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M, il mostro di Düsseldorf -

Regia:Fritz Lang
Vietato:No
Video:Domovideo, Skema, M&R Film &Film, Mondaodri Video, Ricordi Video, Fonit Cetra Video, Eden Video
DVD:Ermitage
Genere:Thriller
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Thea Von Harbou
Sceneggiatura:Fritz Lang, Thea Von Harbou
Fotografia:Fritz Arno Wagner
Musiche:Da "Peer Gynt" di Edward Grieg
Montaggio:Paul Falkenberg
Scenografia:Emil Hasler, Karl Vollbrecht
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Rudolf Blummer, Paul Falkenberg, Gustav Grundgens Schranker, Georg John Venditore ambulante, Paul Kemp Borseggiatore, Inge Landgut Elsie, Theo Lingen Baurenfanger, Peter Lorre Franz Becker, Theodor Loss Commissario Groeber, Ernst Stahl-Nachbaut Capo della polizia, Franz Stein Ministro, Otto Wernicke Karl Lohmann, Ellen Widmann Frau Becker
Produzione:Seymour Nebenzahl per Nero Film
Distribuzione:Cineteca del Friuli - Cineteca Griffith
Origine:Germania
Anno:1931
Durata:

117'

Trama:

Il terrore regna nella città di Dusseldorf. Un "mostro" inafferrabile ha già ucciso molte bambine senza che la polizia abbia ancora potuto interrompere la tragica serie di delitti. La caccia al criminale è condotta sia dalla polizia che dalla potente organizzazione dei ladri della città, che vede nei delitti, e nel conseguente aumento della vigilanza e degli arresti, una seria minaccia alla propria vitalità. Grazie ad una capillare rete di vigilanza, tesa in tutta al città con il concorso dei ladri e dei mendicanti, l' organizzazione della malavita riesce a scoprire un tenue indizio: il "mostro", nell' avvicinare le sue vittime fischietta un macabro motivo. Ben presto il criminale è individuato da un giovane adepto dell' organizzazione che, urtando l' assassino, lo segna con una grossa "M" di gesso sulle spalle. L' uomo s' accorge di essere braccato e cerca scampo in una fabbrica, nella quale però rimane rinserrato. Scesa la notte, i più abili scassinatori penetrano nella fabbrica, la rovistano da cima a fondo, s' impadroniscono del giovane paranoico e mentre giunge la polizia lo conducono lontano, nel grande sotterraneo dove si è radunato il tribunale della malavita. Qui l' assassino, di fronte alle implacabili accuse, si difende istericamente, narrando in modo drammatico come a spingerlo ai turpi delitti sia una forza malvagia ed incontrollabile che opera dentro di lui. La sua difesa è però inutile: il tribunale della malavita emette la condanna a morte e sta per eseguirla, quando la polizia irrompe nel sotterraneo. Seguendo a sua volta l' esile traccia, è riuscita ad identificare il "mostro" ed a sottrarlo, all' ultimo momento, ad un linciaggio. Sarà la giustizia ufficiale a giudicarlo.

Critica 1:Primo film sonoro di F. Lang che ne scrisse la sceneggiatura con la moglie Thea von Harbou ispirandosi a un fatto di cronaca. Esordio di P. Lorre (vero nome: Laszlo Lowenstein, di origine ungherese), probabilmente nel primo personaggio di deviante sessuale nella storia del cinema. Su una tematica che gli è cara (opposizione tra giustizia ufficiale e giustizia privata, senso della colpevolezza universale), Lang fa un film di taglio realistico che nell'uso della luce (fotografia di F.A. Wagner) non trascura le esperienze espressionistiche, calibrando sapientemente suspense, cadenze del poliziesco, dramma sociale. Il "tema dell'assassino" (fischiettato dallo stesso Lang) è tratto dal Peer Gynt di E. Grieg; l'idea del tribunale dei criminali deve qualcosa al Brecht di L'opera da tre soldi. Un classico. Rifatto nel 1951 da Joseph Losey.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:L'aneddotica su M (il sottotitolo chiarisce: Eine Stadt sucht einen Mörder, una città cerca un assassino) è copiosa. Pare assodato (la testimonianza è dello stesso Lang) che il film dovesse chiamarsi Mörder unter uns, gli assassini fra noi, e che un intervento discreto del partito nazista - destinato poco dopo a raccogliere undici milioni di voti alleelezioni presidenziali - inducesse la Nero-Film ad evitare allusioni indebite (al popolo tedesco? ai membri del N.S.D.A.P.?), attenendosi stretta al tema (una rievocazione romanzata delle del cosiddetto “mostro di Düsseldorf” di cui s'erano occupate le cronache del 1925). Sta di fatto che l'origine cronachistica ha finito per influire sulla valutazione del film. Così come ha influito la presenza della sceneggiatrice Thea von Harbou, di cui si conoscevano le predilezioni sociologiche e la ideologia pessimistica. Di qui, la definizione di M come di un affresco sociale, canto del cigno della Repubblica di Weimar e presagio dello sfacelo che avrebbe aperto le porte alla neue Ordnung nazista. Il “Mörder”, inoltre, era uno psicopatico, una vittima più che un criminale, un prodotto del sistema o, meglio, un automa guidato da una misteriosa volontà esterna (la malattia) come il Cesare di Das Kabinett des Dr. Caligari. Fra espressionismo e Kammerspiel, il cinema tedesco aveva allestito tutta una galleria di incolpevoli necessitati, al servizio di forze oscure: una palinodia piccolo borghese, come osservò il Kracauer, per esorcizzare i pericoli di un servilismo antico. Il Becker che violenta e uccide bambine ha l'aspetto, nota appunto il sociologo, di un “piccolo borghese un po' infantile”. Poco manca che venga additato come l'emblema di un'intera classe.
Un altro fattore ha contribuito all'equivoco che s'è creato intorno al film. La struttura, congegnata con grande sapienza, è quella dei “giallo”. Il meccanismo del racconto segue la traccia delle indagini che si compiono per scoprire un individuo inquietante di cui non si sa nulla, che non si è mai visto. E lo scioglimento dell'enigma avviene quando si cattura Becker e lo si sottopone a processo (e si libera la città dall'incubo). Lang e la Harbou riempiono lo schema di una quantità sorprendente di dettagli visivi, di invenzioni sonore, di concatenazioni narrative in linea con un genere già collaudato. La qualità stessa delle immagini (una illuminazione a forti contrasti, l'importanza attribuita agli oggetti, le angolazioni d'intensa espressività, le apparizioni sempre un poco sinistre dei volti) conferma la prima impressione e spinge a catalogare M nell'ambito del realismo.
Senonché, M non è la storia di un assassino. È la satira impietosa e divertente di un costume di vita, che sottende una generalizzazione - certo poco storicistica - sulle “qualità innate” del popolo tedesco. Lang mette alla berlina non soltanto le istituzioni (lo Stato, il ministero, la polizia) ma anche i suoi concittadini, fra i quali non distingue e per nessuno dei quali parteggia (o, più esattamente, parteggia per tutti, riconoscendoli tutti fratelli, spauriti e infelici, mascalzoni e piagnoni: anche gli spavaldi delinquenti mirabilmente organizzati).
L'ultima bambina vittima del “mostro” è invano attesa dalla madre a casa. È stata uccisa in un prato. Nella città (Berlino) si diffonde il panico. La polizia moltiplica gli sforzi, pungolata da un isterico ministro che teme l'opinione pubblica. Si crede di vedere l'assassino dappertutto. Tutti so-spettano di tutti, finiscono in guardina anche fra-gili vecchietti. I due commissari addetti alle inda-gini si fanno la guerra, ripugnanti entrambi. Così accade che, fra tanto spiegamento di forze e tante retate e posti di blocco, i delinquenti di professio-ne si preoccupino: è in gioco la loro sopravviven-za (“Se non vogliamo metter mano ai contributi per l'assistenza alle mogli dei nostri colleghi che attualmente vivono a spese dello Stato - osserva Schränker, il capo della malavita, a un "vertice" di colleghi che assomiglia a una seduta di consiglio di amministrazione - proprio non so dove potre-mo trovare i soldi per organizzare e incrementare la nostra attività”). Questo “mostro” dev'essere eliminato: la polizia non riuscirà mai a prenderlo ma riesce certamente a impedirci di lavorare. Così, i delinquenti passano all'azione. Mobilitano i loro “cugini” mendicanti, ognuno incaricato di controllare un pezzetto di città. E sarà infatti un mendicante cieco a dare l'allarme, risentendo fischiettare un'aria di Grieg udita quando vendette un palloncino a uno sconosciuto. Si scatena la caccia. L'atterrito Becker si rifugia nell'edificio della Cassa di Risparmio; le squadre della malavita lo inseguono. Usciti (e controllati accuratamente) gli impiegati, i delinquenti penetrano nella banca, la setacciano scientificamente da capo a fondo. La polizia ha notizia dell'incursione, e interviene in forze, non prima però che i banditi riescano a scovare il “mostro” nel solaio e a trascinarlo in una distilleria abbandonata.
La malavita è ligia allo Stato di diritto. Non ammazza Becker seduta stante ma lo sottopone a regolare processo, in un enorme stanzone gremito di facce da galera (una sequenza di formidabile tensione e di palese allusività). Schränker, naturalmente, è un impeccabile presidente, rispetta la procedura. La parodia giunge al culmine quando il “mostro” si discolpa con patetici argomenti, e su quelle grinte scorrono trepide lacrime. Alla fine, il verdetto: condanna a morte. Fortunatamente, la polizia, per una volta tempestiva, irrompe nel covo e assicura alla giustizia (se si può ancora dire giustizia) il povero assassino.
Quando Lang preparava M, a Berlino si rappresentava Dreigroschenoper di Brecht. E qui di Brecht vi sono i segni. Ma vi sono anche i segni della “letteratura della rivolta” che aveva influenzato larga parte della cultura weimariana (i Bronnen, i Kaiser, i Bruckner, i Toller). Lang aveva orecchio fine e intelligenza ricettiva. E aveva il gusto del sarcasmo. Lo applicò a tutto e a tutti, indiscriminatamente, in questo paradossale gioco (o balletto) di guardie e di ladri alla vigilia della legale ascesa al potere di Adolf Hitler.
Autore critica:Fernando Di Giammatteo
Fonte critica:100 film da salvare, Mondadori
Data critica:



Critica 3:
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Libro da cui e' stato tratto il film
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