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Inferno (L') - Enfer (L’)

Regia:Claude Chabrol
Vietato:No
Video:Mondadori Video
DVD:General Video
Genere:Drammatico
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Henri-Georges Clouzot
Sceneggiatura:Claude Chabrol, Henri-Georges Clouzot, Jose'-Andre' Lacour
Fotografia:Bernard Zitzermann
Musiche:Matthieu Chabrol
Montaggio:Monique Fardoulis
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Emmanuelle Beart (Nelly), Nathalie Cardone (Marylin), Jean-Pierre Cassel (Sig. Vernon), Thomas Chabrol (Julien), François Cluzet (Paul Prieur), Mario David (Duhamel), Marc Lavoine (Matineau), Andre' Wilms (Dottor Arnoux)
Produzione:Mk2 Productions - Ced Productions - France 3 Cinema - Cinemanuel
Distribuzione:Mikado - Cineteca Lucana
Origine:Francia
Anno:1993
Durata:

100’

Trama:

A 35 anni, Paul Prier dopo aver acquistato, indebitandosi, l'hotel in riva al lago in cui ha lavorato, sposa la graziosa Nelly. Dopo la nascita di un bel bambino, Vincent, il superlavoro e i numerosi brindisi coi clienti costringono Paul a ricorrere ai sonniferi per addormentarsi la sera. Un giorno trova la moglie al buio con il giovane meccanico Martineau: guardano diapositive, ma il tarlo del sospetto nasce in Paul che comincia a spiare la consorte quando va in città dalla madre o per acquistare una borsetta sul cui prezzo gli mente, o quando pratica lo sci d'acqua con Martineau, fermandosi su un'isoletta per riposare per mezz'ora con il giovane. Sconvolto, Paul rientra solo a tarda notte, con angoscia del personale e disperazione della moglie che, dopo aver riso in passato della sua gelosia, si rende conto che è un fatto grave e tenta di calmarlo vietando a Martineau di tornare all'hotel e rinunciando alle sue gite in città. Ma la gelosia dell'uomo è patologica: anche durante l'innocente proiezione che Duhamel, un cliente cineamatore, ha fatto di vari episodi, compreso quello dello sci d'acqua, Paul immagina la moglie abbracciata con Martineau; fa una scenata ai clienti e la schiaffeggia. Al ritorno dalla città Paul trova l'hotel al buio e Nelly che gira per le stanze a dare candele. Il presunto amante diventa ora nella fantasia di Paul il cameriere Julien che è sceso in cantina con lei per azionare l'interruttore; poi Duhamel, che ha due bicchieri vuoti in stanza. Anche la perdita del braccialetto in soffitta provoca le ire e i sospetti di Paul che, esasperato, prende Nelly con la forza. La donna il giorno dopo va dal medico che decide di far rinchiudere Paul, fingendo che sia la donna ad aver bisogno di ricoverarsi. Ma mentre l'ambulanza sosta alla porta dell'hotel durante la notte, con Nelly legata e chiusa in camera, Paul immagina di tagliarle la gola con un rasoio.

Critica 1:Paul è finalmente riuscito a diventare proprietario di un bell'albergo e adesso lavora a ritmo sfiancante per mandarlo avanti. Ma lo stress gli gioca un brutto scherzo: lui si mette infatti in testa che la moglie lo tradisce con un garagista. L'ossessione di Paul si aggrava di giorno in giorno, l'uomo fa ricorso all'alcol e ai sonniferi. Un medico lo visita e promette che l'indomani lo farà ricoverare... Claude Chabrol ha ottenuto i suoi esiti più lusinghieri quando ha affrontato i nidi di vipere nascosti sotto un'apparente calma piatta. Qui confeziona un film bello e terribile, elegante e angoscioso, dove il rapporto amore-gelosia, mette paura.
Autore critica:
Fonte criticafilm.spettacolo.virgilio.it
Data critica:



Critica 2:Si può odiare L'inferno, o lo si può amare. Difficilmente lo si può ignorare, o comunque restare imperturbabili alla sua visione. Chabrol viene dalla Nouvelle Vague, un cinema che riabilitò le piccole grandi cose che il cinema ufficiale aveva dimenticato e cioè sentimenti veri, storie quotidiane e di genere, facce giovani, riprese in strada, emozioni forti, vivacità narrativa, dissoluzione della sintassi, della narrazione, o ancora della "normalità". Fu questo e altre cose la Nouvelle Vague. Fu l'irriverente Godard e l'appassionato Truffaut, il geniale Resnais, l'artista Rivette, il poetico Malie. E fu Chabrol. Proprio per questa provenienza (dai "Cahiers di Cinéma") Chabrol sa cos'è la "normalità". È dalle pieghe della normalità che Chabrol parte per arrivare alla follia, all'ossessione. All'inferno.
Essere gelosi è essere conformi alle regole.
(Roland Barthes)
L'inferno è una storia d'amore che si tramuta in un'ossessione. Apparentemente. In realtà se c'è un qualcosa di totalmente assente da questo film, questo è l'amore. Ed è forse per questo che il film "non inizia" e "non finisce": non c'è nascita, né morte senza l'amore. Non inizia perché la conoscenza-seduzione-innamoramento dei due protagonisti non si vede. Mai film venne subito e immediatamente "al dunque". Le premesse sono azzerate. Niente fronzoli o cornicette varie. Chabrol non racconta, descrive con la freddezza di un medico che sta praticando un'autopsia. Così in fondo viene analizzato il sentimento umano. Perché la gelosia è un sentimento (come pure l'odio o il disprezzo). E perché L'inferno è uno di quei rari casi di film fatti con "un solo sentimento" (o su un solo sentimento). Infatti quella di Paul è la nascita e sviluppo di una terribile paranoia. Solo un'ossessione, niente altro. E il film divide questa "malattia" in tre fasi: la nascita della gelosia, la crescita della gelosia, la follia. Il contesto che utilizza Chabrol è fin troppo semplificato: come hanno scritto i "Cahiers": “ Paul ha voluto per sé un albergo troppo bello e una donna troppo bella", come dire, è tutto scritto nell'unica premessa possibile del film. Ma niente è così scontato. Perché lo spettatore viene sbattuto da una parte all'altra. Se nella prima parte vediamo il film con gli occhi di Paul, ne verifichiamo il crescere del sentimento, inseguiamo Nelly con lui, incuriositi come lui dalla sua apparente frivolezza e soffriamo per/con lui, nella seconda parte il gioco si rovescia, fino ad arrivare a vedere il film con gli occhi di lei, chiusa in una trappola infernale. Se la prima parte con la nascita dell'ossessione rimanda a Truffaut (non vediamo Nelly con lo stesso sguardo del protagonista di L'uomo che amava le donne?) la seconda necessariamente a Hitchcock, cineasta studiato ed amato da Chabrol in gioventù e qui citato nel finale quasi fosse Il sospetto o Notorius o chissà cos'altro.
La gelosia si nutre di sospetti, e si trasforma in furia o muore nel momento in cui il sospetto si tramuta in certezza.
(La Rochefoucauld, Massime)
Quella di Paul è una crescita costante (dell'ossessione). Piano piano comincia a seguire la bella moglie e ogni incontro, ogni momento non fa che confermare la sua idea di partenza, il tradimento. Ma siccome non l'amore ma bensì la gelosia rende ciechi, Paul in realtà è assai più ciò che immagina di quello che realmente vede. Per tutto il film Paul (e noi con lui) non troviamo una sola volta un fatto reale, una prova concreta del tradimento di Nelly, eppure siamo presi dalle immagini di Paul: solo nella testa e nelle immagini che Chabrol ci rappresenta, vediamo veramente il tradimento. In realtà non lo sappiamo. E non lo sapremo mai. Nelly potrebbe essere colpevole o innocente. Non importa. Non è lei che muove la storia. Non dipende da lei. Lei è solo causa della malattia di Paul. Ma questa interpretazione lascia perplessi. Davvero siamo di fronte solo a una malattia? È quindi la storia di un malato quella che ci viene mostrata? È tutto qui? Oppure Chabrol ci ha voluto raccontare i nostri (e i suoi) amori? Oppure quest'ossessione è dentro ogni storia, e se non esplode sempre è solo magari per piccoli armistizi quotidiani? Diffidate delle apparenze ci suggeriscono i "Cahiers" nella loro analisi del film. Diffidate di certi film verrebbe da dire. E di certi critici... Eppure questo film che trent'anni fa Henri-Georges Clouzot aveva persino iniziato a girare, con Romy Schneider e Serge Reggiani, e che dovette interrompere per via di un infarto, è uno di quei film, come dire, che non fanno proprio bene. Non si esce bene dalla visione di questa storia. Ma nemmeno si esce "non riconciliati", o liberati, incazzati o frastornati. Si esce fuori dal cinema depressi, in claustrofobia, solo un attimo felici di essere usciti da quell'incubo assurdo. La freddezza con cui Chabrol riprende la leggiadra spensieratezza iniziale di Nelly, la passione che ci mette nel mostrarci gli appostamenti di Paul, il "fastidio" dell'immaginazione di Paul, il nervosismo viscerale del protagonista che diventa cifra stilistica (si può dire che le immagini sono "nervose"?), tutto ciò fa sì che L'inferno non sia un film qualsiasi, che anzi sia uno dei film più significativi dell'anno, ma forse anche un film da evitare. Perché, come Emmanuelle Béart nel film,
è troppo bello? Forse. Oppure perché è il film più cinico e cattivo degli ultimi anni. Né immorale (alla Borowczyk), né morale (alla Rohmer), il film di Chabrol sembra una sorta di racconto amorale. Ed è sorprendente come nella nostra strana lingua un semplice suffisso avvicini così tanto la moralità all'amore. Ma entrambi sono assenti da questo film.
Ci sono dei film che aiutano a vivere meglio, altri che "aiutano a vivere peggio" (se mai ce ne fosse bisogno...). Ebbene per quanto bello, affascinante, intrigante, nero e selvaggio sia questo film, crediamo che faccia parte della seconda categoria. Chabrol nel suo cinismo da obitorio ci restituisce un mondo che vive solo di illusioni, in cui è indistinguibile (e forse irrilevante) il vero dal falso. Le scelte, le decisioni, gli affetti sono sovrastati da una cecità delle passioni che degenera sempre di più, fino alla esaltazione finale. Francamente noi crediamo in un altro tipo di cinema. Chabrol realizza con cinismo e passione una favola nera terribile, e tanto più sembra mettere in scena passioni, più mostra un vuoto assurdo. Nel raccontare la paura delle illusioni ne disvela suo malgrado il fascino, da cui, corrotto, si lascia sedurre.
Al cinema apparentemente dei sentimenti (ma dentro chiuso cinico e baro) preferiamo la forza "emozionale" di un Garrel, che partendo all'inverso da un'immagine quasi filosofica e letteraria dei sentimenti, ci regala alla fine le più belle riflessioni-emozioni possibili al cinema sull'amore. Dove la gelosia è solo una variabile impazzita, o meglio ancora l'arma disvelatrice della reificazione dei nostri rapporti. Ma dove la tenerezza, sguardi, parole, attimi unici trovano spazio, gioco, respiro. Con Chabrol, invece, siamo già dopo "l'ultimo respiro".
Autore critica:Federico Chiacchiari
Fonte critica:Cineforum n. 335
Data critica:

6/1994

Critica 3:
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Fonte critica:
Data critica:



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