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Sorelle o l'equilibrio della felicità - Schwestern oder die Balance des Glücks

Regia:Margarethe Von Trotta
Vietato:No
Video:Avo Film
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:La condizione femminile
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Margarethe Von Trotta
Sceneggiatura:Margarethe Von Trotta
Fotografia:Franz Rath
Musiche:Konstantin Wecker
Montaggio:Annette Dorn
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Jessica Fruh (Myriam), Gudrun Gabriel (Anna), Jutta Lampe (Maria), Fritz Lichtembahu, Günther Schutz, Konstantin Wecker, Liselotte Arnold, Ilse Bahrs, Heinz Bennent, Rainer Delventhal, Agnes Fink
Produzione:Bioskop Film Munchen
Distribuzione:Ventana
Origine:Germania
Anno:1979
Durata:

95'

Trama:

Legate fin dall'infanzia da un forte affetto, Maria ed Anna, due sorelle, vivono insieme ad Amburgo. Ma mentre Maria, donna efficiente, lavora come segretaria del capo di una grossa impresa e si dedica con pieno impegno ai propri compiti, Anna - la minore - è tipo più sensibile ed ansioso, anche più indolente e sognatore. Per stimolarla, Maria paga per lei la frequenza a corsi di ricerca biologica, volendo vederle raggiungere pari traguardi di attivismo e di autonomia. Anna, perennemente toccata dal confronto, recalcitra, annotando - anzi - pericolosi pensieri sul suo diario; tra l'altro, essa apprende dalla sorella che Maurice, il figlio del suo principale, la corteggia, il che scatena la sua gelosia. Finalmente, delusa e sconfitta per l'urto, Anna si uccide, tagliandosi in casa le vene. L'evento turba profondamente Maria; essa passa un breve periodo di tempo ponendosi molte domande e soffrendo per l'accaduto. Ben presto, tuttavia, essa si prende in casa Myriam, una semplice e graziosa dattilografa della ditta; poichè la ragazza aspira ad emigrare negli Stati Uniti con il fidanzato (un ex dirigente della ditta medesima, che ha piantato tutto e fa il cantautore in un locale in voga), Maria le paga il corso di inglese, a poco a poco proiettando sulla nuova venuta tutte le esigenze e manie di ordine e di disciplina che le sono tipiche. Myriam, peraltro, le sfugge, rifiutando un siffatto condizionamento e se ne va di casa. Maria legge alcune pagine del diario di Anna, che in un punto ha scritto essere la sorella "lo scopo della propria morte". A Maria non resta, nel pianto e nella solitudine, che la dichiarata intenzione di essere, per l'avvenire un po' Anna e un po' Maria, unendo, cioè, ad una visione pratica e produttiva della vita, anche la sensibilità che finora le è mancata.

Critica 1:Due sorelle vivono insieme ad Amburgo, una forte e sana, l'altra debole e malata. Il suicidio della seconda mette in crisi la prima che però, rifiuta la sua parte di responsabilità. Capirà in seguito. Il film pecca per eccesso di psicologismo e di didascalismo: qua e là M. von Trotta carica i dialoghi dei contenuti che non sa esprimere con le immagini, l'azione, i comportamenti. Ottima la direzione delle tre interpreti principali: infallibile J. Lampe, di dolente intensità G. Gabriel, vivace e irrequieta J. Fruh. Un po' sbiaditi i personaggi di contorno sebbene sia memorabile l'incontro di Anna con la vecchia cieca che vive con la sorella. Senza commento musicale, ma con molta musica, da Billie Holliday al seicentesco Henry Purcell.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Sorelle o l'equilibrio della felicità definisce in modo paradigmatico fin dal titolo quel processo di identificazione/sdoppiamento, di attrazione/repulsione che fa il travaglio dell'amicizia fra donne secondo la von Trotta. (...)
In Sorelle (…) la dinamica narrativa è data proprio dal riconoscimento del ruolo dell'altra; l'esterno, ossia il premere del contesto su vicende personali e sentimenti, è prosciugato nell'economia di un dramma da camera: pochi gli ambienti, superflui gli spostamenti, già dichiarate in partenza le situazioni.(...)
La prima inquadratura, il lento e muto addentrarsi della macchina da presa in un bosco fittissimo, da intendersi come una visione soggettiva di Anna e Maria da piccole alla lettura di una fiaba di Grimm, fissa il punto di vista della narrazione in un passato e in un retroscena ancestrale (l'infanzia e la favola come espressione di incantamento e di terrore, il «femminile» e l'angoscia della castrazione); tutto il film si dispone intorno a una ricerca di perché che si perdono nel buio che popola i sogni dei bambini. L'inquadratura descritta si presenta antitetica a quella che apre Il secondo risveglio (un lentissimo movimento di macchina in una camera spoglia fino a «chiudere» sul primo piano di Christa stravolta): là c'era l'oggettivazione, lo sguardo dall'esterno sull'alienazione femminile; qui le immagini nascono all'interno dell'essere femminile, del suo spiazzamento, della sua oscura definizione, che una volta tanto non vuole essere mostrata per differenza (dall'uomo, dalla società maschile, dal linguaggio della cultura patriarcale) ma per confronto e omogeneità con un universo di altre donne. Il rischio della von Trotta in questo caso è di scivolare in una dialettica fra caratteri femminili un po' astratti, privati della ricchezza di un interscambio con il sociale, con il contingente, con il maschile. Tale tendenza, che degenererà in Lucida follia nell'impiego di archetipi più che di soggetti umani, corrompendo l'intensità cinematografica di certi momenti con il sospetto del luogo comune femminista, in Sorelle riesce a evitare la retorica di personaggi a tutti i costi «interessanti» e fuori misura, nella follia come nella razionalità, della ricerca di antecedenti storici e nobilitazioni culturali a figure che sono in realtà fastidiosamente snob e «letterarie», quand'anche rese vive da straordinarie attrici. Nell'opera seconda della regista, a differenza che nel film più recente, è proprio la normalità, la non-eccezionalità delle protagoniste a permettere al linguaggio dei sentimenti di arricchirsi di verità: non le grandi passioni assolute e «romantiche», ma le appena percepibili, quasi timorose emozioni di tre donne comuni al riconoscimento di un legame sotterraneo e inquietante.
La sequenza della scoperta del suicidio di Anna vibra appunto per la sobrietà e il pudore dello stile di racconto. Così la descrive Piera Detassis: «Maria arriva sulla soglia della stanza e, di spalle, la vediamo solamente appoggiarsi barcollante allo stipite, dietro cui si cela il dramma già compiuto. Anziché mostrare, la regista preferisce restituirci il buio, indicato solo da quel tentennamento del corpo, da quello spavento di Maria come dinanzi ad un'immagine che sorge subitamente dal profondo e che non si potrà mai più cancellare». II flash del bosco come «selva oscura», luogo della perdita d'identità, torna qui con una forza di sintesi che rende irrilevante qualsiasi esternazione di dolore e smarrimento.
Il suicidio di Anna è in effetti l'ultimo rilancio, la mossa imbattibile, nel sottile gioco masochistico che tiene unite le due sorelle, che dà loro un ruolo e un senso, un gioco pagato dalla minore con un'autoinibizione a crescere e dalla maggiore con la censura delle emozioni e di una vita affettiva realmente autonoma. Anna non è semplicemente la vittima della maggior capacità di decisione, della «mascolinità» di Maria; è a suo modo una dominatrice, che si fa forza dell'ansia di protezione e di controllo che la sorella maggiore - in perfetta linea con un atteggiamento patriarcale - mostra nei suoi confronti. Il suicidio appare in tal senso come l'estrema espressione di una fuga/ritorsione, esemplificata dal messaggio lasciato in un quaderno: «Mi sono colpita per colpirti. Sei tu lo scopo della mia morte. Quindi sappiti difendere da me».
Il vampirismo è una costante fra le varie «sorelle» che popolano i film della von Trotta, con l'inevitabile sbocco di violenza in primo luogo contro se stessi (il suicidio di Anna, la successiva autocastrazione sentimentale di Maria) o contro altre figure proiettive (in Lucida follia Ruth spara al marito e ringrazia pubblicamente Olga per l'aiuto morale). È facile ricondurre la non mediabilità dei conflitti all'etica protestante, che impone contegno e rigidità fin dentro l'alienazione. Per contro, ritornano nei film della regista figure e situazioni che richiamano la disponibilità, la capacità di cambiamento e il lasciarsi vivere: tale è il mito «mediterraneo» presente - con qualche rischio di folclore - sia in Anni di piombo che in Lucida follia; tale è la presenza in Sorelle di Miriam, dei suoi sogni ad occhi aperti, della sua infatuazione per l'America e le canzonette. La giovane dattilografa manda all'aria il piano di Maria di far di lei una figura dipendente e sagomata a piacere proprio per la sua volubilità, per la sua permeabilità alle situazioni. È la dispersione contro la finalizzazione, la morbidezza contro la rigidità.
Questa componente, per così dire, «calda» si ritrova anche nelle oscillazioni del cinema della von Trotta, quelle per cui la struttura geometrica della narrazione, la rigorosa scansione per simmetrie e sdoppiamenti, viene spezzata da momenti di dissipazione: può essere l'indugio della macchina da presa su un volto che «magnetizza» l'inquadratura oppure su un gioco di sguardi che sottende l'aspetto seduttivo. Naturalmente queste espansioni sono appannaggio femminile: le figure maschili, con rare eccezioni, continuano a essere ripetitive, raziocinanti, deduttive e alla fine sterili.
Sorelle non va esente da una ricerca di motivazioni «esterne» e da pesantezze descrittive, come certe cadute nello psicanalismo (il racconto dei sogni; la visualizzazione un po' goffa della schizofrenia: Anna che specchiandosi non vede il volto ma la nuca) e certe concessioni spurie alle problematiche moderne (il terrore di Anna, studentessa di biologia, per le trasformazioni genetiche prodotte artificialmente). Eppure ciò che il film centra pienamente è la microfisionomia dei conflitti, l'incerto dibattersi delle protagoniste in assenza, in definitiva, delle giustificazioni, delle compatibilità, degli equilibri di una cultura in nome del padre, qui infatti mancante, cancellato. L'orizzonte dei rapporti rimane ancora in partenza schizofrenicamente debitore verso l'ideologia dominante (c'è sempre una donna forte e una debole), ma si caratterizza via via per incrinature ed evasioni al modello: il linguaggio dei gesti, la tattilità, il sentimento sono l'esorcismo della sudditanza patriarcale da un lato e del buio, del vuoto di definizione del «femminile», dall'altro. Non si producono risposte in questo territorio intermedio fra la ricerca di consolazioni e la ricerca del nuovo, ma certo si producono intensità. Sorelle anticipa in tale senso Anni di piombo, dove proprio il sentimento oppone una forza positiva, un'ansia di conoscenza, al grigiore, alla voglia di rimozione, alla deliberata indifferenza della Germania in autunno.
Autore critica:Lodovico Stefanoni
Fonte critica:Cineforum n. 241
Data critica:

1/1985

Critica 3:
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Fonte critica:
Data critica:



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