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Non si uccidono cosi' anche i cavalli? - They Shoot Horses, Don't They?

Regia:Sydney Pollack
Vietato:No
Video:Deltavideo
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Tratto dal romanzo. "They Shoot Horses Don't They" di Horace McCoy
Sceneggiatura:James Poe , Robert E. Thompson
Fotografia:Philip H. Lathrop
Musiche:Johnny Green, Albert Woodbury
Montaggio:Fredric Steinkamp
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Bonnie Bedelia (Ruby), Red Buttons (il marinaio), Michael Conrad (Rollo), Severn Darden (Cecil), Bruce Dern (James), Jane Fonda (Gloria), Jacquelyn Hyde (Jackie), Felice Orlandi (Mario), Michael Sarrazin (Robert), Susannah York (Alice), Gig Young (Rocky)
Produzione:Chartoff Winkler - Sidney Pollack
Distribuzione:Non reperibile in pellicola
Origine:Usa
Anno:1969
Durata:

121'

Trama:

Negli Stati Uniti, durante la "grande depressione" seguita alla crisi del 1929, sono molto in voga le maratone di ballo, sfibranti gare che vedono povere coppie di disperati impegnate a danzare per giorni e giorni, a caccia di un cospicuo premio in dollari. A uno di questi crudeli spettacoli, organizzati da impresari senza scrupoli, e che si svolgono di fronte a un pubblico avido di sensazioni malsane, partecipano tra gli altri una aspirante attrice, che spera, vincendo, di ottenere un contratto cinematografico e finisce, invece, per diventare pazza; un marinaio avanti negli anni, che si prodiga fino a crollare come morto; una giovane donna incinta, accompagnata dal marito, e, infine, una ragazza, Gloria, segnata dalla disperazione, e per la quale vincere sembra davvero una questione vitale. Quando si rende conto, pero', che nemmeno la vittoria potrà cambiare la sua esistenza, Gloria induce il suo compagno di ballo, Roberto, a ucciderla con un colpo di pistola.

Critica 1:Dal romanzo (1935) di Horace McCoy: nel 1932, durante la grande depressione, a Los Angeles si svolge una maratona di danza dov'è in palio un premio di millecinquecento dollari. Sagra di sadomasochismo, claustrofobica fino all'angoscia, impressionante ricostruzione d'epoca con dialoghi crepitanti, il film è una sola, grande metafora sull'America amara che si slarga ad allegoria sul destino dell'uomo. Ottimo gioco di squadra tra gli attori. Ebbe sei nomination ai premi Oscar (regia, sceneggiatura, J. Fonda, S. York, musiche) e una statuetta a G. Young come attore non protagonista.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Il romanzo breve, con lo stesso titolo, di Horace McCoy, scrittore non eccelso ma nemmeno mediocre, ambientato nella Hollywood degli anni trenta e, della «fabbrica dei sogni», rappresentazione cruda ed impietosa, ha offerto a Sidney Pollack, regista cinematografico di abbastanza recente formazione, dopo il tirocinio compiuto nel campa del piccolo schermo e del teatro, e, almeno fino adora, alle prese con argomenti non convenzionali (si ricordi il singolare Joe Bass l'implacabile), la materia prima per un film, appunto questo Non si uccidono così anche i cavalli?, che, nel panorama del cinema americano contemporaneo e in quello più circoscritto della nuova ondata sorta sotto la spinta della crisi abbattutasi sulle strutture dello spettacolo tradizionale, si fa valere per la notevole carica critica da cui è sostenuto.
La vicenda segue dappresso il testo letterario, ne reitera le azioni fondamentali: il casuale incontro, in una di quelle maratone di ballo che, negli anni della depressione, impresari di pochi scrupoli allestivano un po' ovunque in America attirandovi un pubblico a caccia di sensazioni violente e compensatorie, di Gloria, una ragazza di qualche esperienza, in attesa dell'occasione buona per essere notata, chissà magari da un «talent-scout», e uscire dalla mediocrità e comunque dalla miseria, ma già disperata, già consapevole di vivere in maniera sbagliata in un mondo sbagliato, e di Robert, un giovane provinciale il cui ingenuo ottimismo va a mano a mano dissolvendosi e trasformandosi in un cupo, confuso moto di ribellione; la loro partecipazione alla gara, eccitata fino allo spasimo da un «direttore» che, per fare spettacolo e quattrini, spinge i competitori, col miraggio del premio finale e degli spiccioli dagli spettatori fatti piovere, dalle gradinate tutte intorno alla pista da ballo, per la coppia preferita, ad esibizioni sempre più faticose e convulse; la progressiva distruzione fisica e psichica dei ballerini in genere, dei due protagonisti in particolare, stretti nel cerchio di un meccanismo feroce, volto al raggiungimento del massimo profitto sulla pelle di vittime volontarie; e poi i dettagli: le rivalità, le esplosioni di insofferenza e di stanchezza, i piccoli e grossi imbrogli, i cedimenti ad un erotismo furtivo e d'accatto tra le pieghe di una storia d'amore, quella tra i due protagonisti, che non si esplicita mai, se non nel finale quando, accogliendo la muta supplica di Gloria, Robert la uccide con un secco colpo di pistola alla tempia.
Lo svolgimento è, insomma, nelle linee generali, conforme al racconto di McCoy. Del resto, regista e sceneggiatori hanno avuto per le mani un testo che era già un progetto di film, tanto è palese nello stile dello scrittore l'influenza della sua attività di sceneggiatore. Mette conto, forse, a questo riguardo, di ricordare che McCoy ha lavorato ad Hollywood in qualità di «story writer» e di «screenplay writer», anche se per film che non hanno mai superato i limiti della buona o magari ottima confezione (per esempio: Il sentiero della gloria di Raoul Walsh, sulla vita, romanzata si capisce, del famoso campione dei pesi massimi Jim Sullivan) e con, a mia memoria, l'eccezione di I dominatori di Fort Ralston, diretto da Tim Whelan, regista ai tempi suoi migliori non del tutto neghittoso, un «western», di cui McCoy aveva steso anche il soggetto, centrato sulla figura di una giornalista democratica in lotta contro due retrivi proprietari terrieri e nel quale era trasparente, con le dovute varianti rosee acconce al genere, il riferimento ad un altro suo romanzo, «Il sudario non ha tasche», spacciato per «giallo».
A riprova della scrittura cinematografica di «Non si uccidono così anche i cavalli?» è sufficiente por mente all'espediente tipografico di cui McCoy si è valso per trasmettere il senso della rievocazione, da parte di Robert, della sua amara avventura nel breve tempo necessario al giudice per pronunciare la sentenza che lo manda a morte per assassinio: le parole del dispositivo di condanna, scritte in corpo via via più grande su pagine bianche intercalate nel testo, scandiscono i vari momenti della ricostruzione.
Tuttavia Pollack ha apportato al racconto alcune significative modifiche. Ha cominciato con il sopprimerne la precisa collocazione geografica e ambientale da McCoy caratterizzata in maniera inconfondibile. A Pollack interessa che la maratona avvenga in America, in una qualche parte dell'America e non proprio a Santa Monica e che, se alcuni partecipanti si atteggiano a questa o quella diva o a questo o a quel divo, ciò avvenga in forza dell'assimilazione di un costume piuttosto che dal desiderio di chi è stato attratto dal mito di Hollywood di varcare i sorvegliati cancelli dei suoi«studios» sia pure come controfigura.
Un'altra sostanziale differenza è riscontrabile nel personaggio di Rocky, il «manager», l'impresario che muove i fili del macabro spettacolo. Nel film, egli acquista una dimensione ed uno spessore che non ha nel romanzo e che ne fanno il vero protagonista, il personaggio da cui promanano gli eventi, al quale fanno capo non solo i comportamenti ma finanche i sentimenti e i destini di chi per sopravvivere ha accettato le regole. del giuoco da lui imposte.
A parte l'espunzione di alcuni episodi marginali e l'adattamento di certe situazioni, talvolta, come il cambio dei «partners», inesistenti nel romanzo, dovute a concessioni alla platea, della quale Pollack anche in altre occasioni, e va da sé spezzando inopportunamente la tensione ideale della narrazione, appare preoccupato più del lecito ma meno del necessario, per fortuna, se si deve giudicare dallo scarso successo, almeno da noi, conseguito; a parte, dicevo, tanti altri legittimi, trascurabili o più consistenti, mutamenti, un'ultima variazione si deve sottolinéare. Diversamente dal romanzo, in cui la maratona è sospesa d'autorità in seguito ai disordini verificatisi e Rocky suddivide equamente il premio in palio tra le coppie rimaste in gara, nel film si giunge all'atto conclusivo, mentre la prova è quasi al termine ma continua, quando Gloria apprende che, in caso di vittoria, solo un'esigua parte della posta le toccherebbe, detraendo l'organizzazione dal suo ammontare tutte le spese, gravate da interessi, sostenute per il vitto, l'alloggio e gli indumenti forniti alla coppia prima classificata. È anzi proprio questa notizia, ultima disillusione, la causa immediata del proposito della ragazza di farla finita.
In meglio o in peggio che siano, le modificazioni introdotte da Pollack, intendo queste sulle quali ci si è soffermati, ubbidiscono ad un intendimento preciso; rispondono alla finalità non soltanto di attualizzare un intreccio, agganciato ad un'epoca e ad una congiuntura ben definite e che, semplicemente riprodotte, avrebbero condotto solo ad una più o meno efficace illustrazione, ma anche all'intento di ampliare i significati letterali della storia, elevando i suoi protagonisti a simboli di brutali, alienanti rapporti e condizioni umane peculiari del sistema dal quale una tale sorta di spettacolo è potuto scaturire e non da una fortuita, accidentale sua deformazione. E a me pare che Pollack abbia raggiunto l'obiettivo senza cadere nei tranelli romantici ed esistenziali disseminati lungo la vicenda e, soprattutto, evitando quei conformistici recuperi ideologici avvertibili, frammisti ad ambiguità accuratamente dosate e distillate, in altri film del nuovo corso, a cominciare da Un uomo da marciapiede per finire a Fragole e sangue.
Non che Non si uccidono così anche i cavalli? non dia adito anch'esso a giustificate riserve. Tra l'altro non è esente da baratti. Se ne è già fatto cenno a proposito della stucchevole ripicca tra Gloria e Robert escogitata per la versione cinematografica al fine di movimentare dall'esterno una situazione squisitamente psicologica. Si può aggiungere, nello stesso ordine di idee o meglio di compromessi, l'altrettanto gratuita intromissione della patetica figura dell'anziano marinaio che schiatta sulla pista pur di non darsi per vinto. Ingredienti, questi, provenienti dal repertorio delle «cose che piacciono al pubblico» utilizzato dal cinema che il film di Pollack vuole lasciarsi alle spalle.
Ma non si può non osservare che, nonostante queste ed altre sofistificazioni consumistiche, il film non devia dall'assunto propostosi e al contrario lo persegue con serrata e convincente logica, alla quale danno un contributo di non secondarla importanza la prestazione di una Jane Fonda (Gloria, naturalmente) assolutamente inedita e le insospettabili qualità istrioniche di un Gig Young (Rocky) al tramonto di una carriera tirata avanti nell'ombra.
Autore critica:Lorenzo Quaglietti
Fonte critica:Cinema sessanta n. 81-82
Data critica:

4/1971

Critica 3:
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