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Figlio unico (Il) - Hitori Musuko

Regia:Yasujiro Ozu
Vietato:No
Video:Biblioteca Rosta Nuova
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:James Maki
Sceneggiatura:Tadao Ikeda, Arata Masao
Fotografia:Shojiro Sugimoto
Musiche:Ito Senji
Montaggio:
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Ryu Chhishu (Okubo), Shinichi Himori (Ryosuke), Choko Iida (Nonomiya Otsune), Bakudan Kozo (suo figlio),Tokkan Kozo (Tomibo), Hayama Masao (Ryosuke bambino), Sakamoto Mitsuko (Otaka), Naniwa Tomolo (sua moglie), Tsubouchi Yoshiko (Sugiko)
Produzione:Shochiku Afuna
Distribuzione:Non reperibile in pellicola
Origine:Giappone
Anno:1936
Durata:

83'

Trama:

È la storia di Ryôsuke, che ha passato l’infanzia con la madre, pronta ad ogni sacrificio per procurargli un avvenire migliore. Ma quando la donna va a visitarlo a Tokyo dopo tredici anni di lontananza, scopre con immensa delusione che il figlio esercita la professione di insegnante serale in un’umile scuole e vive con la sua piccola famiglia in una desolata periferia…

Critica 1:Figlio unico è uno dei film piú amari del cinema di Ozu degli anni '30, ancora piú di Sono nato, ma..., dove la lievità del tocco mitigava parzialmente i toni cupi. Il regista riprende la figura del sacrificio (quello di Otsune nei confronti del figlio Ryôsuke) per mostrarne l'inutilità, causata non dai crudeli giochi del destino, ma da una precisa realtà sociale. Assistiamo al fallimento degli ideali dell'epoca Meiji (1868-1912), quando si pensava che l'avvento della modernizzazione avrebbe sí costretto i giapponesi a modificare il sistema di vita tradizionale ma, nel contempo, avrebbe garantito a tutti un'occupazione e un piú alto tenore di vita. Invece, nel 1936 il 44 per cento dei diplomati e dei laureati era senza lavoro. Il fallimento di Ryôsuke è il segno di una piú generale crisi sociale. Dominano immagini di tristezza e desolazione. La campagna appare come una realtà disgregata dove al lavoro nei campi si sostituisce quello in piccole fabbriche che si reggono sullo sfruttamento della manodopera femminile. La desolazione della campagna la si ritrova ingigantita, nella grande metropoli: la Tokyo di Figlio unico è una squallida periferia fatta di erbacce, campi abbandonati, case cadenti e sgangherate, tristi capannoni industriali, inceneritori di immondizie. Le visite della madre e del figlio nei principali centri della città sono accuratamente poste in ellissi.
Il pessimismo e i toni desolati si manifestano nella lontananza dal luogo natio, nel distacco tra figlio e madre, nelle dure condizioni di vita tanto in campagna che in città, nella vanità del sacrificio, nella fine delle illusioni, in un clima complessivo assai lontano dal dominante orientamento della Shôchiku e del suo direttore Kido Shirô che della speranza e dell'ottimismo avevano fatto una bandiera. Va però aggiunto che in almeno due occasioni Figlio unico mitiga il clima di amarezza generale: da una parte attraverso la generosità di Ryôsuke che senza esitare presta il suo denaro alla madre del bambino ferito dal cavallo, e dall'altra grazie alla decisione finale di rimettersi a studiare per migliorare la propria posizione. Se il primo dei due fatti rientra in quel generale umanesimo che costituisce il punto di confluenza delle intenzioni di Ozu e di Kido, il secondo sembra solo una dichiarazione di buona volontà che difficilmente potrà realizzarsi nel contesto storico e sociale descritto dal film.
La "rivelazione", una delle figure chiave del cinema di Ozu agli anni '30, appare anche in Figlio unico, dove si scompone addirittura in tre diversi momenti. Anzitutto in apertura, quando Otsune scopre che Ryôsuke le ha mentito affermando di non aver detto al maestro di voler continuare gli studi. Scoperta che genera la consueta reazione violenta (la madre che schiaffeggia il figlio), seguita da un atteggiamento di comprensione e di accettazione. La seconda rivelazione, piú articolata, riguarda la modesta realtà di Ryôsuke a Tokyo. La reazione di Otsune è piú graduale, sebbene non meno dura, e culmina nel doppio clima delle scene dell'inceneritore e della veglia notturna in casa di Ryôsuke, quando il figlio tenta di giustificarsi e la madre lo rimprovera aspramente per aver smesso di lottare. L'ultima rivelazione concerne la generosità di Ryôsuke, nell'episodio del bambino ferito, che attenua l'amarezza di Otsune e induce lo spettatore a chiedersi se forse non sia proprio tale generosità ad aver impedito l'affermazione sociale del giovane.
Una figura chiave dell'Ozu della maturità, che Figlio unico anticipa in attesa di C'era un padre (1941), è quella del distacco tra figli e genitori. Qui è provocato dall'evoluzione in senso industriale e moderno della società, che spinge i giovani ad abbandonare la campagna per cercar fortuna nella metropoli. Sono inoltre evidenti i segni dell'invasione della cultura tedesca nel Giappone nazionalista: dal manifesto turistico in casa di Ryôsuke su cui campeggia la scritta « Germany » al film sulla vita di Schubert che lo stesso Ryôsuke va a vedere con la madre: Leise flehen meine Lieder (Willy Forst, 1933).
Il climax drammatico del film si sviluppa lungo tre scene che si succedono senza soluzione di continuità. La prima si svolge davanti all'inceneritore delle immondizie. La seconda è costruita sul montaggio a incastro di Ryôsuke a scuola e della madre a casa. La terza ha luogo quella stessa notte, durante la veglia in casa della madre e del figlio. Limitiamoci all'analisi delle caratteristiche principali. La scena dell'inceneritore si apre sui singolari paralleli formali fra le linee verticali delle ciminiere e le figure di Ryôsuke e Otsune. Nel desolato paesaggio, i due si siedono assumendo pose parallele e il figlio chiede alla madre se non è delusa di ciò che ha scoperto a Tokio. L'autocommiserazione di Ryôsuke assume toni drammatici: «Mi sono rassegnato a una vita mediocre. Non avrei mai dovuto lasciare il mio paese». Ma ecco, nel momento di massima desolazione, interviene la natura con funzione consolatrice, tramite un canto d'allodole cui seguono due inserti in soggettiva del cielo verso il quale guardano prima il figlio e poi la madre. La seconda scena è giocata sull'atto del pensare: prima Ryôsuke a scuola, poi la madre a casa e, a chiudere, ancora Ryôsuke a scuola. L'atto del pensare diventa, con questa scena, uno dei motivi piú cari a Ozu. Non conta tanto ciò su cui i personaggi riflettono, che è forse fin troppo palese, quanto l'atto in sé, che si trasforma in un invito alla riflessione rivolto agli spettatori. Le inquadrature della scuola sfruttano l'effetto sonoro prodotto dal rumore delle matite con cui gli studenti scrivono il compito, e un effetto di luce creato dal riflesso intermittente di un'insegna al neon che si accende e si spegne in strada accanto alla finestra dell'aula. Il doppio effetto si fonde mirabilmente, nelle inquadrature dedicate alla madre in casa, in un unico effetto sonoro, quel ticchettio dell'orologio che riprende il rumore delle matite sovrapponendovi la ritmicità evocata prima dall'intermittenza della luce. La terza scena, infine, descrive il duro confronto tra madre e figlio. Ancora lunghe inquadrature sono dedicate alla madre immersa nei suoi pensieri. Il figlio le si avvicina e tenta di giustificare la mediocrità della sua esistenza. Ma la replica della donna non gli lascia via di scampo: «L'ostacolo maggiore è la tua vigliaccheria... Non sono rimasta delusa dalla tua povertà, ma dalla tua totale mancanza di coraggio». Ai piani ravvicinati dei due, si alternano semitotali con la cinepresa al di qua dei fusuma (porte scorrevoli) che mettono in campo la moglie di Ryôsuke, stesa sul futon (materassino). Sono inquadrature che preparano il momento in cui la donna si siederà per ascoltare le parole dei due, assumendo una posizione perfettamente parallela a quella del marito. La progressione drammatica e i sentimenti dei personaggi (espressi dal pianto della moglie, dal viso contratto di Ryôsuke, dal silenzio della madre) si purificano nella transizione finale che da una inquadratura del bambino addormentato passa a una della stanza vuota di Otsune. I pianti fuori campo a poco a poco cessano sostituiti dal ticchettio di un orologio. Molto lentamente - il piano dura più di 50 secondi - l'immagine si fa sempre piú chiara, a indicare il sopraggiungere dell'alba e l'inizio di un nuovo giorno.(…)
Autore critica:Dario Tomasi
Fonte criticaOzu Yasujiro, Il Castoro Cinema
Data critica:

1-2/1991

Critica 2:
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Fonte critica:
Data critica:



Critica 3:
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Libro da cui e' stato tratto il film
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