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Giovane favoloso (Il) -

Regia:Mario Martone
Vietato:No
Video:
DVD:01 Distribution
Genere:
Tipologia:Diventare grandi, Letteratura italiana - 800
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:
Sceneggiatura:Mario Martone, Ippolita di Majo
Fotografia:Renato Berta
Musiche:Sascha Ring - Brani di Gioacchino Rossini
Montaggio:Jacopo Quadri
Scenografia:Giancarlo Muselli
Costumi:Ursula Patzak
Effetti:
Interpreti:Elio Germano - Giacomo Leopardi, Michele Riondino - Antonio Ranieri, Massimo Popolizio - Monaldo Leopardi, Anna Mouglalis - Fanny Targioni Tozzetti, Valerio Binasco -Pietro Giordani, Paolo Graziosi - Carlo Antici, Iaia Forte - Signora Rosa, padrona di casa,Sandro Lombardi - Don Vincenzo, precettore di casa Leopardi, Raffaella Giordano - Adelaide Antici Leopardi, Edoardo Natoli - Carlo Leopardi, Federica de Cola - Paolina Ranieri, Isabella Ragonese - Paolina Leopardi, Giovanni Ludeno - Pasquale Ignarra, figlio di casa Ranieri,Giorgia Salari - Maddalena Pelzet, Gloria Ghergo - Teresa Fattorini/'Silvia'
Produzione:Carlo Degli Esposti, Patrizia Massa e Nicola Serra per Palomar con Rai Cinema
Distribuzione:01 Distribution
Origine:Italia
Anno:2014
Durata:

135'

Trama:

Giacomo Leopardi è un bambino veramente speciale, cresciuto nella casa di Recanati sotto l'egida del padre, il conte Monaldo. Il piccolo Giacomo non esce quasi mai di casa e avendo a disposizione una vasta biblioteca legge di tutto. Tuttavia, per quanto nelle pagine dei libri si legga di tutto l'universo, l'universo è fuori, lontano, irraggiungibile e la sua mente vuole viaggiare al di fuori delle mura paterne. In questo periodo, attraverso le poesie, Giacomo inizia a dare vita a quell'autobiografia interiore immensa e sofferta che lo porterà a delineare sempre più nitidamente il suo pensiero: un pensiero laico, lucido, una capacità implacabile di scorgere tutte le ipocrisie della società che ha intorno mentre il mondo cambia, l'Illuminismo apre la mente e scoppiano le rivoluzioni. Quando compie ventiquattro anni, Giacomo lascia finalmente Recanati e va alla scoperta del "mondo", riuscendo difficilmente ad adattarsi a causa del suo spirito ribelle. Si trasferisce quindi a Firenze con Antonio Ranieri, l'amico napoletano con il quale vive un'esistenza bohémien e che lo assiste con devozione, mettendo su carta i versi che il poeta gli detta. Leopardi, infatti, è sempre più segnato dalle malattie. Semicecità e deformazioni non gli impediscono, però, di invaghirsi della dama fiorentina Fanny Targioni-Tozzetti, che a sua volta è invaghita di Ranieri. Quando un'amnistia riapre a Ranieri le porte della sua città natale, dopo una sosta a Roma, Leopardi si sposta con l'amico a Napoli, dove l'aria è salubre e il clima più consono alle sue condizioni di salute. Allo scoppio del colera, i due si trasferiranno in una villa in campagna alle pendici del Vesuvio. E' qui che Leopardi scrive "La ginestra", la lunga poesia in cui racchiude il suo pensiero.

Critica 1:Il bellissimo, educativo ma non scolastico film di Martone su Leopardi s'accoppia a Noi credevamo, due modi di raccontare l'800: uno sul fallimento risorgimentale, l'altro su quel 'Giovane favoloso' che, guardando l'Infinito e l'ermo colle, sarà il primo a far la rivoluzione, pur accartocciandosi su se stesso: la Terra resta ferma, l'uomo gira intorno con le sue sofferenze, nonostante l'epoca invochi il new deal positivista. Ispirato dall'Epistolario e da altre confessioni, il regista scrive con Ippolita di Majo una sceneggiatura (pubblicata da Electa) in prosa e anche per metafora e visivamente, in versi, su un giovane ribelle (Cobain, Pasolini, Wittgenstein) nevrotico che rifiuta, odia e ama il padre ma lo cerca negli amici intellettuali e nell'affetto aitante di Ranieri (...). Diviso in scultorei blocchi narrativi, il film respira di uno sfarzo che viene dalla cultura non dal budget, dalla forza dell'introspezione a immagini, dal piccolo punto psicologico del montaggio di Quadri. Elio Germano, strepitosamente sofferente è anche consapevole, come si guardasse vivere: indimenticabile mentre struscia sulle pareti polverose di pergamena di libri, abbandona la «vile prudenza» e invoca il potere del Dubbio che salva dal tanto amato silenzio. Perfetto nel dosaggio di malinconia e di melanconia, è al centro di un cast perfetto con Michele Riondino, Massimo Popolizio e la grande compagnia di teatro Lombardi-Forte-Binasco-Graziosi.
Autore critica:Maurizio Porro
Fonte criticaCorriere della Sera
Data critica:

16/10/2014

Critica 2:"(...) il titolo è fedele a quel che vediamo. C'è del metodo nel lavoro martoniano, nutrito delle 'Operette morali' esplorate a teatro e, ancor prima, del risorgimentale, corale Noi credevamo: qui la Restaurazione impera, l'Italia si duole in silenzio, ma Leopardi non è il gobbetto di Recanati, questo Giacomo rifiuta esplicitamente la 'consecutio malorum' storpio - infelice - pessimista cosmico. Perché Martone, che sceneggia con Ippolita di Majo, spazza via la polvere, le calcificazioni, le sovrastrutture scolastiche, la ignorantissima normalizzazione ex cathedra: Leopardi è nostro contemporaneo, eretico 'prepasoliniano', genio nonostante i tempi o, forse, in virtù di essi. Questo metodo, innestato sui versi-dinamite dell''Infinito', della 'Ginestra', è purissima carne: la presta, la piega Elio Germano, ma la sua performance non è condimento simbolico, bensì coordinata storica, filologia fisiognomica. Non è la parte per il tutto, quella maledetta gobba, non è il tratto distintivo del poeta, e Germano lo sa bene, la porta con compunzione, sofferenza, ma nessun allarme, nessun aggetto alla faciloneria in platea. No, quel che ci interessa di lui, del film, di Leopardi stesso è la visione, meglio, la visionarietà: nella finale sequenza delle ginestre in cui uomo, natura e cultura si fondono c'è il lascito vivo di una Realtà esperita dal poeta e consegnata ai posteri, a noi. Senza troppe mutazioni, è ancora tale, realtà: deficienza umana, natura matrigna, cultura (e politica) ottusa, non ritroviamo tutto questo nelle colpevoli alluvioni di questi giorni? Ma soprattutto, e rubiamo il titolo a un recente teen-movie, Noi siamo infinito, perché l'io leopardiano è inclusivo e il suo, il nostro tempo non se ne va. Martone parte da Recanati, ci apre la prigione reale del giovane Giacomo: libri come sbarre, il rapporto ondivago con il conte-padre, l'affetto per sorella e fratello, l'interpunzione mancata con la madre, come, appunto, si vedono di quando in quando. Poi, la fuga, la Firenze dei salotti buoni e dei cervelli meno buoni, la sbandata impossibile per Fanny, l'amicizia e il sodalizio con Ranieri, la definitiva discesa a Napoli, in cui la visione di Martone si dispiega, intercettando bagliori felliniani sul basso continuo viscontiano. Non è visione didascalica, ma storicamente accurata e proiettata qui e ora: la fotografia di Renato Berta utilizza il chiaro e lo scuro come carta e penna, la musica elettronica di Sascha Ring manda in cortocircuito la memoria corrente di Leopardi. Precursore, precario e presago (sì, PPP come Pasolini) fu Giacomo, e il film lo racconta come farebbe un amico affezionato e sveglio, non un maestrino col registro aperto." , ,
Autore critica:Federico Pontiggia
Fonte critica:Il Fatto Quotidiano
Data critica:

16/10/2014

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:
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