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Sorrisi di una notte d'estate - Sommarnattens Leende

Regia:Ingmar Bergman
Vietato:16
Video:San Paolo Audiovisivi
DVD:
Genere:Commedia
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Ingmar Bergman
Sceneggiatura:Ingmar Bergman
Fotografia:Gunnar Fischer
Musiche:Erik Nordgren
Montaggio:Oscar Rosander
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Bibi Andersson Attrice, Harriet Andersson Petra, Bjorn Bjelfvenstam Henrik Egerman, Gunnar Bjornstrand Frdrik Egerman, Margit Carlqvist Charlotte, Eva Dahlbech Desiree Armfeldt, Ake Fridell Frid, Sten Gester Servitore, Svea Holst Guardarobiera, Ulla Jacobsson Anne Egerman, Ulf Johanson Impiegato studio Legale, Jullan Kindahl Beata, Jarl Kulle Conte Carl, Arne Lindblad Attore, Lisa Lundholm Signora Almgren, Mona Malm Cameriera, Borje Mellvig Notaio, Gull Natorp Malla, Gunnar Nielsen Niklas, Yngve Nordwall Ferdinand, Josef Norman Anziano ospite, Gosta Pruzelius Cameriere, Mille Schmidt Servitore, Lena Soderblom Cameriera, Hans Straat Almlgren, Birgitta Valberg Attrice, Naima Wifstrand Signora Armfeldt, Anders Wulff Giovane Fredrik
Produzione:Svensk Filmindustri
Distribuzione:Cineteca Griffith
Origine:Svezia
Anno:1955
Durata:

113'

Trama:

Anny, giovane diciottenne, volendosi assicurare una solida posizione, sposa un vedovo anziano, Fredrik Egerman. E' ospite dei coniugi Egerman, per la durata dei corsi universitari, il giovane Henry, studente di filosofia, figlio di un amico di Fredrik. Fra Henry ed Anny si stabilisce ben presto una corrente di viva simpatia. Fredrik se ne rende conto e diviene un po' geloso: desiderando consolidare nel modo migliore la tranquillità familiare, chiede consiglio ad una vecchia amica, l'attrice Desirée Armefeld. Questa, che è sempre stata innamorata di Fredrik, architetta un piano per riconquistarlo. Fa quindi in modo che la sua vecchia madre inviti alla propria villa, per un week end, i coniugi Egerman, Henry, nonchè la contessa e il conte Malcom: quest'ultimo ha fatto in passato una corte spietata a Desirée. A tavola la vecchia madre porta il discorso sull'amore: il giovane Henry, che alimenta in cuor suo un sentimento d'amore per Anny, che egli crede senza speranza, lascia bruscamente la compagnia, seguito da Anny che, dimentica di tutto e di tutti, pensa soltanto a confortarlo. I due giovani si sentono legati da un prepotente reciproco sentimento e decidono di fuggire insieme. Intanto la contessa Malcom, d'accordo con Desirèe, finge di circuire Fredrik, suscitando la gelosia del marito, il quale, senza curarsi piu' di Desirèe, s'adopra per ricondurre a sè la moglie, con la quale infatti si riconcilia; Desirèe e Fredrik restano soli, e quest'ultimo comprende che Desirée è il suo vero amore.

Critica 1:Un maturo avvocato incontra un'attrice che fu sua amante e accetta il suo invito di passare con la giovane moglie il week-end in una villa di campagna dove si sviluppa un carosello tragicomico di amori incrociati. La migliore commedia di I. Bergman, un capolavoro. Nelle cadenze frivole di un "invito al castello" con risvolti comici da pochade rivela un retrogusto amarissimo. Grande compagnia d'attori, eleganza suprema. Bergman sostiene di essere negato all'umorismo, al registro leggero. Dopo Una lezione d'amore (1953), questo film lo smentisce. Premiato a Cannes nel 1956.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Sorrisi di una notte d'estate si articola dapprima come un fatuo “invito al castello”, che propone dei personaggi e li lascia affluire verso il teatro decisivo della villa patrizia, dove la complicata alchimia tirerà le proprie somme. Vi sono tre coppie da aggiustare. Un maturo avvocato che ha contratto matrimonio in bianco con una donna assai più giovane di lui, ed è l'amante di una nota attrice. La sposina-pupilla e il figlio di primo letto dell'avvocato stesso, uno studente di teologia scontroso e impacciato (divenuto “nipote” nella riduzione italiana del film; e anche la teologia è scomparsa). Un focoso ufficiale, a sua volta amante dell'attrice ma tenero e geloso nei confronti della moglie. A ama B che ama C, eccetera. Nessuno più lontano di Ingmar Bergman dagli schemi alla Françoise Sagan, ma il ricorso ai termini algebrici per una aggrovigliata situazione erotica ritorna alla mente nel tentativo di fissare in qualche modo le evoluzioni di Sorrisi di una notte d'estate.
Per quanto riguarda soltanto il soggetto, però: perché nella regia e nella recitazione tutto si dipana molto più liberamente, addirittura con una facilità da sogno. La prima parte, che predispone la nottata in villa, si incarica di tenere le fila dell'intreccio secondo una partitura quasi funambolesca, che non rifugge nemmeno dalla pochade. Si tratterà, ben s'intende, di un mezzo dalle eleganze più calibrate, sfruttato al livello di un Ophüls o di un Autant Lara o di un Clair; e un eventuale apporto parigino è rintracciabile nel dialogo che contrassegna certe situazioni, e la presentazione dei personaggi apparentemente più frivoli: ad esempio la prima comparsa della vecchia signora Armfeldt (Naima Wifstrand), la prima comparsa dell'ufficiale (Jarl Kulle) in casa dell'attrice Désirée (Eva Dahlbeck). Ma a Bergman ciò interessa soltanto in vista di un graduatissimo “oscuramento” di fatti e persone, che rovescia ogni disponibilità umoristica verso forme imprevedibili di isolamento e compianto.
Il trapasso è operato con mano maestra, su un materiale che aggrava i significati con il procedere dell'azione. L'atmosfera di La ronde di Max Ophüls, che già avrebbe costituito un risultato, riappare a momenti nella prima parte (e nella misura in cui lo scandinavo Bergman può prestarsi a raccoglierla) come strumento di transizione narrativa, svelando nel pur fittizio avvicinamento tra i due registi quanta suggestione esteriormente scenografica giocasse nella riuscita del film francese. È a La ronde che fa pensare il ritorno dal teatro di Désirée e dell'avvocato Egerman (Gunnar Björnstrand), preceduti dalla vecchia governante con il lanternino acceso, lungo il laghetto. Ma Ia tempra creativa di Bergman è diversa. Bergman non ha radunato i suoi personaggi per una Grande Manovra dello stile. Li attende a un varco difficile, in cui l'educazione d'amore, questo soggetto di ricerca di tutto il cinema svedese, sarà acquisita mediante la sconfitta della dignità. Infatti Sorrisi di una notte d'estate è un simposio di inesperti d'amore; per stanchezza o per povertà sentimentale, per iattanza dei sensi o per estrema giovinezza. Il cumulo degli errori amorosi commessi e tacitamente accettati per una intima, compromissoria intesa tra il fastidio delle proprie passioni e il rigore delle convenzioni circostanti fa nodo nella notte d'estate e reclama delle rettifiche. Date le premesse, le rettifiche non possono certo prodursi su piano spirituale. Questo ci vuol dire lo scettico film di Bergman. Tutto il resto è complicità di cornici, incanto di ricami. Beninteso, nulla di eterno nelle nuove figurazioni del gioco. Vi saranno altri equilibri, e altre notti d'estate. La dolente constatazione della monotonia umana nasce da questa consapevolezza.
Ma per giungere alla fuggevole combinazione, i personaggi maschili del racconto devono pagare il prezzo che i personaggi femminili hanno implicitamente stabilito fin da principio. La loro dignità cadrà in modo irreparabile. La dignità, questo placido schermo che essi ritenevano troppo arduo da sormontare. Chi la ha troppo vezzeggiata scambiandola per una seconda coscienza, come l'avvocato Egerman, sarà costretto a capitolare e a guardare con maggior attenzione ai fatti reali della vita. Chi la avrà troppo idealizzata per farsene scudo contro turbamenti e desideri, come lo studente Henry, arriverà alla soglie di un ridicolo suicidio. Chi la ha sostituita con il più facile orgoglio, come l'ufficiale conte Malcolm, sarà messo di fronte alla propria aridità tanto profondamente che una vaga metamorfosi del personaggio si delinea in seguito alla crisi.
Malcolm è l'unico dei tre uomini che non cambia compagna né accetto l'esperienza come un insuccesso. La sua albagia, la sua adulata maschilità lo riparano in ogni caso da una rotta completa. Tuttavia è interessante notare l’importanza psicologica che Bergman annette a Malcolm, per qual-che accenno il personaggio più futile, in apparenza, nell'impianto del film. Tra le svariate forme di lieto fine che la vicenda assume, quella del riavvicinamento tra Malcolm e la moglie è forse la sola che serbi, nel giro degli inganni, una vibrazione di sincerità. “Ti sarò fedele a modo mio…” dice il conte a Charlotte, ed è il massimo che il film prometta. E a pronunciare la frase è la maschera più stilizzatamente stolida del girotondo, nell'unico momento di riflessione, allorché diviene palese anche a lui che vanità e lussuria sono tra i volti innumerevoli della noia. Questa trattura, veloce e leggera, va annoverata a nostro parere tra le cose ma-gistrali del film, e si attua al culmine del virtuosismo di Berginan, quando lo spettacolo rivela di essere aperto a qualsiasi possibilità, giocosa, grottesca, mortale: quando il duello alla roulette russa è finito, la pistola ha sparato in mano a Egerman, e il conte esce nella notte dal padiglione. Nel minuto di suspense che segue si ha chiara l'ampiezza del discorso di Bergman, sui registri più contrastanti. Non è più tempo di leggende amo-rose e di prodezze galanti. Sono presenti, come nel convito ultimo di Don Giovanni, la morte e la disperazione.
L'atteggiamento raffinatamente spietato della regia si enuncia anche attraverso la forza dei dialoghi, in primo luogo in certi “colloqui di donne” che sono tra i mezzi prediletti di Bergman (vedi anche Donne in attesa, Sogni di donna, Alle soglie della vita, Sussurri e grida), e poi con l'ausilio della quarta coppia della trama, un cameriere e una cameriera (Ake Fridell e Harriet Andersson) che fungono insieme da maschere commentanti e da equilibratori della vicenda in una allettante spregiudicatezza anti-intellettualistica. Maschere, diciamo, in senso teatrale, ispirate a celebri modelli e maturate poi secondo la natura nordica, ma libere nella loro facile morale di ridersi di qualunque totem del sesso, del rango, del rito. Lei, la colombina, è una solleticante depositaria di segreti muliebri, pronta a inserirsi nella ronda come devota e insostituibile consigliera d'amore. Lui, un cocchiere-maggiordomo baffuto e libertino, appartiene piuttosto alla tradizione scenica e novellistica della Mitteleuropa. È un crapulone svevo o sassone che ha assorbito le leggende con la birra. Da lui vengono le citazioni sui significati di ogni sorriso notturno, che intervallano le ultime sequenze del film, ed è solo lui, come un massiccio avallo, ad apparire alle spalle della signora Armfeldt nella scena del pranzo, durante la narrazione del vino incantato, una fola che ha tutto il sentore panico e bizzarro della mitologia scandinava. In contrapposizione agli amori giocondi dei due servi, la notte complicata dei vari padroni, malgrado i vari accomodamenti che la concludono, sembra un po' un festino senile e fantasmagorico. Il curioso è del resto che il confronto così cercato è proprio l'elemento che sembra garantire ai due nuclei in contrasto - e anche al film - una definitiva “castigatezza” sul piano morale. Sorrisi di una notte d'estate è l'opera di Bergman che rivela il regista ai pubblici d'Europa, tramite il festival di Cannes dove viene premiato. La critica internazionale elogia la ricchezza figurativa del film, pari alla multiformità dei concetti, dei caratteri, delle feconde intuizioni. I contributi individuali di ciascun attore portano alla narrazione un'armonia meravigliosa. E si osservi che proprio in quest'epoca (1955) Bergman sta mettendo a punto la sua seconda équipe recitante, il complesso che lo accompagnerà sullo schermo (e sulla scena, spesso) fino ai giorni nostri. Abbiamo già fatto alcuni nomi: lo stupefacente Jarl Kulle, l'audace Harriet Andersson, l'insostituibile Gunnar Björnstrand, l'ammaliziatissima Eva Dahlbeck. Björnstrand cattura la nostra attenzione anche perché, senza mai dirlo, Bergman in tutti i film gli affida i suoi pensieri, ne fa il suo alter ego. Ma in Sorrisi di una notte d'estate è anche Eva Dahlbeck che pone in movimento il congegno sentimentale, secondo un piano da lei stessa preannunziato nei frammenti teatrali che la vediamo recitare alla ribalta nelle prime sequenze; il monologo sulla serietà virile, l'aforisma del giocoliere e delle tre clave.
Autore critica:Tino Ranieri
Fonte critica:Ingmar Bergman, Il Castoro Cinema
Data critica:

12/1974

Critica 3:
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Data critica:



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