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Uccellacci e uccellini -

Regia:Pier Paolo Pasolini
Vietato:No
Video:L'Unità, Ricordi
DVD:Medusa
Genere:Fantasy
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Pier Paolo Pasolini
Sceneggiatura:Pier Paolo Pasolini
Fotografia:Mario Bernardo, Tonino Delli Colli
Musiche:Ennio Morricone
Montaggio:Nino Baragli
Scenografia:Luigi Scaccianoce
Costumi:Danilo Donati
Effetti:
Interpreti:Totò (Totò Innocenti/Frate Ciccillo), Ninetto Davoli (Ninetto Innocenti/Frate Ninetto), Femi Benussi (Luna), Renato Capogna (Una canaglia), Umberto Bevilacqua, Rossana Di Rocco (Amica di Ninetto), Pietro Davoli (Una canaglia), Rosina Moroni (Una donna al casolare), Lena Lin Solaro (Urganda), Gabriele Baldini (Il dentista dantista), Riccardo Redi (Ingegnere), Francesco Leonetti (Voce del corvo), Lina D'amico, Cesare Gelli, Vittorio La Paglia, Alfredo Leggi, Renato Montalbano, Mario Pennisi, Flaminia Siciliano, Fides Stagni, Giovanni Tarallo, Vittorio Vittori
Produzione:Arco Film
Distribuzione:Cineteca Nazionale - Cineteca dell’Aquila - Cd Videosuono - Ab Video - Ricordi Video - Bmg Video - L'unità Video (Parade)
Origine:Italia
Anno:1966
Durata:

88'

Trama:

Totò e suo figlio Ninetto si mettono in cammino, nei dintorni di Roma, per raggiungere una cascina e minacciare lo sfratto a della povera gente che non paga il canone e si ciba di nidi di rondine. Durante il cammino i due parlano di vita e di morte con un corvo parlante, un petulante e saccente ospite autoinvitato, sedicente intellettuale marxista vecchia maniera. Il racconto del corvo induce padre e figlio a rivestire il saio francescano, divenendo rispettivamente Frate Ciccillo e Frate Ninetto, per ripetere agli uccelli la predica di San Francesco. Con una certa fatica e lunghissima preparazione spirituale, Frà Ciccillo riesce a farsi ascoltare dai falchi e dai passerotti, facendo loro accettare il messaggio di Dio, senza però far desistere i rapaci dalle loro sanguinose abitudini. Ripreso il cammino in abiti borghesi, i due s'imbattono nei funerali di Togliatti, in manifestazioni popolari e in una prostituta. Continuano a camminare e a parlare: finchè, sentendo fame, uccidono il corvo per il loro pasto.

Critica 1: Quando si stancano delle sue chiacchiere, lo mangiano. Film-saggio di stimolante originalità, il quarto film lungo di P.P.P., operetta poetica nella lingua della prosa, propone in brevi favole e in poetici aneddoti una riflessione sui problemi degli anni '60: crisi del marxismo, destino del proletariato, ruolo dell'intellettuale, approssimarsi del Terzo Mondo. Con la sua divagazione evangelico-francescana, è anche un apologo umoristico che in alcuni momenti ha l'umiltà e la densità del capolavoro. Premiato al Festival di Cannes.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:È (…) ancora una volta l'opera più intensa dello scrittore, l'antico volumetto delle Ceneri di Gramsci, a costituire la base organica di Uccellacci e uccellini, perché è in quel dialogo tra ombre e realtà che si colloca il motore d'una ripresa del tema storico e politico e morale e personale. Pasolini non sarà capace di ritrovare gli accenti di assoluta sincerità di quel periodo troppo usurato dagli anni. Infatti il tono del presente sarà più autocommiserante, la trama sicura, il colore più stinto. Proprio per questo in Uccellacci e uccellini sarà possibile cogliere il primo segno della vecchiaia, un timore del deterioramento fisiologico, una infelice coscienza del giorno che muore. A due anni di distanza dal Vangelo, il nuovo film viene a confermare la gravità di una crisi radicale, non più procrastinabile.
La Resistenza, non quella splendida di sole ma quella ormai rientrata e tradita, costituisce il fantasma invisibile della oscillazione traumatica delle scelte. La speranza che essa ha alimentato si trascina stancamente per morire in un tratto di strada accanto alla quale potrebbero passare, senza accorgersi di niente, tutti i Totò e i Ninetti del mondo (…).
L'intellettuale prende coscienza delle proprie aporie e le allinea di fronte a tutti, le svende attraverso il cantilenare di una favola alla cui porta il mondo bussa senza interruzione. Perché il tribunale che giudica è lo stesso che si contorce nella crisi e perché l'ideologia non riesce a condannare definitivamente se stessa, anche se è pronta a farsi divorare per esistere ancora. La strada degli anni '60 conduce non si sa dove, eppure sappiamo dove comincia: se Innocenti Totò e Innocenti Ninetto la percorrono, essi non possono che andare “laggiù”, dove c'è una lontana alba che non può più promettere niente, dove per arrivare è necessario avere la pancia piena, magari della coriacea carne di un corvo-marxista troppo dogmatico per poter essere assimilato.
La realtà, Pasolini lo dichiarerà più volte, non ometta interruzioni. Per essere amata deve esserlo in tutta la sua interezza: è in questo senso che la volontà di deviare la natura verso la storia è illusione di corvi che camminano dietro al sottoproletariato aspettando la morte. Posizione clamorosamente reazionaria, che comunque testimonia la radicale sincerità dell'autore dinanzi alle nuove problematiche. La crisi che egli vive in modo pubblico, con una punta di godimento autoflagellante, non deve relegare in secondo piano la ricchezza di questa rinuncia, cioè il senso critico e antistituzionale che la muove. Infatti, il corvo-Pasolini è anche un anarchico e un poeta beatnik, uno spirito libero e dolce, oltre che, anche lui, un emarginato dai fatti che lo hanno condannato (…). Non può essere divorato perché le sue colpe sono infinite e perché il suo mandato è scaduto, ma dovrà anche essere in qualche modo assimilato perché lascia nello stomaco qualcosa di positivo e ormai fatto storia. Quando le sue penne bruciacchiate restano a terra e Totò e Ninetto riprendono la loro strada, la sua fine deve essere un addio penoso e nello stesso tempo un sollievo e una liberazione. Quando Totò decide di farlo fuori deve appunto rendersi conto che “tanto se non lo mangiamo noi se lo mangia qualcun altro”.
Nel grigiore sgranato di un paesaggio irreale, privo di riferimenti, a tratti metafisico, accade che la storia finisca, e indichi vettorialmente un altro orizzonte dove poter ricominciare a vivere. I cartelli segnaletici, Istambul km 4.253, Cuba km 13.257, non lasciano dubbi: il terzo mondo si prepara a farsi protagonista. Anzi, le sue avanguardie già sono in marcia e l'istinto mortuario e decadente della società occidentale è definitivamente sconfitto dall'istinto di vita delle nuove genti. Il messianismo, che si riverbera anche nella produzione poetica dello stesso periodo, e la volontà di diventare il vate del nuovo (antica tabe del letterato italiano) imprimano una svolta angosciosamente confusa all'ideologia pasoliniana, nella quale ora interessa più ciò che si lascia che non ciò che si acquista. È la nota dolente e a tratti disperata di quanto si è perduto che rappresenta l'autentica forza della nuova poetica e non il desiderio di redenzione politica e di ambigua palingenesi che la rende invece discutibile.
Una estrema fuga: ecco la peculiarità di questo errore in cerca di realizzazioni concrete per il proprio caduto fideismo politico. In tal senso tutta la prima parte di Uccellacci e uccellini ha la densità e l'umiltà del capolavoro. Indimenticabili l'inizio del viaggio e l'incontro con il corvo, la scena del povero suicidio e l'allegria irridente di Ninetto, il mesto filosofare dei due protagonisti sulla carreggiata di un'autostrada sospesa tra cielo e terra (…)
In questo film tutti perdono un autobus o comunque trovano difficoltà a partire, i ragazzetti, i saltimbanchi, Totò e Ninetto. Oppure non si accorgono di quello che succede alle loro spalle: guardano sempre avanti. Quando la fila dei militanti attraversa il quadro cantando la vecchia canzone partigiana, i due Innocenti sono voltati a guardare la rappresentazione teatrale improvvisata dai girovaghi e lestamente trasformata in realtà dal miracoloso parto della donna. Solo i funerali di Togliatti hanno la frontalità dell'avvenimento che lascia ammutoliti ma che non si può non guardare in faccia. Così come lo guardano in faccia le donne piangenti, i vecchi rugosi che alzano il pugno, i giovani incapaci di sapere tutto ma ugualmente travolti dall'omaggio epico del regista alla morte che realizza definitivamente l'uomo e, chissà, forse lo condanna. (…)
Autore critica:Sandro Petraglia
Fonte critica:Pier Paolo Pasolini, Il Castoro Cinema
Data critica:

7-8/1974

Critica 3:Non ho mai "messo al mondo" un film così disarmato, fragile e delicato come Uccellacci e uccellini. Non solo non assomiglia ai miei film precedenti, ma non assomiglia a nessun altro film. Non parlo della sua originalità, sarebbe stupidamente presuntuoso, ma della sua formula, che è quella della favola col suo senso nascosto. Il surrealismo del mio film ha poco a che fare col surrealismo storico; è fondamentalmente il surrealismo delle favole (...). Questo film che voleva essere concepito e eseguito con leggerezza, sotto il segno dell'Aria del Perdono del "Flauto Magico", è dovuto in realtà a uno stato d'animo profondamente malinconico, per cui non potevo credere al comico della realtà (a una comicità sostantivale, oggettiva). L'atroce amarezza dell'ideologia sottostante al film (la fine di un periodo della nostra storia, lo scadimento di un mandato) ha finito forse col prevalere. Mai ho scelto per tema di un film un soggetto così difficile: la crisi del marxismo della Resistenza e degli anni Cinquanta, poeticamente situata prima della morte di Togliatti, subita e vissuta, dall'interno, da un marxista, che non è tuttavia disposto a credere che il marxismo sia finito (il buon corvo dice: "Io non piango sulla fine delle mie idee, perché verrà di sicuro qualcun altro a prendere in mano la mia bandiera e portarla avanti! È su me stesso che piango..."). Ho scritto la sceneggiatura tenendo presente un corvo marxista, ma non del tutto ancora liberato dal corvo anarchico, indipendente, dolce e veritiero. A questo punto, il corvo è diventato autobiografico, una specie di metafora irregolare dell'autore. Totò e Ninetto rappresentano invece gli italiani innocenti che sono intorno a noi, che non sono coinvolti nella storia, che stanno acquisendo il primo jota di coscienza: questo quando incontrano il marxismo nelle sembianze del corvo. La presenza di Totò e Ninetto in questo film è il frutto di una scelta precisa motivata da un'altrettanto precisa posizione nell'ambito del rapporto tra personaggio e attore. Ho sempre sostenuto che amo fare film con attori non professionisti, cioè con facce, personaggi, caratteri che sono nella realtà, che prendo e adopero nei miei film. Non scelgo mai un attore per la sua bravura di attore, cioè non lo scelgo mai perché finga di essere qualcos'altro da quello che egli è, ma lo scelgo proprio per quello che è: e quindi ho scelto Totò per quello che è. Volevo un personaggio estremamente umano, cioè che avesse quel fondo napoletano e bonario, e così immediatamente comprensibile, che ha Totò. E nello stesso tempo volevo che questo essere umano così medio, così "brava persona", avesse anche qualcosa di assurdo, di surreale, cioè di clownesco, e mi sembra che Totò sintetizzi felicemente questi elementi.
Autore critica:Pier Paolo Pasolini
Fonte critica:Capolavori italiani, L'Arca società editrice de "l'Unità"
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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