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Uomo che verrà (L') - Uomo che verrà (L')

Regia:Giorgio Diritti
Vietato:No
Video:
DVD:Cecchi Gori Home Video
Genere:Storico
Tipologia:La guerra, La memoria del XX secolo, La storia
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Giorgio Diritti
Sceneggiatura:Giorgio Diritti, Giovanni Galavotti, Tania Pedroni
Fotografia:Roberto Cimatti
Musiche:Marco Biscarini, Daniele Furlati
Montaggio:Giorgio Diritti, Paolo Marzoni
Scenografia:Giancarlo Basili
Costumi:Lia Francesca Morandini
Effetti:
Interpreti:Alba Rohrwacher (Beniamina), Maya Sansa (Lena), Claudio Casadio (Armando), Greta Zuccheri Montanari (Martina), Vito-Stefano Bicocchi (signor Bugamelli), Eleonora Mazzoni (signora Bugamelli), Orfeo Orlando (il mercante), Diego Pagotto (Pepe), Bernardo Bolognesi (il partigiano Gianni), Stefano Croci (Dino), Zoello Gilli (Dante), Timo Jacobs (ufficiale medico delle SS), Germano Maccioni (Don Ubaldo), Taddhaeus Meilinger (capitano delle SS), Francesco Modugno (Antonio), Maria Grazia Naldi (Vittoria), Laura Pizzirani (Maria), Frank Schmalz (ufficiale della Wehrmacht), Tom Sommerlatte (ufficiale delle SS), Raffaele Zabban (Don Giovanni)
Produzione:Simone Bachini e Giorgio Diritti per Aranciafilm-Rai Cinema
Distribuzione:Mikado
Origine:Italia
Anno:2009
Durata:

117’

Trama:

Inverno, 1943. Martina, unica figlia di una povera famiglia di contadini, ha 8 anni e vive alle pendici di Monte Sole. Anni prima ha perso un fratellino di pochi giorni e da allora ha smesso di parlare. La mamma rimane nuovamente incinta e Martina vive nell'attesa del bambino che nascerà, mentre la guerra man mano si avvicina e la vita diventa sempre più difficile, stretti fra le brigate partigiane del comandante Lupo e l'avanzare dei nazisti. Nella notte tra il 28 e il 29 settembre 1944 il bambino viene finalmente alla luce. Quasi contemporaneamente le SS scatenano nella zona un rastrellamento senza precedenti, che passerà alla storia come la strage di Marzabotto.

Critica 1:Inverno, 1943. Martina, unica figlia di una povera famiglia di contadini, ha 8 anni e vive alle pendici di Monte Sole. Anni prima ha perso un fratellino di pochi giorni e da allora ha smesso di parlare. La mamma rimane nuovamente incinta e Martina vive nell'attesa del bambino che nascerà, mentre la guerra man mano si avvicina e la vita diventa sempre più difficile, stretti fra le brigate partigiane del comandante Lupo e l'avanzare dei nazisti. Nella notte tra il 28 e il 29 settembre 1944 il bambino viene finalmente alla luce. Quasi contemporaneamente le SS scatenano nella zona un rastrellamento senza precedenti, che passerà alla storia come la strage di Marzabotto.

Il vento continua a fare il suo giro. No­tizia da accogliere con gioia perché l’uo mo che verrà, regia di Giorgio Dirit­ti, in concorso all'anonimo Festival internazionale di Roma 2009, supera con autorevolezza lo scoglio dell'ope­ra seconda. Il vento è ancora una vol­ta quello che soffia lungo le valli di montagna. Dopo la piemontese valle Maira, scenario dell'exploit indipen­dente Il vento fa il suo giro, tocca alla bo­lognese bassa valle del Reno. Marza­botto, Casaglia di Monte Sole, Grizza­na Morandi: luoghi della memoria, luoghi di massacri nazifascisti. La ter­ra, da quelle parti, è ancora intrisa dal sangue dell'eccidio di 770 civili, perlopiù donne, anziani e bambini, avve­nuto tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944.
L'uomo che verrà, interamente recitato in antico dialetto bolognese, di quel vile atto ne è il ricordo arcaico, sguar­do "terzo", naturale, geograficamente promiscuo, ma cinematograficamen­te sottratto dalla disputa politica nero contro rosso, cattivo contro buono. Il senso diffuso della comunità, della "polis” su cui si costruisce il film, sta nella vita contadina che odora di stal­la, di fame ancestrale, di amore visce­rale, di arcaica sacralità religiosa, di ne­ve vera messa in scena senza l'ausilio di ridicoli macchinari del cinemato­grafo hollywoodiano. Realismo antro­pologico, più che realismo storico, ba­sato sulla rappresentazione materica di una di quelle antiche e numerose fa­miglie contadine piene di figli, nipoti, letti sovrappopolati non per miseria ma per riscaldarsi corporeamente dal clima freddo. Attimi di assoluta purez­za morale, di delicato e sincero uma­nesimo che Diritti, autore del sogget­to del film, nonché della sceneg iatu­ra con i giovani Giovanni Galavotti e Tarsia Pedroni, riproduce visivamente in sequenze che mancavano al cinema italiano da parecchi lustri. Due esem­pi. I familiari riuniti attorno al fuoche­rello della stalla, intenti ad intrecciare cestini di vimini ed a seguire la trasmis­sione orale del sapere: racconti di guerra passata, descrizione di luoghi lontani impossibili da raggiungere, possibili solo da immaginare. Oppure il semplice ritratto della spoglia came­retta del vecchio nonno immobiliz­zato a letto; felice nell'osservare, fuori dalla finestra, il ciclico volo delle rondini.
Ne L'uomo che verrà i bambini vengono spidocchiati con il petrolio, mangiano le pesche "a grugno” masticano fette di pane bagnato da artigianali conser­ve di pomodoro. Ed è il limpido sguardo della piccola Martina (Greta Zuccheri Montanari), ultima delle fi­glie di Lena (Maya Sansa) e Armando (Claudio Casadio), rimasta muta do­po la morte dell'ultimo fratellino, a condurci tra castagni, querce, faggi, co­voni di fieno, muri di firedda pietra. La storia, quella che tutti definiscono con la s maiuscola, irrompe improvvisa dentro la comunità contadina, dappri­ma lambendola (uno dei fratelli di Martina si dà alla macchia diventando partigiano), fino all'inaspettato, totale, tragico coinvolgimento finale. Perché non è disinteresse quello che i conta­dini, già provati da certe privazioni del fascio locale sui propri raccolti, sento­no di fronte all'intruso nazista. Il loro è un universo moralmente intonso, impossibilitato a contemplare una ta­le sadica violenza distruttiva.
Don Dossetti scriveva nel libro Le querce di Monte Sole, riguardo la resi­stenza "atipica delle comunità conta­dine dei luogo: «è irtnartzitutto un at­teggiamento morale, una rivolta inte­riore contro ogni prevaricazione ... sfida dell'amore all'odio, delle fede al­la disperazione. Per questo L'uomo che verrà non è film sull'atavico italiano rintuzzar di sciabole a colpi di revisio­nismo e contro revisionismo storico. Nessun indizio, nemmeno quello del­l'esecuzione sommaria del nazista più "umanizzato" ci deve portare alla lo­gica della parificazione delle parti in causa nella nostra guerra civile. Infatti, nonostante l'inazione, papà Armando è lapidario quando si tratta di senten­ziare da che parte stare nel conflitto: «quello che fanno i tedeschi non è di questo mondo va contro tutto quello che sappiamo e che ci hanno insegna­to, do biamo pensare a cosa voglia­mo lasciare ai nostri figli». La sequen­za dell'uccisione del tedesco buono è il semplice, oggettivo, frutto dello scrupoloso ricorso a fonti storiche di­rette (i sopravvissuti) e indirette, ma non la riscrittura di colpe, di ribalta­mento di cause ed effetti che hanno dato vita a dittature e guerre sanguina­rie. «Le immagini degli eventi narrati ci consegnano la sintesi del desiderio e del bisogno di solidarietà nelle con­vivenze umane – ha spiegato Diritti – ci restituiscono il senso delle cose che contano, ridanno valore ad una stret­ta di mano, ad uno sguardo, ad una preghiera, al cibo, all'amore. Un tutto schiacciato, represso, ma anche valo­rizzato, nella contrapposizione alla crudeltà delle SS». (...)
Autore critica:Davide Turrini
Fonte criticaLiberazione
Data critica:

22/10/2009

Critica 2:Dopo l'eccidio di Sant'Anna di Stazzema dell'agosto 1944 (ch ha ispirato il film di Spike Miracolo a Sant’Anna, quello che le SS del maggiore Reder avrebbero messo in atto tra il 29 settembre e il 4 ottobre dello stesso anno sull’Appennino bolognese (Monte Sole, Marzabotto) verrà classificato come il più grave crimine di guerra tedesco contro le popolazioni civili di tutta la seconda guerra mondiale. Furono tra i sette e gli ottocento vecchi, donne, uomini, preti e bambini massacrati in dentro le chiese durante le operazioni di rastrellamento e rappresaglia che avevano come obiettivo militare la brigata partigiana Stella Rossa del comandante Mario Musolesi nome di battaglia Lupo. Reder fu condannato nel '51 e poi graziato. Solo nel 2007 a La Spezia fu aperto un nuovo processo dal tribunale militare. L'intera area della strage è stata trasformata in un parco storico regionale. All'inizio di questo decennio è stata creata la Scuola di Pace di Monte Sole. Su quelle montagne l'esponente democristiano Giuseppe Dossetti, padre Costituente divenuto poi monaco, avrebbe insediato la sua comunità religiosa.
Su tutto questo Giorgio Diritti, autore del piccolo capolavoro Il vento fa il suo giro, ha costruito il suo secondo film L'uomo che verrà. Confermando il suo personalizzato abbeverarsi alla scuola olmiana. Spiega il regista: «Sebbene il riferimento ai fatti sia preciso e documentato, anche da interviste con i sopravvissuti (che probabilmente il film non vorranno vederlo perché è troppo duro per loro tornare a quei momenti), la vasta famiglia contadina che occupa il centro della scena è frutto d'invenzione». Così come la bambina muta che presta il suo sguardo all’intero film, con il compito di rappresentarne,
– nel mettere in salvo il fratellino neonato: l’uomo che verrà, appunto – lo spirito e il sentimento. Dalla lezione olmiana vengono il dialetto sottotito1ato in italiano. «Antico e oggi perduto, specifico dialetto di quelle zone»: operazione che forse qualcuno riterrà un artificio ma che il registra rivendica «proprio perché lo sforzo e l'estraneità a quella
parlata sono serviti per me a creare le condizioni giuste». Cui anche le due coprotagoniste Alba Rohrwacher e Maya Sansa, sorelle nella storia, si sono disciplinatamente sottoposte. E poi la meticolosa selezione dei volti, che il regista temeva di dover cercare altrove, magari nei Balcani, e invece ha trovato tutti in loco: anch'essi antichi, «come alberi» dice Diritti.
E poi ancora tutto il lavoro scrupoloso del trucco-non trucco: «Abiti arrangiati, unghie capelli e colli sporchi, il cascinale e i dintorni frutto di accurata ricerca fotografica e iconografica». Tutta roba che c'è ma non si “sente” né si deve sentire – il contrario del cinema “di arredamento” alla Ivory – perché mezzo e non fine. La cosa che stava a cuore a Diritti nel «ricercare la piena attendibilità ma nel rifuggire lo stereotipo», era di evitare, come avrebbe detto De Sica, di «fare il cinematografo». Tutte le considerazioni di ordine formale trovano un corrispettivo nel contenuto e nella rappresentazione storica. Anche se Diritti non mette neanche lontanamente in dubbio il discrimine tra a bene e male, tra giusto e sbagliato – «mi dà molto fastidio sentir parlare di revisionismo» – non ha difficoltà a rappresentare le confusioni e le contraddizioni, a mostrare il giovanissimo soldato tedesco prima condividere sull'aia pane e pomodoro e poi trasformarsi in belva «e uccidere un uomo come si uccide un maiale» o «il ribelle dapprima restio a uccidere e poi capace di freddare alle spalle il tedesco».
«I contadini cori il loro isolamento e le loro millenarie ripetizioni degli stessi gesti» certamente sentono amici i partigiani, «ma se potessero di questa Storia che passa sulle loro terre farebbero a meno».A Diritti interessava«dare un piccolo contributo a ristabilire una memoria comune e condivisa dopo l'insabbiamento della verità imposto da decenni di guerra fredda», ma soprattutto comunicare l'idea e l'auspicio dell'«estraneità alla guerra come deformazione mostruosa dei comportamenti umani». Qualcosa che «magari tra cinquecento anni sarà stata dimenticata, sarà sparita dall'orizzonte umano come il cannibalismo o la peste».
Autore critica:Paolo D’Agostini
Fonte critica:La Repubblica
Data critica:

22/10/2009

Critica 3:
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Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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