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Rosetta - Rosetta

Regia:Jean-Pierre Dardenne; Luc Dardenne
Vietato:No
Video:Key Films Video
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Disagio giovanile, Il lavoro
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne
Sceneggiatura:Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne
Fotografia:Alain Marcoen
Musiche:Rumori d'ambiente (Colonna sonora assente)
Montaggio:Marie Helene Dozo
Scenografia:Igor Gabriel
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Emilie Duquenne, Anne Yernaux, Olivier Gourmet, Fabrizio Rongione
Produzione:Luc e Jean Pierre Dardenne, Michele & Laurent Petin per les Films du Fleuve/Rtbf/Arp Selection
Distribuzione:Key Films
Origine:Belgio - Francia
Anno:1999
Durata:

90'

Trama:

La giovane Rosetta viene licenziata e a nulla serve la sua furiosa reazione a questa decisione. Rosetta torna al campeggio alla periferia della città, dove vive insieme alla mamma, donna debole dedita all'alcool e ad occasionali prestazioni sessuali. Per mettere insieme qualche soldo, la ragazza vende alcuni abiti, poi riesce a trovare un nuovo lavoro. La mamma fugge dalla roulotte e scompare. Rosetta va a casa di Rigaud, che lavora con lei. Lui le offre la cena e una stanza per dormire. Prima di addormentarsi, Rosetta dice a se stessa che in questo modo lei può avere una vita normale. Il giorno dopo però al panificio perde il posto. Allora denuncia al padrone Rigaud, che guadagnava di nascosto sulla vendita di frittelle. Lui viene licenziato e lei riassunta al posto suo. Rigaud vorrebbe vendicarsi, arriva al campeggio, cade in acqua, lei vorrebbe lasciarlo annegare ma poi lo salva. La mamma torna al campeggio ubriaca. Rosetta allora telefona al laboratorio e dice che non andrà più a lavorare. La mamma è a letto, lei apre il gas e la segue. Ma la bombola è finita. Allora Rosetta esce, va a comprarne un'altra, torna verso la roulotte. Qui arriva Rigaut, lei si ferma, lascia la bombola, lo guarda.

Critica 1:Rosetta è distesa in un letto e ripete a se stessa il proprio nome, la certezza provvisoria di un impiego e di un'amicizia. É la sequenza più bella di questo straordinario ritratto di una giovane donna in guerra. Guerra con se stessa, con i mancati e distratti datori di lavoro, con una madre dalla bottiglia e dal sesso facili, con un amico sincero, che prima pensa di lasciare affogare e poi "uccide", tradendone la fiducia, con una vita inchiodata su una roulotte parcheggiata in una periferia qualunque di un Belgio marginale e miserabile. La protagonista cammina svelta, con passo concitato e nervoso. Ha sempre fretta. Quando maneggia il denaro, vende abiti usati, si cambia le scarpe, raccoglie le esche e pesca, litiga con la madre, con il guardiano del camping, con chi la licenzia. Non può fermarsi. Non ha tempo. La macchina da presa e la regia dei fratelli Dardenne La promesse la seguono, la braccano, ne afferrano il respiro, ne contano i passi, ne esplorano la grinta, la rabbia e la disperazione controllata. Una messa in scena che parte dalla pelle del protagonista e reagisce con l'aria cupa di un mondo non restaurato dall'ideologia . Né documentario né cinema-verità. Una scrittura da crampi, simili a quelli che straziano la pancia di Rosetta.
Autore critica:
Fonte criticaKwcinema
Data critica:



Critica 2:Hanno detto che Rosetta, il film Palma-d'oro (con polemiche) all'ultimo festival di Cannes è il ritratto dei sacrificati dalle nuove tecniche industriali, perché parla di giovani disoccupati che vivono ai margini in attesa di qualsiasi occupazione. Perché svela l'incapacità dei governi nell'Europa di Schengen dove si moltiplicano i redditi e si alza la soglia della povertà. Al punto che a Parigi molti intellettuali hanno lanciato un manifesto dove si proclamava: "Nous
sommes tous des Rosetta". Tutto vero, perché Rosetta ragazza senza lacrime e sorrisi vive per avere un lavoro. Sussurra la notte parlando a se stessa: "Ti chiami Rosetta. Mi chiamo Rosetta. Hai trovato un lavoro. Ho trovato un lavoro. Non finirai nel nulla. Non finirò nel nulla". E' la sola chiave il lavoro che la faccia entrare nella fortezza dei "normali", degli altri, di chi non vive come lei in un campeggio nel bosco e ogni sera attraversa l'autostrada che taglia i suburbi della piccola cittadina belga senza identità per correre al suo squallido camper. Ma Rosetta è anche qualcos'altro, che "sociale" a parte, riguarda il cinema, il suo linguaggio alla fine del millennio in una riflessione legata a questo personaggio dissonante. Intanto Rosetta ci fa sapere che gli sfigati - è nelle intenzioni dichiarate dei Dardenne - non sono tutti buoni, non si aiutano e si vogliono bene, anzi - "sono cose che si trovano in tv, nei media, nei discorsi da salotto e in alcuni film impegnati". Rosetta non fa tenerezza, non ammicca, non è la povera piccola fiammiferaia: piuttosto somiglia a un soldato in guerra, un cow-boy ripreso di spalle in attesa che si volti e spari. O un marines che pesca trote a mani nude nel lago e si mimetizza nella vegetazione, mentre togliendosi le scarpe da città indossa gli stivaloni di gomma. Poi i movimenti violenti, che distillano la sua rabbia: non cede mai Rosetta, si incolla a sacchi di farina e bombole del gas, acchiappa il padrone che la licenzia resistendo come un animale preso al laccio. Denuncia l'amico, l'unico che ha, Riquet, povero quasi come lei (Fabrizio Ronjione) per avere il suo posto e vendere con regolare contratto di lavoro le "gaufre" calde. Poco prima quasi lo affoga nel fiume dove è caduto per aiutarla. Ma basta? Il punto è che il nodo di Rosetta non è il lavoro, non ce ne sarà uno in grado di sciogliere il suo universo disperato. Rosetta - già nel titolo solo nome - non ha una storia e ne ha pure troppa. Si porta dietro, nelle sue corse il peso più assurdo, che neppure lei riesce a sostenere, quella madre fuori di testa e alcolizzata dura che odia ma di cui si occupa. Dove sembra si concentri tutta la sua infelicità, il silenzio, l'odio che ha per gli altri e per se stessa, che la spinge a sfidare il mondo solo per sparirne. E' l'Edipo feroce la sua dimensione tragica, la madre che è lì quasi a ricordarle che lei è una predestinata al nulla e ogni lavoro è inutile - infatti lo molla per suicidarsi ma neanche questo le riesce perché finisce il gas... In Rosetta i fratelli Dardenne usano tutta la loro esperienza di documentaristi, che era già alle origini della Promessa e che qui radicalizzano trasformandola in una questione di stile e di linguaggio. Rosetta è girato con la macchina incollata al corpo della giovane attrice, Emilie Dequenne (pure lei premiata), studentessa in economia e commercio alla sua prima esperienza trovata dopo lungo casting, che sa tirare fuori la grinta necessaria. Niente musica, niente trucco, super16 poi gonfiato in 35 millimetri, Rosetta - che per certe cose potrebbe far pensare al Dogma - mescola documentario e finzione, ne annulla i confini e i codici e soprattutto maneggia il cinema come apparato leggero, riportandovi dentro la sfida della videocamera che ha reso possibile fabbricare i film a costo zero da ogni soggetto - è la tendenza Blair witch project o home-movie via internet. Forse la ricerca è persino eccessiva, stona con la storia e a volte sembra artificiosa. Però tenta anche di aprire un occhio nuovo sulla realtà che si può, si deve raccontare senza cadervi dentro, lasciando altre possibilità di interpretazione. Che allo stesso modo queste vengono appena accennate, lasciate lì dove lo spettatore le può cogliere senza cercare di trascinarlo dalla parte del personaggio. Senza buoni e cattivi, insomma, aperte, come il finale, che forse lascia intravedere una sottile umanità. O forse no, ma a quel punto è quasi lo stesso.
Autore critica:Cristina Piccino
Fonte critica: il Manifesto
Data critica:

21/12/1999

Critica 3:A seguito dell'impatto suscitato dal film in Belgio, la legge relativa al sostegno e alla tutela dell’occupazione giovanile è stata ribattezzata Plan Rosetta. La protagonista appare un simbolo della necessità del lavoro come condizione primaria per avere una propria identità e dignità. Per Rosetta il lavoro è importante non solo come fonte di sostentamento economico, ma ancor più come elemento che permette autonomia e indipendenza dallo squallore che la circonda: l'assenza di un riferimento familiare positivo, una quotidianità fatta di rinunce, soprusi, umiliazioni.
Pur ambientato nel cuore dell'Europa, in teoria opulenta, il film denuncia una situazione di disagio sociale, sottolineando l'estrema povertà in cui vivono i personaggi, esponenti di un Lumpenproletariat che sembrava retaggio di altre epoche e che invece appare molto più presente e vicino a noi di quanto non si creda.
La lotta per il lavoro e per la sopravvivenza materiale è la traccia che permette di cogliere i cambiamenti della protagonista. Se all’inizio combatte fisicamente per protestare contro ciò che ritiene un’ingiustizia, verso metà film opera in modo silente nel nuovo incarico affidatole dal principale di Riquet, di fatto indifferente alla situazione della donna che lei ha sostituito. In seguito ricorrerà alla delazione contro il suo unico amico per ottenere il posto di lavoro, causando il licenziamento di Riquet. Infine, decisa a recuperare una propria dimensione morale, Rosetta si licenzia con una brevissima telefonata.
In questo percorso emerge il rischio del personaggio di omologarsi a un mondo di adulti che appare caratterizzato esclusivamente dall'egoismo, dallo sfruttamento e dall'indifferenza assoluta. Ciò accade non solo nei rapporti professionali e tra sconosciuti, ma anche all'interno di ciò che resta della famiglia. La madre appare in questa luce un personaggio profondamente tragico, che cerca nell'alcol una quotidiana evasione da una vita insostenibile, che la sta trasfigurando in modo sempre più disumano. Non solo ha perso la dignità, disposta a umiliarsi pur di ottenere qualcosa da mangiare o bere, ma dimentica anche ogni istinto materno, abbandonando la figlia che rischia di affogare nel fiume.
In un universo in cui ciascuno sembra badare solo a se stesso, e per alcuni già questo è un compito improbo, nel film spicca il rapporto di amicizia tra Rosetta e Riquet. Pur caratterizzato da dialoghi scarni e ricorrenti controversie, resiste a ogni attacco e disillusione, grazie a un senso di profondo rispetto e reciprocità che nasce tra i due. Quando Rosetta abbandona il campeggio e abbassa le difese verso l’esterno, trova l’ospitalità di Riquet, la sua semplicità nell’offrirle da mangiare, da bere. Da Riquet trova un letto vero, una coperta calda. E per la prima volta si rende conto di essere una persona, non più un animaletto che usa l’aggressività per non farsi mangiare dalla paura.
Anche quando Rosetta denuncia Riquet, sembra conscia che solo con lui può permetterselo e che lo fa per necessità assoluta, non per cattiveria verso l’amico. La persecuzione psicologica che il ragazzo attua poi nei suoi confronti, seguendola con il motorino per farle crescere i rimorsi, si trasforma in un gesto di salvezza e di redenzione, in cui due deboli sembrano capire che l’unica possibilità di resistere, forse, è quella di unire gli sforzi, senza sbranarsi a vicenda.
Autore critica:Aiace Torino
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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