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Professione: reporter -

Regia:Michelangelo Antonioni
Vietato:No
Video:L'Unita' Video
DVD:
Genere:Drammatico - Psicologico
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Mark Peploe
Sceneggiatura:Michelangelo Antonioni, Mark Peploe, Peter Wollen
Fotografia:Luciano Tovoli
Musiche:Sandro Peticca, Franca Silvi
Montaggio:Michelangelo Antonioni, Franco Arcalli
Scenografia:Piero Poletto
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Steven Berkoff Stephen, Ambroise Bia, James Campbell, Ian Hendry Martin Knight, Jack Nicholson David Locke, Jenny Runacre Rachel Locke, Maria Schneider La ragazza
Produzione:Coproduzione Champion (Roma) Concordia (Parigi) Cipi (Madrid)
Distribuzione:Non reperibile in pellicola
Origine:Italia
Anno:1974
Durata:

125'

Trama:

David Locke è un reporter 37enne, nato in Inghilterra e cresciuto in America, apprezzato nei suoi servizi televisivi perchè dotato di uno straordinario spirito di osservazione come dichiara il suo produttore Martin Knight. Mentre si trova in uno sperduto e sinistro alberghetto sahariano scopre casualmente il cadavere di un certo Robertson al quale, approfittando di certe somiglianze somatiche, si sostituisce. Entrato in questo giuoco per fuggire dal passato e dal presente che l'hanno nauseato, seguendo le indicazioni di un libretto d'appunti dello scomparso - che scopre essere un mercante d'armi schierato dalla parte del Fronte Unitario di Liberazione di un nuovo Paese africano- vaga da Monaco a Ginevra a Barcellona. Sua moglie, decisa a rintracciare Robertson per saperne di più sulla scomparsa del marito, involontariamente muove attorno al marito il meccanismo della polizia e della diplomazia collegate. Locke vorrebbe desistere, ma viene stimolato e aiutato da una conosciuta studentessa che lo accompagna da Barcellona ad Almeria. Qui, prima che dalla moglie e dalla polizia, viene raggiunto dai killers del dittatore africano deciso ad eliminarlo.

Critica 1:Inviato nell'Africa settentrionale per un servizio sulla guerriglia, David Locke, giornalista televisivo anglo-americano, assume i documenti e l'identità di un certo David Robertson, morto d'infarto in un hotel del Sahara. E come se, fra tutte le vite, sorteggiasse una vita qualunque, lasciandosi sedurre dall'avventura di esistere in un altro modo, pur intuendo e poi sapendo che questa seduzione porta soltanto a uno scacco o alla morte. Così accadrà. Da un soggetto di Mark Peploe che ha collaborato alla sceneggiatura con David Wollen e il regista, è uscito un "film intimista d'avventure", un giallo che si porta addosso un mistero. Questa ossatura narrativa non nuova in Antonioni e, come il solito, incongruente e persino inattendibile si confronta col mestiere di riferire la verità (?) e si esprime con la tecnica dell'intervista. "... si ha la sensazione che una mano documentaria segua e registri la mano che sta inventando la storia e che si crei una tensione fortissima fra queste due mani, che è la vera tensione del film" (Furio Colombo), quasi si tentasse di dare una verità più grande di quanto ne possa contenere la trama. Ma il film può essere letto anche come un'autobiografia e un'autocritica. Allora acquistano un senso più profondo la contrapposizione tra gli sfondi desertici del Sahara e le eccentriche architetture di Antoni Gaudi a Barcellona, l'ossessivo indugio sul bianco come colore di morte, le 2 figure femminili (la moglie che, infaticabile e ottusa, cerca le "prove"; la piccola santa senza speranza di M. Schneider), la celebre, virtuosistica sequenza finale di 7 minuti. Fotografia di Luciano Tovoli. In Spagna: El reporter; nei Paesi di lingua inglese: The Passenger.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Un fotoreporter, David Locke, si trova per motivi di lavoro nello scalcinato alberghetto di una sperduta località sahariana. Locke è disperato senza un vero motivo. O meglio i motivi non mancherebbero, Locke non ama più sua moglie né il suo lavoro, non crede più a niente e a nessuno; ma il vero motivo, più profondamente, è che non ce la fa più a stare con se stesso. Nell'albergo c'è un commerciante, David Robertson, che somiglia curiosamente a Locke, quasi un sosia. D'improvviso, Robertson, che è malato di cuore, viene a morire. Allora Locke, nella speranza di riprendere gusto alla vita cambiando identità, sostituisce i documenti del morto con i propri, mette la roba propria al posto di quella del morto. Il trucco riesce. Il falso Locke, dopo un facile nulla osta, viene seppellito nel deserto; il falso Robertson vola verso una nuova vita. Ma cambiare identità non vuol dire cambiare se stessi; vuol dire cambiare la situazione sociale non quella esistenziale. Locke, mettendosi al posto di Robertson, si è disfatto dei propri motivi di vita, così insufficienti e così illusori; ma non per questo si è appropriato di quelli del morto. Locke scopre che Robertson trafficava in armi; ma non scopre, e come potrebbe? il segreto fulcro di quella vita. Così, pur nei panni del morto, Locke, più disperato che mai, continua a andare alla deriva. Con l'aggravante che Robertson era coinvolto in faccende complicate e pericolose per le quali ci vuole un'energia vitale che a lui fa completamente difetto. Locke per un poco vive sulla falsariga del morto; e cerca di inserirsi nel traffico di armi; ma ben presto si accorge che le armi gli interessano ancor meno delle fotografie. Va a Monaco, si incontra con gli emissari della guerriglia, accetta elogi e denaro; poi va in Spagna a fare il turista, si imbatte a Barcellona in una bella ragazza, ci fa l'amore. Ma apprende di essere ricercato così dalla moglie poco persuasa dalla sua fine come dai killer dell'antiguerriglia che gli stanno alle calcagna per ucciderlo; e allora, si rassegna e si reca all'appuntamento con la morte in un qualsiasi sonnacchioso villaggio spagnolo. Il sua cadavere viene presentato, per il riconoscimento, alle due donne delle sue due vite: la moglie inglese e l'amante spagnola. La prima comprende e nega di averlo mai visto; la seconda comprende anche lei e conferma che è Robertson. Questa volta Locke è davvero morto, definitivamente e completamente.
Questa storia di Professione: reporter, ultimo film di Michelangelo Antonioni, a tutta prima fa pensare al Fu Mattia Pascal di Pirandello. Ma Pirandello vuole dimostrare, in maniera sarcastica e paradossale, che l'identità è un mero fatto sociale, cioè che esistiamo in quanto gli altri riconoscono la nostra esistenza; mentre Antonioni sembra pensare giusto il contrario e cioè che esistiamo, sia pure come grumo di dolore, anche e soprattutto fuori della società. E infatti il discreto simbolismo del deserto nel quale Locke cerca di sfuggire al deserto della propria vita, indica il vero tema del racconto: il suicidio come unico mezzo per liberarsi di un'identità che è insopprimibile coscienza esistenziale. Locke si suicida due volte, una prima volta distruggendo la propria identità civile, come il personaggio pirandelliano; una seconda volta lasciando che i killer distruggano la sua identità fisica. Ma perché Locke si uccide? Probabilmente per il motivo per cui tanti oggi lo fanno: per l'impossibilità di conferire alla propria esistenza un valore simbolico, ossia un significato che in qualche modo la trascenda. Il doppio suicidio di Locke a questo punto proietta una luce rivelatrice sul mondo occidentale al quale egli appartiene, diventa esemplare di una condizione universale.
Michelangelo Antonioni, con Professione: reporter ha fatto il suo film più rigoroso ed essenziale. Fedele al principio che l'arte consiste più nel togliere che nel mettere, più nell'assenza che nella presenza, Antonioni non ha mai avuto la mano così leggera, così reticente e così allusiva. L'avventura di Locke è data per tocchi di una discrezione che rasenta l'impercettibile. L'intercambiabilità angosciosa dei luoghi, delle situazioni e delle persone nel mondo moderno è appena accennata; fatti massicci come l'amore e la morte sono sfiorati con qualche immagine fuggitiva e poi si passa ad altro. Fino all'ultima sequenza, forse la più bella, tipica del metodo di Antonioni, in cui la morte di Locke è trasferita senza residui nel tran tran quotidiano del borgo spagnolo. A questo punto si potrebbe anche sostenere che un simile modo di narrare mal sopporta quel tanto di romanzesco che c'è nel tradizionale intreccio proprio della sostituzione delle persone. Di solito Antonioni non raccontava una storia; i suoi film erano pure rappresentazioni di situazioni esistenziali. Non così Professione: reporter. Ma bisogna riconoscere che mai intreccio fu eluso con tanta accanimento. E infatti il film segna un ritorno di Antonioni, dopo i più “sociali” Blow Up e Zabriskie Point, all'originarla tematica esistenziale.
Jack Nicholson è ineccepibile a forza di bravura e di naturalezza; ma il dolore di cui è addirittura materiato il suo personaggio non sembra essere sempre presente alla sua attenzione. Maria Schneider, stranamente somigliante ad Eleonora Duse, conferma definitivamente in questo film, con un gioco di fisionomia che ricorda appunto la grande attrice italiana, le sue qualità interpretative e fotogeniche.
Autore critica:Alberto Moravia (sta in Moravia al/nel cinema, Ass. Fondo A. Moravia, 1993)
Fonte critica:L'Espresso
Data critica:

9/3/1975

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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