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Mac - Mac

Regia:John Turturro
Vietato:No
Video:Panarecord
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Il lavoro, Migrazioni
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Brandon Cole, John Turturro
Sceneggiatura:Brandon Cole, John Turturro
Fotografia:Ron Fortunato
Musiche:Richard Termini, Vin Tese
Montaggio:Michael Berenbaum
Scenografia:Robin Standefer
Costumi:
Effetti:
Interpreti:John Turturro (Mac Vitelli), Michael Badalucco (Vico Vitelli), Carl Capotorto (Bruno Vitelli), John Amos (Nat), Ellen Barkin (Oona), Katherine Borowitz (Alice Vitelli), Dennis Farina (Signor Stunder), Steven Randazzo (Gus), Nicholas Turturro (Tony Gloves)
Produzione:World Film Inc.
Distribuzione:Mikado
Origine:Usa
Anno:1992
Durata:

109’

Trama:

Ambientata negli anni '50, nel quartiere Queens di New York, la storia di una famiglia di origine italiana e di tre fratelli: uno per tutti, tutti per uno. La loro vita di operai, per di più immigrati, è durissima: ma alla morte del padre, spronati da Mac, il maggiore, che identifica la libertà con il costruire qualcosa di proprio, i tre fratelli si ribellano al capo cantiere polacco che specula su materiali di scarto e pensa solo al guadagno. Rischiando tutti i loro averi, riescono a comprare un lotto e a mettersi in proprio, per forgiarsi un futuro che li affranchi da miserie e umiliazioni. Costretti a scelte difficili che riguardano un patrimonio ereditario di valori e tradizioni, tengono duro perché sono uniti. Ma con il passare del tempo, il patto non regge alle prove della vita, delle rivalità, delle insofferenze. E la separazione, per Mac sinonimo di tradimento, è inevitabile. Lui che ha sacrificato tutto alla "bellezza del fare", che ha messo forza fisica e slancio vitale al servizio di un sogno, è condannato alla solitudine e al fallimento della buona fede.

Critica 1:Americano di origine pugliese, John Turturlo (1957) è uno degli attori emergenti di Hollywood. Fatto un solido apprendistato sul palcoscenico (Ionesco, Shakespeare, Brecht, oltre a testi di americani contemporanei tra cui il suo attuale cosceneggiatore Cole), ha lavorato al cinema in piccole parti con i migliori registi degli Anni 80 (Scorsese, Allen, Seidelman, Friedkin, Howard, Cimino) finché‚ negli ultimi anni s'è imposto anche all'attenzione del pubblico. Dopo essere stato premiato l'anno scorso come miglior attore per Barton Fink, con Mac, esordio nella regia, ha vinto la Camera d'or per la migliore opera prima a Cannes,. E' il brutto anatroccolo che, con energia e talento, è arrivato in cima alla scala. Con Mac si direbbe che Turturro abbia voluto regolare i conti (una volta per sempre) con il passato, con le proprie radici. Il suo film è un omaggio appassionato al padre carpentiere, e a tutta una generazione di emigranti italiani, polacchi, europei. E', però, un omaggio critico. (…) Bastano due battute per suggerire il tono di Mac: "Non ci sono che due modi di fare le cose: quello giusto e il mio. E coincidono" - "Sai che cos'è la felicità? Amare il tuo lavoro. Pochi lo sanno, perciò vanno in vacanza, ma è la verità. Se detesti il tuo lavoro, detesti la tua vita. E io l'amo, la mia vita". L'azione si svolge nei primi Anni 50, nel quartiere Queens di New York. Fondato sulla fisicità del lavoro manuale, Mac è un altro film sul "sogno americano" (i suoi alti costi e le sue dinamiche), sulla divisione della società in classi, sull'altra faccia della concezione familistica della vita che regge la comunità italiana. […] La lezione di Scorsese si sente, soprattutto nella bella sequenza d'apertura sui funerali del padre, ma s'avverte anche quella dei Coen in una certa inclinazione alla deformazione espressionistica dello sguardo, nella concitata direzione degli attori. Un po' didattico, qua e là greve nel suo schematismo ma senza concessioni alla nostalgia né al sentimentalismo, Mac ha un'onestà di fondo e un assillo di autenticità che ne riscattano l'acerbità.
Autore critica:Morando Morandini
Fonte criticaIl Giorno
Data critica:



Critica 2:In fondo è del tutto irrilevante che la MGM abbia fatto una proiezione privata di Mac per Mario Cuomo. Che progetti di farne un'altra per il Congresso e quindi per Hillary e Bill. È irrilevante che Turturro abbia già fatto il giro dei college. La clintonite è una malattia recente e nel pieno del suo vigore, l'aria che si respira negli Usa è probabilmente diversa rispetto a quella dell'era reaganiana, ma questo non è un film di sinistra. O meglio, il fatto che parli di operai non lo qualifica automaticamente come film di sinistra. Se caschiamo in questa classificazione non c'è rimedio: si arriva al muro di Berlino, passando per Blue Collar e quindi per Riff Raff.Tutte cose che hanno poco a che vedere col film di Turturro. Semma Mac è un film di sinistra perché mostra il lavoro al lavoro. Mostra l'attimo inimitabile della trasformazione dei materiali, mostra il fascino della creazione. Osservare il lavoro era un vecchio trucco del cinema sovietico, come ogni pensionato, strategicamente appostato attorno a un cantiere, saprebbe ampiamente dimostrare. Il lavoro è un atto d'amore: per queste è osceno e per questo è vietato fare riprese nelle fabbriche. (…) E quindi torniamo alle radici, al vecchio cinema sovietico, quello che apprezzava la poesia di un altoforno, l'eb-brezza di una mietitura, la sottigliezza di una semina. Si chiude un cerchio, ma se ne apre un altro che è quello tra Europa e America, come diceva Dennis Hopper nel retrobottega del corniciaio Zimmerman: «Mi piace questo ambiente, c'è un'atmosfera calda. C'è pace e silenzio. È come lei. La invidio molto. Il profumo del legno. Deve essere bello lavorare qui. E ogni volta che finisce un lavoro vede la sua opera». In questo senso Mac è effettivamente un film antireaganiano, un film da New Deal ma senza retorica o miracoli, totalmente italoamericano ma senza folklo-re, un film che sembra fatto nel retrobottega di un corniciaio europeo.
E la lavorazione lo conferma: Turturro ha incominciato a provare in teatro con dei suoi amici (Cole, Ba-dalucco, Capotorto) quindi ha prodotto con loro dei brevi filmati da usare per la campagna di finanzia-mento. Tutti (quasi tutti) gli hanno risposto che la cosa si poteva fare a patto di trovare un buon regista e due o tre nomi di richiamo come attori. Il risultato è che il film se l'è diretto da solo e gli attori protagonisti si chiamano Badalucco e Capotorto. Farò della retorica (ma l'ha già fatta Frédéric Strauss sui «Cahiers» 457): questo film è costruito così come il padre di Turturro costruiva le case.
Ecco, se proprio qualcuno vi chiede di cosa parla Mac, potete dire tran-quillamente che parla di tutto questo.
Parla di tutto questo, ma in una maniera anomala. Voglio dire che il nucleo è l'amore per il lavoro come dichiara Turturro quando cercando di sedurre Alice, invece di dirle parole dolci, le parla del suo lavoro. Ma l'andatura (allure) è tutt'altra ed è comunque molto distante dalla musicalità godardiana. Mac è la storia di un animale irragionevole (…), di una passione travolgente e sospetta e quasi prossima all'antipatia. Ci vuole tutto il coraggio di Alice per stare vicino a un fanatico come Turturro, tant'è vero che l'abbandono finale da parte dei fratelli è quasi sacrosanto. Tanto irragionevole da ricordare tutti i migliori momen-ti di quella bestia di De Niro (e quindi del cinema degli ultimi venti anni). Con il sublime contorno di un Michael Badalucco travestito da Joe Pesci e un Carl Capotorto for-mato Ray Liotta. Insomma c'è qual-cosa di Scorsese dietro l'angolo: il senso della famiglia naturalmente, con quella mamma sempre fuori campo (in italiano nella versione originale); quei tagli improvvisi sulla quotidianità, con Turturro sulla tazza del cesso, mentre Capotorto è immerso nella vasca e Badalucco si fa la barba. E soprattutto quella soggettiva iniziale, davanti alla salma del babbo, una soggettiva capace di scostare da sola le ten-dine della stanza e di ricordare l'ingresso di Liotta nel night in Goodfellas. Ma ancor di più c'è una buona dose di Coen con la camera che fa la barba all'asfalto della strada come in Qualcosa di travol-gente, ma qui con un'assonanza di-retta alla rasata sulla gettata di cemento dei titoli di testa. Per non dire della rissa col polacco, qui molto più fisica, per nulla verbale, che comunque non può non far tornare in mente la doppia passeggiata nel bosco di Crocevia della morte («Look into your heart, look into your heart, don't shoot me»). Insomma Turturro per la sua opera d'esordio ricopia i registi con i quali ha lavorato come attore o comunque quelli che lui stima. A qualcuno bisogna pur paragonarsi, come diceva ance Woody Allen parlando di Dio.
Se la vita è un romanzo, allora il romanzo cos'è - si chiedeva Novalis. Se la vita fosse un romanzo allora Julien (Trintignant) sarebbe colpevole - diceva in Finalmente domenica l'avvocato Clément che, essendo lui il colpevole. sapeva già perfettamente la risposta. Se la vi-ta del padre di Turturro fosse stata un romanzo il finale non sarebbe stato così moscio e deludente. E la risposta l'abbiamo sul nero dei titoli di coda. La segreteria telefonica dice: «John sei a casa? perché non ti trovo mai a casa? se ascolti questo messaggio telefonami a casa o al lavoro». Il fatto che la vera voce del padre di Turturro chiuda il film dovrebbe già mettere in allarme. Il fatto che nel suo ultimo messaggio parli ancora di lavoro è solo una conferma. Quel pazzo scriteriato che fa da protagonista al film, quello che ha lavorato fino all'ultimo, quello che telefonava invano al figlio aspirante attore, prossimo al successo, è la vera ragione di tutto. E quando uno fa un film per colpa di un complesso di colpa, per togliersi dalle orecchie l'ultimo messaggio della segreteria telefonica (John perché non sei mai in casa?), non può preoccuparsi d'altro. L'unica risposta che un figlio può dare è: «Papà sono occupato, sto facendo un film su di te e sulla famiglia e soprattutto sul lavoro». Quando si pagano i debiti di sangue non si può star dietro anche alle regole drammatiche.
Mac è un film con un capo, ma senza coda. I tre fratelli si dividono, Mac porta il bambino, zoppicante e con le scarpe slacciate, a vedere il frutto del lavoro. Se la vita fosse un romanzo avremmo tutt'altro finale e non questo così insignificante, inutile e anticlimax. Poi Turturro chiude tutto con la segreteria telefonica ovvero chiede scusa per aver parlato di qualcosa di così ba-nale e così privato come la morte di un padre. Quel che chiede è un po' d'indulgenza. Non so voi, ma io sono pronto a concedergliela. In fondo ci ha mostrato i titoli di testa più eccitanti degli ultimi anni, ci ha mostrato la sensualità del lavoro, il feticismo per la terra, l'odore del legno e il colore del cemento. Se poi il film termina con un calo di pressione post-coito, non è un guaio, è solo un fatto fisiologico.
Autore critica:Gualtiero De Marinis
Fonte critica:Cineforum n.322
Data critica:

3/1993

Critica 3:
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Fonte critica:
Data critica:



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