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Convoy- trincea d'asfalto - Convoy

Regia:Sam Peckinpah
Vietato:14
Video:Domovideo
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Tratto dalla ballata "Convoy" di C. W. MacCall
Sceneggiatura:Bill L. Norton
Fotografia:Harry Stradling Jr.
Musiche:Chip Davis; canzoni di Bill Fires
Montaggio:Graeme Clifford, Garth Craven, John Wright
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Franklyn Ajay (Spider Mike), Ernest Borgnine (Lyle Wallace), Seymour Cassel (Gov Haskins), Brian Davies (Chuck Arnoldi), Walter Kelley (Hamilton), Kris Kristofferson (Rubber Duck), Ali MacGraw (Melissa), Madge Sinclair (Widow Woman), Cassie Yates (Violet), Burt Young (Pig Pen)
Produzione:R. M. Sherman per Emi
Distribuzione:Cineteca Antoniana – Cineteca Palatina - Zari
Origine:Usa
Anno:1978
Durata:

115’

Trama:

Il camionista Martin detto "Anatra di gomma" e i suoi colleghi "Casino ambulante" e "Silver Streak" si imbattono, mentre sono in viaggio coi loro automezzi, nel loro vecchio "nemico", lo sceriffo Lyle Wallace, che provoca ad arte l'occasione per multarli. Qualche ora dopo i tre si vendicano di Lyle sbeffeggiandolo pubblicamente e poi picchiando lui ed altri poliziotti. Risaliti sui camion partono quindi per il New Mexico per sottrarsi alla prevedibile reazione di Wallace. Mentre questi mobilita, contro "anatra" e gli altri, i suoi colleghi e gli stessi agenti federali - ma senza successo - i camion in marcia per il New Mexico diventano dieci, venti, cinquanta: è una vera e propria ribellione, cui la popolazione lungo le strade dà il suo entusiastico appoggio. Superati tutti i posti di blocco fatti istituire da Lyle il convoglio raggiunge finalmente il New Mexico ma senza "Silver Streak", l'unico camionista su cui lo sceriffo sia riuscito a mettere le mani. Fatto naufragare nel ridicolo un tentativo di strumentalizzare la loro protesta compiuto dal governatore del New Mexico, che pensa alle elezioni, "Anatra di gomma" torna indietro per liberare "Silver Streak". Ci riesce demolendo addirittura una prigione, ma stavolta Lyle non si fa sfuggire l'occasione di fargliela pagare per tutte. Tentando di superare uno sbarramento di fucili e di cannoni "Anatra", che trasporta una miscela esplosiva, salta in aria. Si salva, pero', e cio', in fondo, non dispiace a Lyle.

Critica 1:"Anatra di gomma", un capo-camionista, si ribella ai soprusi di un esoso poliziotto stradale e protesta, in Arizona, con decine e decine di camionisti solidali. Qualche cedimento e qualche stereotipo sono riscattati dal talento visionario di S. Peckinpah che offre momenti memorabili. La corsa dei camion sulla pista sabbiosa al ritmo di una canzone country è un pezzo d'antologia. (…)
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:D'accordo, nella sua feroce coerenza Peckinpah rischia di non avere ormai più niente da dire. E sarebbe inutile ritornare in questa sede sui suoi «temi», anche perchè l'approccio sociologico ci sembra porterebbe a risultati fuorvianti e riduttivi. Piuttosto ci pare importante la tendenza del regista a fare la conta degli elementi del proprio cinema e a giocare con essi. E in questo film gli elementi ci sono, non a caso, proprio tutti, dall'individualismo esasperato, patrimonio e privilegio di pochi eletti («siamo rimasti in pochi», dice Lyle ad Anatra), all'amicizia-inimicizia virile, dalla celebrazione dell'istinto contro la norma alla ricerca di un altrove sempre più illusorio. II regista li mette in scena diverito e ammiccante, trascinando lo spettatore in un balletto che possiede una forza dionisiaca, ubriacante nel susseguirsi di epos e sberleffo. Morandini («Il Giorno», 22-11-'78) ha parlato di manierismo, Kezich («La Repubblica', 5-11-'78) ha parlato di manierismo, Kezich («La Repubblica', 5-11-,78) di ritorno al western minorenne; è probabilmente vero, ma ci pare comunque che in questo film ci sia qualcosa di più, che l'operazione sia condotta con una superiore forma di coscienza, attraverso i filtri complementari dell'ironia e dell'autocitazione.
Ma se per quanto riguarda la prima Peckinpah ci aveva da tempo abituati ad exploit che tendevano a «raffreddare» certe truculenze narrative (La croce di ferro, ad esempio) o ad attenuare un lirismo comunque dominante (Sfida nell'alta sierra, La ballata di Cable Hogue), la seconda rappresenta indubbiamente una novità, tenuto conto anche del fatto che il regista la spinge fino ad un'invereconda messa in scena di sè stesso.
Costruito seguendo i tre tempi dell'omonima ballata di C.W. Mc Call («Arizona noon», «New Mexico, 13,40» e «Texas dawn»), secondo cioè un procedimento già sperimentato da Peckinpah ne La ballata di Cable Hogue e in Pat Garret e Billy Kid, il film è quindi in parte ricostruibile come una serie di «variazioni» su immagini e situazioni caratteristiche di altre opere del regista. Così, a parte la sequenza iniziale del corteggiamento di Melissa da parte di Anatra, che è sì citazione, ma di un road movie anomalo come Zabriskie Point (sostituire, prego, l'aereo al camion), tutto il resto sembra costituire una specie di piccola galleria peckinpahiana, sulla quale il cinéphile può sdilinquirsi (o arrabbiarsi, a scelta). Vediamo così uno dei soliti dualismi (ricomponibilissimi) che, lo sappiamo, vanno da Dundee-Tyreen a Steiner-Stransky, da Judd-Westrum a Pat Garret-Billy Kid. Ci troviamo di fronte ad un Mucchio Selvaggio che, come scrive Autera («II corriere della sera», 22-11-'78), «Ha preso il camion», indeciso sul fine della propria rivolta ma pronto ad accorrere per liberare Angel-Spider Mike (notare l'identica preparazione delle due scene, truculenta la prima, quasi comica la seconda, il «taglio» con cui vengono ripresi i «poids lourds» che marciano verso la prigione di Alvarez, che è lo stesso col quale vengono seguiti Pike e compagni nel lungo tragitto tra il bordello ed il quartier generale di Mapache), prima di autodistruggersi, sia pure limitatamente alla figura del proprio leader, con un rituale del tutto simile (Borgnine dietro alla stessa mitragliatrice) dopo essersi rifocillato nel cuore di una «serata messicana» tentato da un governatore-mediatore (il Wallace-Robards di Pat Garrett) ed essersi fatto beffe di un potere fra i tutori del quale soltanto Lyle conserva un briciolo di spregevole professionalità (per le analogie qui non c'è che l'imbarazzo della scelta).Facciamo conoscenza con un reverendo hippy («In nessuna parte della Bibbia sta scritto: non farai del tuo camion la tua chiesa viaggiante») che è parente prossimo dei sublime Joshua Sioane-David Warner di Cable Hogue, mentre Melissa, rappresentata secondo i clichés «muliebri» cari al regista, adempie la funzione di «narratrice», di elemento estraneo al «gruppo» (l'Alias di Bob Dylan) al quale spetterà di cantare/testimoniare l'ormai impossibile leggenda, sia pure con il mezzo aggiornato di una Nikon a motore.
Certo, il «dato» sociologico del film è inquietante: Anatra viene seguito unicamente per la sua attitudine ad «essere capo», le motivazioni che muovono il convoglio sono un'accozzaglia confusa di luoghi comuni e qualunquismo, miserabile investimento fantastico di una cultura che, persa la propria identità,
non riesce pur tuttavia ad uscire da sè stessa, neppure in negativo.
Ma si ha comunque l'impressione che la giustificazione del viaggio, del suo essere orientato, non sia più morale (e tantomeno politica), ma narrativa. Il fine del convoglio - dice pressapoco Anatra - è continuare a muoversi. Peckinpah, liberatosi definitivamente da preoccupazioni etiche nella risata di Steiner, sembra aver recuperato in toto il piacere di un cinema-treno elettrico (in senso wellesiano), i cui vagoni hanno la mole massiccia dei vari Mack, Fruehauf o Midland. (…)Il viaggio del convoglio, pur tuttavia, in quanto attraversamento del cinema di Peckinpah, non può non assumere tonalità epiche. Allora la straordinaria fotografia di Harry Stradling Jr., notturna o aerea, ci avverte che nell'esodo della carovana c'è qualcosa di biblico. Ma si tratta di intermezzi distesi: ecco subito il balletto, il valzer che i camion danzano al rallentatore con le automobili della polizia che si sovrappongono ad essi grazie alle dissolvenze incrociate, in un preziosismo formale di grandissima efficacia spettacolare, sabbiosa rincorsa ad un iperrealismo di riporto. Ecco le sequenze picaresche, improbabili e strampalate (il «ralenti» di Lyle che sfonda con la sua auto un enorme cartello con la scritta «Take a friend to a church» - citazione, «et pour cause», da Questo pazzo, pazzo, pazzo, pazzo mondo, Kramer, 1963 - per poi ricadere, pollo tra i polli, in un raffinatissimo montaggio analogico, l'auto della polizia presa in sandwich tra i due camion, la distruzione della prigione), strizzate d'occhio ad uno spettatore disposto a stare al gioco, pronto ad uscire nel ghigno di Lyle (…) di fronte alla constatazione che le anatre sanno nuotare.
Caprino nella sua barbetta puntuta e negli occhi taglienti, Samuel Peckinpah «appare e scompare» dietro lo specchio retrovisore dei camion, regista attento di una messa in scena che ha smesso di interrogarsi sulle sue finalità. «Dove vanno, cosa vogliono i camionisti?», chiede il telecronista venduto. E mentre i camionisti rispondono, grosso modo, «Boh?», l'ex «maudit» degli anni '60 ammicca con serietà allo spettatore. O forse al suo alter ego e aiuto-regista James Coburn che, invisibile dietro la mdp nascosta nella cabina, filma la morte della leggenda e di un cinema che ha saputo prolungarne l'agonia.(…)
Autore critica:Paolo Vecchi
Fonte critica:Cineforum n. 182
Data critica:

3/1979

Critica 3:
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Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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