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Giardini di pietra - Gardens of Stone

Regia:Francis Ford Coppola
Vietato:No
Video:20th Century Fox Home Entertainment
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:La guerra, La memoria del XX secolo
Eta' consigliata:Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori
Soggetto:Tratto dal romanzo "Gardens of Stone" di Nicholas Profitt
Sceneggiatura:Ronald Bass
Fotografia:Jordan Croneweth
Musiche:Carmine Coppola
Montaggio:Barry Malkin
Scenografia:Dean Tavoularis
Costumi:
Effetti:
Interpreti:James Caan, Anjelica Huston, James Earl Jones, D. B. Sweeney, Dean Stockwell, Sam Bottoms, Laurence Fishburne, Elias Koteas, Mary Stuart Masterson
Produzione:Tri-Star - Ml Delphi Premier Productions
Distribuzione:Columbia
Origine:Usa
Anno:1987
Durata:

112'

Trama:

Uno speciale reparto militare di stanza a Fort Myer, in Virginia, è destinato al servizio di guardia d'onore per i funerali dei caduti che, durante la guerra del Vietnam, vengono inumati nel cimitero di Arlington. Di questa prestigiosa "Old Guard" fanno parte due veterani, i sottufficiali Clee Hazard e Goody Nelson, amici di lunga data, reduci entrambi da tre guerre e decoratissimi, sempre impeccabili, ma delusi. Seguono i primi passi di una recluta, Jackie Willow (figlio di un sergente loro ex collega) con una simpatia che diventa affetto: il giovane crede in certi valori, è più che efficiente ma, malgrado le bare ammonitrici, non sogna che di partire per il Vietnam, nonostante la moglie Samantha Davis sia contraria. Ad Arlington tornerà anche la salma di Willow, caduto in Vietnam, e toccherà al sergente Hazard, stavolta con le lacrime agli occhi, pronunciare alcune parole in sua memoria.

Critica 1:Il film ha difetto di costruzione, eccessi di sentimentalismo, cadute nelle convenzioni, ma è risarcito da una puntigliosa ricostruzione ambientale, da un'autentica vena elegiaca e dal godibile duetto Caan-Huston. Il suo sentimento dominante è la pietà, l'immedicabile dolore per le vite perdute e il loro spreco: una pena che non esclude il giudizio critico.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Ci vuole una buona dose di audacia e al tempo stesso di leggerezza da parte di Coppola per tornare dopo Apocalypse Now nei dintorni dei Vietnam. Soprattutto nel momento in cui il Vietnam, come è arcinoto, è diventato prepotentemente filone con autorevolissime punte d'autore (Kubrick) e stimolanti ricodificazioni (Stone). In questo senso Giardini di pietra è un filone allo stesso tempo facilissimo e impossibile da interpretare. Nell'universo del suo cinema parrebbe esattamente agli antipodi di Apocalypse: il Vietnam come pura allegoria da una parte, il Vietnam come realismo, documentazione, ricostruzione storica della guerra vista dall'America dall'altra. Il Vietnam come puro al di là dell'immaginario bellico americano da una parte, la guerra come cronaca quotidiana, domestica, umanistica (tutta dall'interno) dall'altra. Sembrerebbe quindi una relazione simile (anche se forse rovesciata, ma solo per certi versi) a quella che intercorre tra Il padrino e Cotton Club: la Storia e lo Spettacolo, o meglio, il mito della Storia e il mito dello Spettacolo. Cotton Club si costruiva tutto sul dispiegamento di una messa in scena di quell'universo del gagster-film che nel Padrino era oggetto di una epopea dove la conquista dei potere era un drammatico rito collettivo di sopravvivenza. Richard Gere invece, nell'altro, era testimone e attore in uno sterminato gioco di finzione dove le esecuzioni e i numeri di tip tap, l'avvicendarsi delle mafie etniche e il trapasso di suoni e mode, erano numeri complementari dello stesso mondo (la storia dello spettacolo come spettacolo della storia). Analogamente, e in senso inverso, Giardini di pietra sembra preoccuparsi di seppellire tutti i morti reali che lo show metafisico della guerra di Apocalypse Now ha disseminato sul suo palcoscenico. Ma questa giustapposizione sistematica non ci porta molto lontano, sia perché lo spessore del cinema di Coppola sembra essergli ormai refrattario (non serve a niente, ad esempio, per capire in profondità un film come Peggy Sue si è sposata), sia perché le dichiarazioni sistematiche del regista (ricordate la sua programmatica esplicita volontà di alternare film per l'industria e film per se stesso?) sembrano appartenere sempre di più al passato. E comunque non servono per capire Giardini di pietra che non è un film commerciale, benché su commissione, un film di genere (di filone) eppure, per più aspetti, un film fatto proprio per se stesso.
Da dove cominciare dunque per parlare del film? Forse la strada migliore da percorrere è quella di interrogarsi sul sentimento condiviso dal film e dai suoi personaggi. Ad una pura e semplice fenomenologia di toni, Giardini di pietra appare dominato da un profondo senso di rassegnazione. Inizia con una morte annunciata e racconta in flashback tutti i preliminari di questo olocausto. Tutti i protagonisti del resto sembrano accettare dolorosamente l'immutabilità della loro condizione. James Caan non spera di rifarsi una vita ed una famiglia, non spera di vincere la guerra, non sembra neanche sperare di riuscire a distogliere Willow dalla sua ferma intenzione di parteciparvi.
La Huston, non spera che la sua attività pacifista possa davvero modificare la situazione, il capitano non sembra davvero credere di riuscire in quella carriera alla quale mostra di tenere così tenacemente.
In questo senso Giardini di pietra è un melodramma in cui compaiono solo ambizioni e sentimenti impediti, cicatrici ma non ferite, poiché queste sono tutte al di là dei confini della scena. Il divorzio e il figlio di Caan, la morte del padre del protagonista, l'infelicità della precedente vita privata di Anjelica Huston e naturalmente la stessa morte di Willow. È un film quasi completamente decantato della scena del dramma, del suo spettacolo. Privato della guerra e della disamina antibellica, della giungla, il Vietnam è la forma pura dell'impossibilità e della tragedia. La guerra come pura forma, del resto, è il vero significato di quella sorta di “kabuki” dell'arte militare che viene quotidianamente celebrato nel rito del seppellimento della Vecchia Guardia. Ma Giardini di pietra è un film di tale essenzialità scenica e drammatica che, anziché soffrire della programmatica limitazione e persistenza degli spazi (interni militari e domestici illuminati da identiche luci), si costruisce saldamente sulla loro ricorrenza e fa apparire come ridondanti o superflui o didascalici alcuni obblighi di sceneggiatura come la rissa al party tra Hazard e il politico pacifista, oppure la sua sortita durante le esercitazioni. La stessa straordinaria e intensa essenzialità domina la messa in scena di tutti i luoghi caratteristici del
fiIone a cui si alIude necessariamente. Le marcette d'addestramento (da Ufficiale e gentiluomo a Full Metal Jacket), il matrimonio prima della partenza come in Il cacciatore (Coppola sembra mimare il piacere cerimoniale di Cimino in un gruppo di brevi e rapide sequenze), le lettere dal fronte (più belle e importanti di quelle di Platoon), e finalmente il Vietnam, risolto con un geniale colpo di regia attraverso il repertorio televisivo, la citazione dei famosi commenti di Cronkite. Quelle inquadrature di barelle che vorticano sotto l'elicottero, primi piani di soldati dallo sguardo inerte, riprese di azioni di guerra qualunque, non valgono di meno del Vietnam di Kubrick. Ma a differenza di Full Metal Jacket e Apocalypse Now (ancora di più di Platoon), l'effetto è quello di rendere ancor più astratta e immanente, ineluttabile e incombente, la guerra come qualcosa di simile ad un cataclisma esploso negli anni '60, una devastazione senza senso (nulla da vincere, nessun fronte, nessuna prima linea, un nemico invisibile), qualcosa di più vicino ad un maleficio, che non a una guerra. Kubrick, racconta la tecnologia necessaria per rendere dei corpi idonei alla guerra e lo sfacelo di questi corpi nella guerra (ma è ai suoi occhi un dispositivo perfettamente coerente, maniacale, granitico ma assurdamente razionale, per il Vietnam come per qualsiasi altra guerra), Stone raccontava il perché, nonostante qualsiasi addestramento, quella guerra, e non altre, non poteva che essere persa; Coppola, invece, in Giardini di pietra, racconta di come il Vietnam c'è stato, come un infarto, un obiettivo o un incidente ugualmente prevedibili o ineluttabili. Se vogliamo, si tratta del Vietnam come superstizione (in quanto tale, per l'appunto, irrazionalizzabile, ineluttabile), una necessità invincibile e incomprensibile delle cose che ha deciso per ogni americano d'oggi oltre i trent'anni se questi dovesse trovarsi tra i giardini di pietra (tipica immagine retorica del war film che Coppola trasforma in un segno drammatico) o invece vivo per le strade o a casa propria a vedersi dieci anni dopo i film del filone sul Vietnam.
Dunque, Giardini di pietra è un film costruito come puro epitaffio della fatalità; c'è al suo interno la rassegnazione e la disperazione per essa che concentra il film intorno ad un duro e intenzionalmente fluido ed evanescente uso dell'ellissi che porta il protagonista e Hazard ad una rapida maturazione del loro rapporto (ancor più velocemente e sobriamente viene introdotta e risolta la relazione sentimentale che porterà al matrimonio). E lo stesso accade per l'incontro tra James Caan e Anjelica Huston.
In questo senso il film ha una sorta di struttura a “ballata” che condensa in poche sequenze l'evoluzione e la definizione dei personaggi e del loro rapporto, e Coppola evita accuratamente qualsiasi digressione che non sia necessaria e mostra una straordinaria capacità di combinazione della direzione degli attori e del montaggio poiché ciascuno di essi, soprattutto i minori (il capitano, il padre della sposa di Willow e la madre, un paio di commilitoni del protagonista) sono completati in un paio di inquadrature, un'espressione del volto catturata al volo. Ma ha a disposizione interpreti in stato di grazia come James Caan e Anjelica Huston (che non ci sembra abbia dato migliore prova neanche con il padre). Il loro incontro in ascensore è meraviglioso e sembra preso di corpo dal Coppola migliore (quello di La conversazione). Luci e scene di Il padrino ricordano invece le cene che si ripetono regolarmente come i rituali funebri, i personaggi sembrano davvero appartenere ad un decennio diverso e si guardano come se ne avessero la consapevolezza. In Peggy Sue Coppola aveva raccontato con un cinema che sembrava ispirarsi a Frank Capra o Borzage, che nessuno vorrebbe davvero cambiare la propria vita se lo potesse, nessuno potrebbe sopportare di perdere definitivamente quanto in essa vi è accaduto, anche di orribile e doloroso. Con un punto di vista cinematografico assai diverso Giardini di pietra sembra interamente dedicato alla disperazione di chi comunque non può farlo.
Autore critica:Mario Sesti
Fonte critica:Cineforum n. 269
Data critica:

11/1987

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:Gardens of Stone
Autore libro: Profitt Nicholas

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