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Duel - Duel

Regia:Steven Spielberg
Vietato:14
Video:Cic Video
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Richard Matheson
Sceneggiatura:Richard Matheson
Fotografia:Jack A. Marta
Musiche:Billy Goldenberg
Montaggio:Frank Morriss
Scenografia:Robert S. Smith
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Dennis Weaver (David Mann), Jacqueline Scott (Sig.ra Mann), Eddie Firestone (proprietario caffe'), Lou Frizzell (autista bus), Tim Herbert (benzinaio), Charles Seel (il vecchio), Shirley O'Hara (cameriera), Alexander Lockwood (vecchio signore nella macchina), Amy Douglas (vecchia signora mella macchina), Gene Dynarsky (uomo nel caffe'), Carey Loftin (autista del camion), Dick Whittington (intervistatore radio)
Produzione:George Eckstein per la Universal Tv
Distribuzione:Non reperibile in pellicola
Origine:Usa
Anno:1972
Durata:

90'

Trama:

David Mann, commesso viaggiatore, mentre si reca con la sua automobile da un cliente s'accorge di essere preceduto da una imponente autocisterna, il cui conducente lo sfida a sorpassarlo. Compiuto il sorpasso, viene raggiunto e superato dall'autocisterna che dimostra di marciare a una velocità superiore a quella che le si sarebbe attribuita. Ma le sorprese non sono finite: David si rende conto che il "mostro", lo avvicina con intenti assassini. Fermatosi a un bar, telefona alla moglie, poi aggredisce un cliente credendolo l'autista dell'autocisterna. Di nuovo in automobile, l'autocisterna riprende gli assalti in maniera sempre più esplicita. Questa volta David si trova in pieno deserto e tenta di chiedere aiuto. Mentre sta per soccombere lungo i tornanti di un passo montano, adopera l'auto come "muleta" per attrarre l'avversario imbestialito e farlo precipitare in un burrone.

Critica 1:Un commesso viaggiatore ha la malaugurata idea di superare a tutti i costi un'autocisterna che non gli dà strada. Da quel momento comincia una gara che si trasforma in un incubo: l'altro pilota, invisibile, fa di tutto per buttarlo fuori strada. Nato come film-TV di 73m e diretto in 16 giorni dal 24enne Spielberg, nel '73 fu distribuito, allungato di un quarto d'ora, nelle sale cinematografiche e divenne un successo internazionale. A parte la maestria tecnica (con un ingegnoso senso del ritmo e dello spazio), Spielberg ha il merito di aver trasformato, spingendo una situazione banale alle estreme conseguenze, un qualsiasi on the road in un thriller onirico e angoscioso dagli evidenti risvolti metaforici.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:E' evidente che l'opera esce dai limiti di un normale intreccio narrativo per assumere il tono di uno scabro apologo sulla condizione dell'uomo, ma l'originalità del film è soprattutto nella sottile ambiguità di cui è pervaso che ne determina varie interpretazioni, sul piano realistico e sul piano più decisamente «fantastico». Il significato del film di Spielberg può benissimo essere limitato infatti ad un «dramma della strada» così consueto nell'epoca moderna (e vi è una tal tensione che esso non perderebbe nulla del proprio fascino) per cui ogni sorpasso equivale ad un'onta, ed essere cioè l'analisi di un aspetto dell'alienazione che deriva dall'uso della macchina, e che coinvolge l'individuo con i suoi pesanti condizionamenti in un nuovo codice di antivalori e di barbare leggi di comportamento. In questi termini, David ed il camion simboleggiano i due poli attraverso cui, casualmente e senza fondamento alcuno di razionalità, la tranquillità si trasforma in primordiale violenza.
«Per mezz'ora della tua vita perdi contatto con il mondo civile e ti senti come un selvaggio», dice David, e nelle sue parole è sintetizzato questo aspetto del film come metafora sul mondo cosiddetto «civile» che produce i pazzi del volante, i criminali della strada pronti a misurarsi in un gioco feroce dove le uniche cose che contano sono l'ebbrezza della velocità, la potenza esasperata del motore, le leggi della precedenza a tutti i costi, le infamanti vergogne del sorpasso.
Il rapporto che si crea infatti tra David ed il camion è di una violenza primitiva ed elementare, ed egli è costretto a lottare per la propria sopravvivenza contro un pericolo mortale, illogico, ed anche assurdamente oggettivo. II guidatore dell'autocisterna non si vede mai, perché l'entità presa in considerazione non è una persona ben individuabile, ma la forza incomprensibile (quasi un odio allo stato puro) che si scatena nell'uomo, quando egli, fondendosi con il proprio mezzo meccanico, perde le sue caratteristiche umane per diventare un «uomo al volante», cioè un'altra «categoria» appartenente ad un diverso e terribile mondo. Una delle scene più avvincenti è proprio quella in cui il protagonista cerca di scoprire il misterioso guidatore dell'autocarro tra gli avventori del bar per stabilire con lui un contatto personale più umano e ragionevole: la ricerca e l'analisi delle facce e degli atteggiamenti non danno risultato, perché quegli uomini che bevono al banco sono persone in apparenza «normali», e nulla farebbe trasparire la violenza che, una volta al volante di un automezzo, sarebbero capaci di manifestare. Chiunque di loro potrebbe essere il persecutore di David non perché non lo si conosce in viso, ma perché qualunque uomo sarebbe capace di reagire allo stesso modo.
Ma Duel (che è tratto da un racconto di Richard Matheson, un narratore di science-fiction specializzato in vicende da incubo in cui l'uomo solo si trova a combattere contro situazioni che da normali si trasformano in anormali in modo repentino) non è certo solo la semplice vicenda di una sfida tra individui, poiché essa immediatamente assume il senso di un'emblematica rappresentazione di un modo d'essere che coesiste al fianco del vivere civile e nel quale ognuno può venir coinvolto, nel giro di pochi minuti. E la tendenza alla sopraffazione violenta non è solo l'aspetto irrazionale di uno stato esistenziale, ma piuttosto appartiene alla realtà sociale, è il risultato di una condizione umana di estrema aggressività derivante dalle frustrazioni individuali e collettive che, essendo impossibilitate a scaricarsi nella vita di tutti i giorni (dalla quale però nascono e traggono alimento), si convogliano su altri binari, e questo è senza dubbio uno dei più evidenti.
La strada ed i rapporti da giungla che in essa si instaurano non sarebbero ovviamente possibili se non vi fossero, a monte, già solide premesse: essa cioè non crea i «mostri» ma permette all'elemento mostruoso e violento dell'uomo di concretizzarsi, in questo caso particolare poi, con l'alibi di una «ragione» sempre ed inderogabilmente invocata a propria giustificazione e che può spingere anche a voler provocare la morte di chi si ritiene abbia commesso il «torto».
Secondo un più preciso significato politico, il film potrebbe anche indicare l'impossibilità dell'uomo di isolarsi dalla realtà di violenza che lo circonda e lo coinvolge suo malgrado in una inevitabile lotta. Nel film non vi sono elementi sufficienti per poter definire David un rappresentante della «maggioranza silenziosa» (che è invece chiaramente tratteggiata nella coppia che si rifiuta di prenderlo a bordo della propria auto) mentre è certo che egli incarna il tipo dell'«uomo medio», mediocre e conformista che, messo di fronte ad una violenza improvvisa ed incomprensibile, cerca in tutti i modi di fornire a se stesso una spiegazione «logica» e tranquillizzante dell'accaduto, come se fosse appunto soltanto il frutto di un insieme di casualità. Il tentativo fallito di David di intrecciare un dialogo con il guidatore dell'autocarro all'interno del bar si risolve allora nella (simbolica) irrealizzabilità del pacifico compromesso con l'espressione di un potere che, al contrario, genera inevitabilmente un'esasperata e continua conflittualità tra gli uomini (egregiamente esemplificata nel duello stradale).
Oltre all'interpretazione realistico-politica però il film di Spielberg è arricchito dalla possibilità di altre letture, in chiave filosofica e «fantastica», grazie soprattutto alle atmosfere inquietanti che contribuiscono alla sfumatura del significato, quindi alla possibilità del polisenso. Duel, che usa di un passaggio classico della cultura americana, il «viaggio» come rivelatore di una condizione, può essere letto a vari livelli: si possono così individuare l'eterno conflitto tra il Bene ed il Male, religiosamente od ontologicamente intesi (David - e tale è anche il nome simbolico del personaggio del film - e Goliath, Achab e Moby Dick) per cui l'uomo viene inseguito o dall'essenza stessa del male, o dall'immagine di un dio crudele al quale non può riuscire a sottrarsi se non «sbarazzandosene» (e già Bergman in Come in uno specchio aveva voluto rappresentare dio nell'effige di un elicottero) per ritrovarsi poi, cosmicamente solo, al cospetto di un universo angoscioso perché vuoto; oppure può indicare l'antagonismo tra l'uomo e la macchina, che sfugge al controllo e si rivolta; oppure ancora lo scontro tra l'individuo ed il potere, astrattamente inteso e raffigurato come un terribile gigante (un ferrovecchio di foggia antiquata ma ben più efficiente dell'automobile moderna) che tallona costantemente l'uomo da vicino, lo controlla, lo domina con la minaccia della sua presenza, e tenta di distruggerlo come essere che anela all'indipendenza, ad ogni passo di un viaggio che è progressiva acquisizione della coscienza e crescente ansia di libertà. Ma l'indeterminatezza dell'apologo ed i desolati ambienti naturali (le rare presenze umane, come l'inquietante figura della donna addetta al distributore di benzina che vive circondata da gabbie di rettili di ogni specie, sono sempre relegate ai bordi del nastro d'asfalto dove si sta svolgendo l'assurdo duello) danno al film un'impostazione decisamente irrealistica, simile ad una situazione kafkiana, ma più vicina ancora alle creazioni letterarie di Ray Bradbury.
Basta pensare ai bambini «terribili» che fanno le smorfie dietro al vetro del pullman e che circondano l'auto di David, o ad altri temi cari a questo autore, come quello della macchina che si ribella alla volontà dell'uomo o quello dell'individuo isolato in un mondo arido ed automatizzato. Il tono «fantastico» serve da supporto ad una riflessione sulla condizione umana, così che la macchina (strumento di alienazione e simbolo di competitività borghese) può anche venir impiegata per impostare un discorso sull'incontro-scontro con l'ignoto, e la vicenda di David può assumere l'aspetto di una terribile esperienza, una prova crudele delle reazioni dell'ingegno umano davanti ad una situazione imprevedibile e drammatica. Ma Duel può anche essere un'asciutta parabola fantascientifica sulla «solitudine» dell'uomo che nel suo simbolico viaggio, trovandosi solo e senza solidarietà, prende coscienza del proprio isolamento e compie una specie di «itinerario interiore» alla ricerca di se stesso e della propria identità. Il dualismo esterno si trasferisce in un conflitto essenzialmente intimo, ed il duello che si instaura tra David e l'autocarro viene ad assumere l'aspetto di uno scontro tra i due aspetti dell'anima, quello moderato, civile e moderno, e quello primordiale e violento che convivono nella stessa persona. Qualcosa di simile a quello che accadeva, ad esempio, ne Il pianeta proibito di Fred M. Wilcox, in cui il mostro era appunto la materializzazione dell'inconscio malvagio. Così la sequenza chiave del film, la sosta di David nel bar, assume il significato più profondo del brancolare dell'individualità alla ricerca della propria seconda «immagine» (l'impostazione realistico-fantastica dell'opera non esclude che la scena di David che si specchia nella toilette possa avere anche questo significato) ed il finale (i due mezzi meccanici che precipitano nel baratro avvinghiati l'uno all'altro) può anche esprimere la necessità da parte dell'individuo (il cui cognome è significativamente Mann, cioè «Uomo» ma scritto con 2 «n» appunto per evidenziare la doppia natura) di liberarsi definitivamente delle dimensioni del proprio essere in conflitto tra loro per rinascere, nelle ultime sequenze del film, in un'attesa ancora incerta di un altro e diverso destino.
Ed è proprio la ricchezza di tutte queste possibilità interpretative che rende suggestivo il film.
Potrebbero essere naturalmente individuati alcuni limiti, riconducibili ad un atteggiamento generalizzato della cultura «progressista» americana, più propensa a riflettere sul «malessere» che ad analizzarne le cause (come la genericità del discorso sul potere, l'astoricità del personaggio, o la forse troppo semplicistica concezione della macchina concepita di per sé come cosa negativa, e non per l'uso che di essa si può fare), ma simili obiezioni investirebbero il film solamente nel suo aspetto più strettamente politico, mentre l'opera di Spielberg a mio avviso, ha un respiro più ampio, e merita un diverso atteggiamento critico: dando valore cioè ai risultati di essenzialità cui l'opera approda grazie anche all'assenza di più precise ideologie, si possono cogliere quelle emozioni di inquietante tensione e di tesa violenza che il film vuole in primo luogo comunicare e che, in altro modo, probabilmente sarebbero andate perdute. D'altronde la caratteristica del film è proprio quella di creare un equilibrio tra il tono «realistico» e quello «fantastico» così che possa essere lo spettatore, in ultima analisi, a determinare la scelta di lettura. Semmai si può notare che il timbro «stra-ordinario» di Duel, essendo così bilanciato da quello realistico non permette di raggiungere quella forza della metafora metafisica che faceva grande Figures in the landscape di Losey () al quale per alcuni versi si avvicina.
A parte questo appunto, merito di Spielberg è quello di avere preferito il suggerimento all'enunciazione, per coinvolgere lo spettatore in una rappresentazione, in un certo modo anche «spettacolare», dalla quale sia possibile trarre una serie di problematiche (come appunto la solitudine esistenziale, la disumanizzazione conseguente all'imporsi della logica delle cose e delle macchine sull'uomo, la lotta contro l'ignoto, il male, il potere) in estrema libertà, in maniera non «autoritaria», come direbbero gli amici di Filmcritica, così che possa essere il pubblico stesso ad individuarne il significato prevalente. La «materialità» del film è da scoprire sotto il modello di una semplicità stilizzata: più che all'evidenza del discorso concreto, i temi dell'opera sono affidati all'efficacia delle immagini polivalenti. Ed alcune di esse creano momenti di intensa bellezza: David che si addormenta in macchina, protetto da un cimitero delle automobili (la calma delle macchine «morte» contrapposta alla malvagità della macchina «viva»); la scena del camion che precipita nel burrone in un assordante frastuono metallico ma che sembra emettere anche un barrito di morte, quasi fosse un animale preistorico; le sequenze conclusive del relitto che gocciola sangue in fondo al baratro e di David immerso nella luce di uno «strano» tramonto. Un elaboratissimo montaggio dà al film una tensione sempre crescente, mentre un'eccellente fotografia ed un'appropriato commento musicale costituiscono i pregi formali di quest'opera inconsueta ed affascinante. E, ancora una volta, parte di questo fascino promana dall'intelligente incontro del «fantastico» con il «politico».
Autore critica:Vittorio Giacci
Fonte critica:Cineforum n. 127
Data critica:

10-11/1973

Critica 3:
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