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Alice non abita piu' qui - Alice doesn't live here anymore

Regia:Martin Scorsese
Vietato:No
Video:Warner
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Diventare grandi, La condizione femminile
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Robert Getchell
Sceneggiatura:Robert Getchell
Fotografia:Kent L. Wakeford
Musiche:Richard Lasalle; la canzone "All The Way From Memphis" è di Ian Hunter - "You'll Never Know" è di Marck Gordon e Harry Warren
Montaggio:Marcia Lucas
Scenografia:Toby Carr Rafelson
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Ellen Burstyn (Alice Graham), Alfred Lutter (Tommy Hyatt), Billy Green Bush (Donald Hyatt), Lelia Goldoni( Bea), Harvey Keitel (Ben Eberhart), Kris Kristofferson (David Barrie), Diane Ladd (Flo), Jodie Foster (Audrey), Lane Bradbury (Rita Eberhart), Martin Brinton (Lenny), Dean camper (Chicken Holleman), Valerie Curtin (Vera), Murray Moston (Jacobs)
Produzione:Audrey Maas e David Susskind per Warner Bros.
Distribuzione:Cineteca del Friuli
Origine:Usa
Anno:1974
Durata:

112'

Trama:

Dopo un matrimonio infelice, Alice Graham resta vedova e con Tom, un figlio dodicenne, decide di tornare a Monterey, sua città natale, lavorando qua e là per racimolare i soldi del viaggio. Ad Albuquerque Alice viene ingaggiata come cantante in un motel e s'innamora di Ben. Ma costui è già sposato e un giorno, mentre la moglie sta chiedendo ad Alice di andarsene, l'uomo irrompe nella stanza e malmena le due donne e il bambino. Madre e figlio riprendono il viaggio. In un ristorante dove è assunta come cameriera, Alice incontra David che resta affascinato da lei e cerca di farsi amico il ragazzo. Ma Tom non accetta la relazione della madre con l'uomo; scappa insieme ad una bambina, compie qualche furtarello ed è preso dalla polizia. Alice, che aveva lasciato David, è costretta a ricorrere al suo aiuto. Alla fine David torna al ristorante, si avvicina ad Alice e le chiede di tornare con lui: stavolta Tom sembra essere contento della situazione.

Critica 1:Rimasta vedova con un figlio dodicenne a carico, Alice decide di tornare a Monterey, guadagnandosi la vita, strada facendo, con la sua vecchia professione di cantante. Scorsese on the road al seguito di E. Burstyn (che ebbe meritatamente l'Oscar), attraverso l'America provinciale delle autostrade. Un tema vecchio trattato in modi nuovi.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:(…) Si è parlato di Alice come di una road opera, dominata dal tema del viaggio, come una buona parte dei film della "nuova Hollywood" degli anni Settanta. Ma quali strade percorre veramente la protagonista in cerca di un luogo ideale in cui rifarsi una vita dopo la morte del marito? Le strade non sono che piccoli e brevi raccordi: è un viaggio fortemente ellittico, sottinteso, quasi lasciato in disparte, dal momento che Scorsese - come ha scritto Michael Henry - non è con ogni evidenza «né un poeta della strada né un cantore degli orizzonti evanescenti della frontiera». Aveva poco in comune con le abitudini e i modi di vita del Sud-Ovest (come ebbe a dire, ridendo di gusto, all'amico George Lucas che voleva affidargli un ruolo in
American Graffiti): per lui gli spazi aperti di California e Arizona non significavano granché se non come spazio filmico degli eroi fordiani ammirati al cinema. Tuttavia accettò di fare il film per "cambiare aria", e perché gli dava l'opportunità di affrontare le strutture elementari del melodramma superandole mediante l'adozione di moduli narrativi più vicini ad altri generi, o sottogeneri, in voga a Hollywood tra il '40 e il '50, come la screwball comedy e il women’s picture (quest'ultimo più strettamente legato ai canoni del melodramma classico).
Il punto di partenza è dichiaratamente il mélo alla Douglas Sirk (i titoli di testa sono disegnati come quelli delle produzioni Universal di Ross Hunter, con lo sfondo a balze di velluto blu), cui Scorsese intende accostarsi senza toni polemici o satirici. La stessa presenza di Ellen Burstyn - nell'Ultimo spettacolo di Bogdanovich aveva un ruolo giustamente paragonato alla Dorothy Malone di Written on the Wind (Come le foglie al vento) di Sirk - costituisce una "iscrizione" cosciente e non casuale nelle coordinate del dramma psicologico. Ma, naturalmente, il paragone si ferma ai dati esterni. Alice non ha nulla delle ombre scure del dramma o del melodramma, è un film di luce, di aria, di spazio (pur relativo). A Scorsese, uscito momentaneamente dalle tenebre della metropoli, interessava mostrare una possibile via di sbocco alle energie vitalistiche frustrate dall'angoscia degli spazi chiusi di Mean Streets, anche se poi - a ben guardare - ci si rende conto che la violenza è anche qui sempre in agguato, contenuta e incanalata verso scopi positivi ma pronta ad esplodere in ogni istante, vuoi nella stanza di un motel a Phoenix, vuoi nell'atmosfera disfatta di uno snack-bar a Tucson. Il nodo centrale del problema consiste nello stabilire in quale punto del "viaggio" la protagonista acquista coscienza del suo definitivo distacco dal mondo dorato dell'infanzia e dai sogni di gloria (la speranza ingenua di diventare cantante più brava e famosa di una delle più brave e famose, Alice Faye).
Sembra cosciente e matura fin dall'inizio del viaggio. Sa di dover affrontare difficoltà economiche e di adattamento a nuovi ambienti. È (almeno apparentemente) decisa a lasciarsi dietro le spalle una volta per sempre lo squallore della routine coniugale (le brevi scene iniziali in cucina e in camera da letto sono quasi un'antologia da satira femminista). Ma incrinature e dubbi cominciano quasi subito a farsi strada. Alla fine Alice è con le spalle al muro, costretta ad ammettere, con sconsolata sincerità verso se stessa, che si è sbagliata: Alice Graham Hyatt non può effettivamente restare senza un uomo accanto. Si fermerà a Tucson, andrà a vivere con il rancher, manderà a scuola suo figlio lì (con il sollievo della sua approvazione) e non a Monterey come ha continuato a lungo a sperare. Il "dove" e il "quando" della canzone di Rodgers & Hart (le cui note sono accompagnate da lente panoramiche a 360° che circoscrivono l'isolamento di Alice e la sua insicurezza in un ambiente estraneo e potenzialmente ostile) si traducono in un "lì" e in un "ora" piuttosto prosaici, privi di ogni alone fiabesco e mitico. «Monterey» rimane solo una parola scritta su un cartello al di là della strada, caratteri cubitali rilucenti nel riverbero del sole pomeridiano. La chiave della memoria (quasi una wellesiana «Rosebud» nel flashback dell'infanzia) torna a designare semplicemente una città della California, possibile meta di gite domenicali.
Il finale di Alice non abita più qui - come ogni finale scorsesiano dopo Mean Streets (e in fondo, anche prima) - si presenta aperto, neutro. Ma lascia l'amaro in bocca.
Autore critica:Gian Carlo Bertolina
Fonte critica:Martin Scorsese, L’Unità- Il Castoro
Data critica:

6/1995

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



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