e disperata, scarica la pistola su Jason. La congrega si scioglie e David torna a Filadelfia al lavoro radiofonico, a casa dove l'aspetta il padre vecchio e catarroso che la sera stenta ad addormentarsi e non si stanca di proiettare un filmino in cui i suoi due figli, ancora bambini, costruiscono sulla spiaggia castelli di sabbia. David e Jason, Sally e Jessica, il quartetto di Il re dei giardini di Marvin, sono l’incarnazione di altrettante facce di un'America che confessa il crollo dei suoi miti sociali ed esistenziali, e guarda i solchi delle rughe dell'animo allo specchio, anche se il bagno nella verità e lo smantellamento delle illusioni non comporta un lasciapassare per la speranza, all'infuori della coscienza di colui che narra. I personaggi non si distaccano dalla cattività della propria autorappresentazione, dai propri inganni e dal proprio malessere e si muovono come pesci in un acquario. Rafelson li scruta, si immedesima in loro, li sbriglia in una struttura narrativa che gira su se stessa, non innervosisce i conflitti, si adagia nei ritmi lunghi della quotidianità. Cinema di natura cecoviana il suo, specificamente in questo film, non solo e non tanto per la prevalenza che vi hanno le atmosfere e i tempi morti, ma anche per l'affiorare di un humour dolente. Cinema irrorato dall'incessante deambulare e dialogare dei protagonisti, aperto alle improvvisazioni sul set, alla partecipazione inventiva degli interpreti, alla spontaneità e all'immediatezza tipica dei procedimenti nei quali i soggetti dell'inchiesta vengono provocati per mettersi a nudo. Ma non cinema asservito a canoni letterari per quante risonanze siano afferrabili, nel film di Rafelson, di commedie e di romanzi americani in qualche maniera debitori al magistero di Cechov.
La tendenza alla verbosità, ricorrente ai giorni nostri e florida grazie alla pigrizia dei registi incapaci di vedere e resi indolenti e opachi dalla produzione di largo consumo, sempre piú impacciati nel raccontare per immagini, è fieramente combattuta nei Giardini di Marvin dalla cornice che Rafelson ha scelto: Atlantic City, centro balneare, passerella di stelline e di bellezze al bagno, concentrato di negozi e grandi hotels, monumento al cattivo gusto e alla frenesia di superflui divertimenti. Uno scenario rutilante d'estate, ma che Rafelson ritrae nella stagione invernale, immerso nella malinconia degli spazi vuoti e delle passeggiate deserte, nello squallore delle architetture ornamentali, nell'uggia dei meriggi piovosi e ventosi. Non uno sfondo crepuscolare consono alla mesta storia snocciolata, bensí un paesaggio che materializza il disfacimento di cui Jason, David, Sally e Jessica sono parte, una metafora piú che una pura e semplice collocazione geografica, il simbolo di un approdo in cui non vi sono piú né vincitori a ricevere l'alloro, né menzogne dorate e flautate promesse a stregare con gli incantesimi della corsa americana alla felicità e alla supremazia dell'Individualismo.
Un film anti-hollywoodiano, Il re dei giardini di Marvin, ispido e soffuso di profonda tristezza, spigoloso nella sua morbida scansione, seducente nella penuria dei requisiti spettacolari.
Autore critica:Mino Argentieri
Fonte critica:Cinema Sessanta n. 116
Data critica:

7-8/1977

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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