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Racconti di Canterbury (I) -

Regia:Pier Paolo Pasolini
Vietato:18
Video:Ricordi Video, Vivivideo, Panarecord, L’Espresso Cinema
DVD:
Genere:Commedia
Tipologia:Letteratura inglese - 300/400
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Tratto dal libro "The Canterbury Tales" di Geoffrey Chaucer
Sceneggiatura:Pier Paolo Pasolini
Fotografia:Tonino Delli Colli
Musiche:Ennio Morricone, Pier Paolo Pasolini
Montaggio:Nino Baragli
Scenografia:Dante Ferretti
Costumi:Danilo Donati
Effetti:
Interpreti:Hugh Griffith (Sir Vannary), Laura Betti (donna di Bath), Ninetto Davoli (Perkin il buffone), Franco Citti (il Diavolo), Josephine Chaplin, Alan Webb, Pier Paolo Pasolini, I. P. Van Dyne, Vernon Dortcheff, Adrian Street, O.T., Derek Deadmin, Nicholas Smith, George Datch, Dan Thomas
Produzione:Alberto Grimaldi, P.E.A. (Roma), Productions Artistes Associes (Parigi)
Distribuzione:Non reperibile in pellicola
Origine:Italia
Anno:1972
Durata:

115'

Trama:

I componenti d'un pellegrinaggio a Canterbury raccontano a turno delle novelle. Lo studente Nicola conquista la moglie del ricco e collerico legnaiolo Giovanni sfruttandone la superstizione. Alano e Giovanni, due studenti, si vendicano del mugnaio Simkin ladro di farina. Il candido e festoso Perkin viene cacciato da molti padroni finendo esposto alla gogna. La "donna di Bath" distrugge con la sua insaziabilità cinque mariti ereditandone le sostanze. Un impenitente scapolo sessantenne si decide a prendere in moglie la giovanissima Maggio. Un frate sparla di un cacciatore di streghe e questo narra di un frate, condotto all'inferno a visitare il luogo dove sono finiti i suoi confratelli, e di un altro frate cupido delle anime e delle sostanze di un morente. Un venditore di indulgenze racconta una storia surreale e simbolica sui pericoli della cupidigia, poi tenta con scarso risultato di vendere ai pellegrini le sue reliquie.

Critica 1:(…) Come già per Decameron, accade che il prolifico Pasolini - un film l’anno, oltre i saggi, il teatro, la poesia - portando sullo schermo otto novelle di Chaucer, il poeta inglese del Trecento da lui stesso qui interpretato con simpatica ironia, e aggiungendovi qualche siparietto di dubbio gusto, confezioni uno spettacolo per le masse che ha grandi meriti nell’ordine paesistico e scenografico ma che stringe poca sostanza poetica e morale - benché si proponga di dire «grandi verità» tra scherzi e giochi - e nel rapporto fra realistico e fantastico perde colpi (soprattutto nella piuttosto scipita seconda parte). Sicché quel gran senso vitale che il film dovrebbe glorificare a scorno delle ideologie, e quella idealizzazione del medioevo cui dovrebbe condurre la nausea dell’oggi, sono assai più godibili nella composizione figurativa e nella visionaria interpretazione ambientale, spesso d’alta classe, che sulla tastiera emotiva e tonale delle varie novelle, mosse intorno ai soliti casi salaci e piccanti di mariti cornuti, di vecchi lascivi, di donne vogliose e ragazzi all’assalto, dove anche la morte ha ovviamente la sua parte, ma ciò che domina è la beffa, l’idea che il sesso è sempre allegria, e l’irresistibile provocazione visiva simbolizzata dalle natiche affacciate ai balconi della prima novella, strumento di spietato dileggio e veicolo di infernale castigo. Motivi della stessa qualità farsesca, nutriti di festosa naturalezza ma raramente maturati a valori lirici, si ritrovano un po’ dovunque: sia nella novella della lussuriosa comare di Bath (Laura Betti), sia in quella dei due giovanottini che si vendicano di un ladrissimo mugnaio godendosene la moglie e la figlia, sia nella più lunga ed elaborata, del vecchio castellano (Hugh Griffith) che sposa una ragazzina (Josephine Chaplin), perde la vista, e la riottiene giusto in tempo per scoprirsi tradito. Cui si intrecciano le tragiche: dei tre amici che per impossessarsi d’un tesoro si ammazzano a vicenda, d’un venditore di frittelle che spia i viziosi e assiste alla loro morte sul rogo, del diavolo (Franco Citti) che s’accompagna a un ricattatore. A mezza strada, Pasolini ha ritagliato per Ninetto Davoli, memore del Circo , una sorta di balletto chapliniano molto amabile - forse la cosa migliore di tutta la pellicola - e in chiusura ha inventato sulle pendici dell’Etna un memorabile inferno bruegheliano, ancora una volta percorso dai temi petofoni, quasi leit-motiv d’un film che ad ogni buon conto ha per sigillo un sarcastico amen. (…)
Autore critica:Giovanni Grazzini
Fonte criticaIl Corriere della Sera
Data critica:



Critica 2:I racconti di Canterbury è il secondo film di quella che lo stesso regista definì la Trilogia della vita e che comprendono anche Decameron e Il fiore delle Mille e una notte. Il riferimento è, questa volta, alle novelle di Geoffrey Chaucer, del quale nel film Pasolini stesso ricopre il ruolo. Su alcuni aspetti relativi alle origini letterarie del film, il regista risponderà così in un'intervista: "I racconti di Canterbury sono stati scritti quarant'anni dopo il Decameron ma i rapporti tra realismo e dimensione fantastica sono gli stessi, solo Chaucer era più grossolano di Boccaccio; d'altra parte era più moderno, poiché in Inghilterra esisteva già una borghesia, come più tardi nella Spagna di Cervantes. Cioè esiste già una contraddizione: da un lato l'aspetto epico con gli eroi grossolani e pieni di vitalità del Medioevo, dall'altro l'ironia e l'autoironia, fenomeni essenzialmente borghesi e segni di cattiva coscienza". All'inizio del film, Chaucer/Pasolini si unisce idealmente ai molti pellegrini diretti all'Abbazia di Canterbury; in seguito Pasolini rappresenterà il narratore che, all'interno di uno studio, penserà e scriverà i racconti. I temi di Canterbury sono, come in Decameron, sesso, amore e morte, con un'accentuazione di quest'ultimo: in tutti gli episodi, viene infatti rappresentato un funerale, o un assassinio, o un condannato a morte, o un moribondo. Pasolini affronta poi con grande ironia i temi della violenza esercitata dalla ricchezza, e dell'immoralità del potere. La sgradevolezza dei personaggi dei ceti “alti” è messa in particolare risalto da un trucco molto pesante, carico, volgare. Nella gente comune (come al solito Pasolini utilizza attori non professionisti) si ritrovano la stessa gestualità, le stesse espressioni e fisionomie di quelle presentate in Decameron. La musica (curata da Ennio Morricone) si richiama a canzoni popolari inglesi medievali e rinascimentali. Riappare la famosa canzone napoletana Fenesta 'ca lucive (già utilizzata in Decameron) – che parla della morte improvvisa di una giovane donna – quasi a costituire un ulteriore richiamo al tema della morte. Una delle regole più rigorose, nei film di Pasolini, è quella di eseguire un doppiaggio integrale. "Il doppiaggio", diceva Pasolini, "deformando la voce, alterando le corrispondenze che legano il timbro, le intonazioni, le inflessioni di una voce, a un viso, a un tipo di comportamento, conferisce un sovrappiù di mistero al film. Con il fatto poi che molto spesso, se si vuole ottenere un rapporto determinato tra suono e immagine, un rapporto di valori preciso, si è costretti a cambiare voce. Detto questo, mi piace elaborare una voce, combinarla con tutti gli altri elementi di una fisionomia, di un comportamento… Amalgamare… Sempre la mia propensione per il pastiche, probabilmente! E… il rifiuto del naturale." L'edizione italiana dei Racconti di Canterbury fu doppiata in gran parte a Bergamo con le voci di persone scelte nella città e dintorni. Il tema sessuale sarà uno degli elementi di provocazione del film che verrà subito raccolto dai difensori di un ipocrita senso della morale e del pudore. Le denunce per pornografia e oscenità fioccheranno sul film fin dalla sua apparizione nelle sale di proiezione italiane. In un convegno tenutosi a Bologna in quel periodo sul tema “Erotismo, eversione, merce”, Pasolini fece un lungo intervento, nel quale tra l'altro disse: "Perché io sono giunto all'esasperata libertà di rappresentazione di gesti e atti sessuali, fino, appunto, come dicevo, alla rappresentazione in dettaglio e in primo piano, del sesso? Ho una spiegazione che mi fa comodo e mi sembra giusta, ed è questa. In un momento di profonda crisi culturale (gli ultimi anni Sessanta), che ha fatto (e fa) addirittura pensare alla fine della cultura – che infatti si è ridotta, in concreto, allo scontro, a suo modo grandioso, di due sottoculture: quella della borghesia e quella della contestazione ad essa – mi è sembrato che la sola realtà preservata fosse quella del corpo […] Protagonista dei miei film è stata così la corporalità popolare. Non potevo – e proprio per ragioni stilistiche – non giungere alle estreme conseguenze di questo assunto. Il simbolo della realtà corporea è infatti il corpo nudo: e, in modo ancor più sintetico, il sesso […] I rapporti sessuali mi sono fonte di ispirazione anche di per se stessi, perché in essi vedo un fascino impareggiabile, e la loro importanza nella vita mi pare così alta, assoluta, da valer la pena di dedicarci ben altro che un film. Tutto sommato il mio ultimo cinema è una confessione anche di questo, sia detto chiaramente. E, siccome ogni confessione è anche una sfida, contenuta nel mio cinema è anche una provocazione. Una provocazione su più fronti. Provocazione verso il pubblico borghese e benpensante […] Provocazione verso i critici, i quali, rimuovendo dai miei film il sesso, hanno rimosso il loro contenuto, e li hanno trovati dunque vuoti, non comprendendo che l'ideologia c'era, eccome, ed era proprio lì, nel cazzo enorme sullo schermo, sopra le loro teste che non volevano capire". Per la realizzazione del film furono impiegate nove settimane di riprese in Inghilterra e un lungo lavoro di montaggio e di doppiaggio. "[…] era un periodo molto particolare, ero molto, molto, molto infelice, non ero adatto per una trilogia nata all'insegna della spensieratezza, dello “stile medio”, del sogno e anche del comico, per quanto astratto.", dichiarò Pasolini. "E forse se non fossi stato così infelice, non mi sarebbe venuto in mente di citare Chaplin così apertamente, con bastoncino e cappello." Qui Pasolini si riferisce alla sequenza interpretata da Ninetto Davoli che fa il verso a Charlie Chaplin riproducendone alcune gag famose. Continua il regista: "Devo anche dire che il mondo che ho trovato in Inghilterra, quando giravo Canterbury, era molto diverso; a Napoli e nell'Oriente non avevo confini, potevo scatenare intorno a me questo linguaggio della terra, delle cose, dei vulcani, delle palme, delle ortiche e soprattutto della gente. Invece in Inghilterra […] le persone che sceglievo appartenevano a un mondo ormai storicizzato, borghese, e questa costrizione pesava sul mio stato d'animo. È difficile parlare di un film come test di uno stato d'animo, ma comunque ho un rapporto sempre molto passionale con i film che giro. Si tratta di veri e propri amori".
Autore critica:
Fonte critica:www.pasolini.net
Data critica:



Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:Racconti di Canterbury (I)
Autore libro:Chaucer Geoffrey

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