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Lolita -

Regia:Stanley Kubrick
Vietato:14
Video:Mgm Home Entertainment (Gli Scudi)
DVD:La Repubblica, L'Espresso
Genere:Drammatico
Tipologia:Letterature altre - 900, Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Vladimir Nabokov
Sceneggiatura:Vladimir Nabokov
Fotografia:Oswald Morris
Musiche:Bob Harris, Nelson Riddle
Montaggio:Anthony Harvey
Scenografia:William Andrews,Sid Cain
Costumi:
Effetti:
Interpreti:James Mason Humbert Humbert, Shelley Winters Charlotte Haze, Sue Lyon Lolita, Gary Cockrell Dick, Diana Decker Jean Farlow, Peter Sellers Clare Quilty, Jerry Stovin John Farlow, Suzanne Gibbs Mona Farlow, Irwin Allen Assistente ospedale, Roland Brand Bill, Shirley Douglas Signora Starch,
James Dyrenforth Beale, William Greene Swine, John Harryson Tom, Maxime Holden Addetto Reception, Terence Kilburn, Eric Lane Roy, Cec Linder Il medico, Isobel Lucas Louise, Colin Maitland Charlie, Marion Mathie Miss Lebone, Lois Maxwell La nurse, Craig Sams Rex, Roberta Shore Lorna, Marianne Stone Vivian Darkbloom, Denir C. Warren Potts
Produzione:James B. Harris per Metro Goldwyn-Mayer / Seven Arts / Anya / Transworld
Distribuzione:Non reperibile in pellicola
Origine:Usa
Anno:1962
Durata:

153'

Trama:

Dal romanzo (1955) di Vladimir Nabokov: intellettuale cinquantenne si fa mettere i sensi in fantasia da un'aizzosa quattordicenne e, per starle vicino, ne sposa la madre vedova. E una passione senza speranza, un gorgo nel quale sprofonda fino all'omicidio.

Critica 1:Poco apprezzato dalla maggior parte dei pedanti critici dell'epoca, il primo film britannico di S. Kubrick migliora ogni anno che passa: anche a livello stilistico e drammaturgico, la scrittura filmica rivela le sue qualità, reggendo il confronto con la capziosa prosa di Nabokov. Più che un dramma, è una inventiva e persino divertente commedia nera in cui si riconoscono diversi temi del successivo cinema kubrickiano. Recitazione ad alto livello con un P. Sellers straordinario nel suo proteiforme istrionismo. Durante le riprese S. Lyon aveva 13 anni, ma col suo sessappiglio ne dimostrava 3 o 4 in più. Ridistribuito in Italia nel 1998. Rifatto nel 1997.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:(…) Non interessa qui la fedeltà o infedeltà verso Nabokov, il quale firmò la sceneggiatura che fu però da K. ampiamente e liberamente manipolata. Rispetto al problema dell'età di Lolita, che K. avrebbe sensibilmente aumentato scegliendo la quindicenne Sue Lyon per la parte, K. stesso ha, ironicamente notato (a proposito di “normalità”) che il pubblico americano maschio medio ha evidentemente la tendenza (invero perversa) a raffigurarsi le dodicenni come bambine di nove o dieci anni. K. ovviamente non ha potuto mantenere il fascino “linguistico” del testo originale, ma è stato in grado di conservare l’humour sottile ma dilagante, l'aspetto di “pastiche” tra diversi elementi culturali (popolari e non), e l'ossessionalità.
(…) Che K. punti molto di più sull'ossessione in sé che sul suo oggetto (Lolita), è dimostrato già dal principale spostamento operato rispetto al romanzo: l'insediamento all'inizio della sequenza dell'uccisione di Quilty, che vedremo ripetuta in coda (come è nel romanzo). Ciò, oltre a introdur-re il suspense che provocherà in seguito ogni apparizione di Peter Sellers (Quilty, mascherato da professore tedesco – Zempf, stranamoresco) o da poliziotto logorroico); incornicia tutto il film in un’atmosfera onirica, di soliloquio onirico (nabokoviano) profondamente soggettivo: e si capisce quindi anche qui in quale senso è ormai orientato il “realismo” kubrickia-no. (…) Dopo i titoli e la sequenza citata, si ha inflitti il lungo flashback (precedu-to dalla scritta “Quattro anni prima”) introdotto in prima persona da Humbert e da lui diverse volte commentato fuoricampo,- quindi la ripeti-zione dell'omicidio, e infine un'altra scritta finale: “Humbert Humbert morì in prigione di trombosi coronaria in attesa di essere processato perl'assassinio di Clare Quilty”. Ma l'idea della “fine” posta in partenza non serve solo a produrre un genuino suspense che rimpiazzi, quale elemento di interesse immediato, la quasi assoluta castrazione (obbligata; data la censura del periodo) degli aspetti visibilmente erotici dei rapporto ossessi-vo tra Humbert e Lolita, ma soprattutto a portare in primo piano un ele-mento meno accentuato - ma sempre alluso - nel romanzo. Cioè, il carat-tere di “doppio” che ha Quilty rispetto a Humbert. Nel film, alla masche-ra un po' grigia e immota di Humbert (…) si contrappone a più riprese, come manifestazione estro-versa di uno stesso “vizio” ossessivo, il cinico vivacissimo fregolismo di Quilty-Sellers, che segue passo passo l’itinerario del protagonista per sosti-tuirsi infine a lui e realizzare anzi il suo stesso sogno. Se nel libro Quilty era percepito da Humbert più che altro come “doppio culturale”, con il suo stesso gusto per la citazione letteraria e per il calembour (“benché più volgare e superficiale”), qui, prima di essere ucciso, Quilty addirittura invita Mason a una partita a ping-pong (scacchi volgarizzati, e “sport” preferito di K.), gioco in cui la medesima pallina è oggetto della stessa maniacale (ma ludica) attenzione da parte di due giocatori vicinissimi che si specchiano l'uno nell'altro: la didascalia ultima, infine, lega nella morte i due nomi, uno all'inizio e l'altro alla fine della frase, in modo inequivocabile, e senza neppure nominare Lolita (di cui invece nel romanzo si annunciava la morte per parto).
Il tutto avviene in una dimensione di fiaba (e poi di fiaba-mito, con l'apparizione di Lolita-Jean Harlow, LolitAlice che si muove dentro al cerchio dell'hula-hoop, centro per Humbert irraggiungibile anche quando raggiunto, corpo-centro che lo porta a distruggersi) che darà in seguito un tono étrange anche alle notazioni realistico-satiriche del film (il ritratto ora pietoso ora spietato di Shelley Winters, la madre di Lo, “madre” che tornerà invecchiata e del tutto disillusa nel Bloody Mama, Il Clan deí Barker di Corman, la provincia americana). Humbert scivola all'alba dalla porta socchiusa nel cadente “maniero” incantato di Quilty, si muove allucinato nelle stanze sottosopra per le orge della notte precedente, entra nel luogo della perversione e per non contaminarsi neppure si toglie il cappotto, di fronte a Sellers che lo accoglie in pigiama e si avvolge in lenzuola posando da antico romano (le sue prime parole, “Sono Spartaco. Siete venuto forse a liberare gli schiavi?”, giocano col film precedente) provando ancora a giocare la commedia dei travestimenti e delle parole da mago sapiente. Ma se la prima sequenza ha questa funzione di proporre le chiavi di tutto il film prima ancora dell'apparizione di Lolita, e se propone il gioco temporale come essenziale per una storia che nel romanzo era tutto un mescolarsi di date e ricordi, un procedere e tornare indietro, necessariamente e ironicamente, visto che l'ossessione erotica di Humbert si definisce per la precisa limitazione temporale dell'età del “ninfaggio” (dodici-tredici anni); è solo nella ripetizione finale che si chiarisce il suo senso segreto, il segreto kubrickiano nascosto nella chiarezza. L’ovvio amore di K. per l'ossessione messa in scena da Nabokov è infatti dovuto alla rivelazione (gradualmente preparata ma sorprendente nel libro; più “chiara” - lamenta K. - nel film perché mancando l'occhio erotico della permissività l'infatuazione di Humbert visivilmente casta, ha fin da principio un che d’amourfou) di quale è il cuore di tale ossessione apparentemente fisico-meccanica: l’amore più estremo ed asociale (l'anormalità del desiderio di Humbert è tale solo in relazione ad una “norma” sociale), infine indifferente all'oggetto nonché all'età. Humbert si accorge di amare Lolita pur “invecchiata” e incinta e anche nella stupidità evolutasi fino a ricordare la madre, l’ossessione si mantiene e si fa pura supera l'oggetto quasi feticistico di sé (la ninfetta transeunte) e l’immobilità del fotogramma, per perpetuarsi in forma vuota dentro la quale torna però la “persona”. K. può far intravedere cosa può esserci nel cuore dei suoi freddissimi meccanismi e della sua ossessione in (per) essi, nel suo folle perseguire il cinema come astrazione e insieme realizzazione assoluta. Quilty viene ucciso dentro al palese déco cinematografico che è la sua dimora, perché è il cinema-spettacolo cinicamente soddisfatto di sé (le sue parole al primo sparo di Humbert: “Smettiamola di giocare con la vita e con la morte. Io sono uno scrittore di drammi. So tutto su questo genere di tragedie e di commedia e di “fantasy" e di tutto. Ho al mio attivo cinquantadue drammi e sceneggiature di successo ... ”), colui che è riuscito in quello che sembrava il fine dello stesso Humbert, godere Lolita in pace e scriverci sopra (nel libro, si scopre che il lavoro di maggior successo di Quilty è stato, anni prima, La piccola ninfa). Il maniaco monomane Humbert, che pure è all'interno del cinema, uccide - per amore - la puramente meccanica esplicitazione di sé.
Non è possibile negare che la sofisticazione allusiva di questo gioco difficilmente si comunica allo spettatore, e che la critica stessa può trovare il film ora disorganico, ora troppo “freddo”, ora incerto: sono in fondo aggettivi che delineano un disagio psicologico reale cui non è estraneo proprio il centro doloroso, della struttura grottesca del film. Tuttavia sul popolare e sul comunicabile il film dice qualcosa. È organizzato infatti come una contaminazione di diversi generi, anzi di tutti i principali generi classici cinematografici (meno il western e il musical): dalla commedia (black comedy e delirio verbale alla W.C. Fields) al poliziesco e all'horror, dal dramma sentimentale borghese al melodramma. Una raccolta di diversi “spettacoli” quale si ritroverà in Arancia meccanica. Lolita diviene quindi anch'esso un spettacolo che si proietta su diversi “schermi”, tutti quelli dell'universo spettacolistico della comunicazione popolare. (…)
Il “vuoto” del film è invece proprio sul piano dell'amore, sessuale e non. L’erotismo, oltre che negli occhi vagheggianti di Mason, è tutto chiuso nella sequenza dei titoli, in cui si vede la mano di Humbert toccare un piede di Lolita e cominciare a laccarne con dolcezza e pazienza le unghie. Ma la piana relazione tra uomo e donna è assente nel cinema di K., dove se anche la donna ha un ruolo decisivo o spesso ribaltante (il finale di Orizzonti di gloria, la moglie fedifraga in Rapina a mano armata, la voce alla fine di Stranamore, la firma di lady Lyndon) ha tuttavia uno spazio limitato, e la famiglia o è completamente esclusa o è una speranza troncata (…) o un penoso sodalizio (Arancia meccanica). Sembra che solo rapporti abnormi o falliti abbiano posto, o lo spazio mèta-sessuale di 2001, o la violenza di Arancia meccanica.
Autore critica:Enrico Ghezzi
Fonte critica:Stanley Kubrick, L’Unità/Il Castoro
Data critica:

7/1995

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:Lolita
Autore libro:Nabokov Vladimir

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