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Garage Olimpo -

Regia:Marco Bechis
Vietato:No
Video:Elle U Multimedia
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:I giovani e la politica, La memoria del XX secolo
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Marco Bechis, Lara Fremder
Sceneggiatura:Marco Bechis, Lara Fremder
Fotografia:Ramiro Civita
Musiche:Jacques Lederlin
Montaggio:Jacopo Quadri
Scenografia:Romulo Abad
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Paola Bechis (Gloria), Chiara Caselli (Ana), Marcelo Chaparro (Turco), Antonella Costa (Maria), Carlos Echeverria (Felix), Adrian Fondari (Rubio), Miguel Oliveira (Nene), Enrique Pineyro (Tigre), Pablo Razuk (Texas), Dominique Sanda (Diane)
Produzione:Classic Roma (Italia), Paradis Films Parigi (Francia)
Distribuzione:Istituto Luce
Origine:Argentina, Francia, Italia
Anno:1999
Durata:

98'

Trama:

Maria Fabiani, 19 anni, è un'attivista militante in una organizzazione clandestina che si oppone alla dittatura militare al governo in Argentina. Fa la maestra in una bidonville di Buenos Aires, e vive in città in una grande casa insieme alla madre Diana. Incombono difficoltà economiche e così Diana ha affittato alcune stanze dell'appartamento, una di queste a Felix, un giovane timido, che dice di non avere famiglia, di lavorare come guardiano notturno in un garage e, soprattutto, si mostra innamorato di Maria. Una mattina irrompono in casa poliziotti e militari in borghese: arrestata di fronte allo sguardo impotente della madre, Maria viene portata via e chiusa in prigione in un centro clandestino chiamato 'Garage Olimpo'. Al momento di farla parlare, Tigre, il capo del centro, affida il compito ad uno dei suoi uomini più fidati: è Felix, l'affittuario. Maria allora capisce che Felix è al tempo stesso il suo torturatore ma anche la sua unica via di salvezza. Intanto Diana accetta di vendere la casa in cambio della promessa di rivedere la figlia. Una macchina l'accompagna, ma appena fuori città la fanno scendere e le sparano. In carcere, Maria bacia Felix, poi prova a scappare, è ripresa, vive momenti di forte paura. Quando il Tigre torna a casa, qui scoppia una bomba messa da Ana, amica della figlia del comandante. Il giorno dopo Felix porta Maria fuori dal carcere. Quando rientrano, lei è destinata a salire sul camion che porta i prigionieri fuori città; Felix viene convocato dal generale. Entrambi saranno eliminati in forma anonima, come tanti altri in quegli anni.

Critica 1:La bravura di Bechis sta nel condurre il suo kammerspiel - che si apre nel finale a un'immagine sconvolgente del Rio della Plata - con straordinario pudore, senza mai cedere in rigore ai risvolti romanzeschi di film anche molto belli come La storia ufficiale o La morte e la fanciulla, giocando sulla normalità perversa della situazione, sulla routine della prigionia, sulla impiegatizia, irresponsabile banalità del male, innescando, in questa normalità, un'identificazione che ci costringe a ricordare degli orrori troppo presto messi in un angolo della memoria.
Autore critica:Irene Bignardi
Fonte criticala Repubblica
Data critica:

30/1/2000

Critica 2:Uno sguardo dall'alto apre il movimento di progressiva penetrazione e discesa nell'inferno argentino della dittatura militare. Prima il mare, poi Buenos Aires con i suoi quartieri moderni e con le sue poblaciones, si svolgono rapidamente fino a diventare strade piene di gente, un autobus dove un ragazzo passa una borsa a una giovane, un appartamento protetto da sgherri armati che tra poco, o tra molto, quella giovane farà saltare in aria. In un altro punto della città, sicuramente prima, l'obiettivo (l'occhio?) della mdp cala su un'altra ragazza che insegna a un gruppo di adulti. E poi, di tanto in tanto, altre immagini dall'alto, di giorno o di notte, riprendono, in un ampio abbraccio, una quotidianità assoluta che contrasta drammaticamente con quello che c'è sotto. Un campo di concentramento che si dipana, come un budello, negli anfratti di un enorme garage. Questo girone infernale che la normalità della professione di torturatore (si timbra il cartellino all'inizio e alla fine del proprio turno di "lavoro") rende ancora più agghiacciante, si apre o - dipende dalla prospettiva - si chiude al mondo grazie a una porticina anonima, insignificante, invisibile quasi. Tra il dentro e il fuori, tra il sopra e il sotto, le soluzioni di continuità sono solo apparenti.
Garage Olimpo è proprio un film fatto di profondità nel senso più abissale del termine, un film che chiede, fin dove sia possibile, di non far caso alle comici spaziali o alle conseguenzialità temporali, ma di essere guardato come tentativo forte di costruire un campo visionario in cui lasciar fluire, accanto alle violenze della Storia, l'ossessione di catturare le immagini di quella Storia. Marco Bechis, che in Alambrado aveva reso palpabile la rarefatta e gelida limpidezza della Patagonia, che ne aveva imprigionato e ricompattato le vastità, le solitudini e le soffocate inquietudini sensuali nella metafora della recinzione, riproponendo così una sorta di sguardo sul mondo dalla posizione privilegiata di chi è spettatore consapevole di esserlo, in questo suo toccante film cambia prospettiva. Rincorre con lucidità e con coscienza teorica la possibilità che il cinema ha di "vedere e di comprendere". Il passaggio, che è essenzialmente estetico, non incrina l'esigenza etica ma, paradossalmente, la pone in primo piano e presenta una questione risolvibile in termini che sono teorici prima ancora che poetici.
Nelle sue note di regia al film Marco Bechis spiega così il percorso che ha seguito: "Ho voluto documentare il mio rapporto con quell'esperienza e quindi ridare immagini a delle vicende che non ne hanno nemmeno una. I desaparecidos non hanno immagini. La domanda che mi sono posto è stata: quali immagini? Qualunque immagine va bene? Evidentemente no. E questo problema è stato un'ossessione ad ogni inquadratura. Secondo me l'immagine ha una sua etica. Cosa significa? Che un'intenzione può essere tradita dall'immagine che si usa perché l'immagine ha dei codici propri che non sono quelli della scrittura. Allora quali immagini per descrivere un campo di concentramento?". Già l'espressione "usare l'immagine" apre una via di interpretazione per questo film poiché presuppone un'idea di cinema che cerca di svelare il proprio essere a partire da un aspetto che è, appunto, innanzitutto estetico.
In un suo recente libro Flavio De Bernardinis propone con chiarezza quale sia la questione essenziale del cinema quando scrive che esso "è innanzi tutto arte meccano-performativa, apparato tecnologico in azione, immagine prodotta in movimento che scandaglia il mondo e i suoi infiniti particolari, obiettivamente, senza che tale interiorizzazione pervenga a deformare l'apparenza delle cose". E completa l'inevitabile percorso che congiunge il sentire, soggettivo, dell'uomo con quello, oggettivo, della macchina, affermando che tocca poi al regista, all'uomo "visionare, inquadrare, montare", ordinare quello che la macchina ha visto. Garage Olimpo diventa quindi vera testimonianza etica anche perché si interroga continuamente sulla necessità di trovare questo filo che lega l'immagine catturata a quella selezionata, ricucita, mostrata. In questo senso, la scelta di ogni sequenza risponde non solo alla privatissima esigenza del pudore, ma alla lucidità intellettuale di chi sembra credere che il cinema sia anche, come sosteneva Serge Daney, arte del mostrare.
Marco Bechis ha fatto un film crudo ed emozionante perché qualunque immagine obbliga a vedere quello che c'è al di là di essa e tutto il carico disperato e drammatico che la sostanzia. Mostrare forse è far vedere con gli occhi del cuore e della mente insieme, costringere a stupirsi di riuscire a vedere quello che non scorre sullo schermo. Quello che accade dietro alle porte di ferro chiuse un attimo prima della tortura e quello che accade subito dopo l'apertura del portellone dell'aereo in volo sull'oceano, noi lo abbiamo sicuramente visto.
Autore critica:Attilio Coco
Fonte critica:Segnocinema n. 102
Data critica:

marzo-aprile 2000

Critica 3:
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Fonte critica:
Data critica:



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