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Gusto del sake’ (Il) - Sanma No Aji

Regia:Yasujiro Ozu
Vietato:No
Video:Biblioteca Decentrata Rosta Nuova, visionabile solo in sede
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Noda Kogo, Yasujiro Ozu
Sceneggiatura:Noda Kogo, Yasujiro Ozu
Fotografia:Yuharu Atsuta
Musiche:Saito Kojun
Montaggio:Yoshiyasu Hamamura
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Kato Daisuke (Sakamoto Yoshitato),Tono Eijiro (Sakuma "Il Tasso"), Sugimura Haruko (Tomoko), Sada Keiji (Koichi), Miyake Kuniko (Nobuko), Okada Mariko (Akiko),Tamaki Misoyo (Tamako), Nakamura Nobuo (Kawai Shuzo), Maki Noriko (Taguchi Fusako), Chishu Ryu (Hirayama Shuhei), Kita Ryuiji (Horie Shin), Iwashita Shima (Hirayama Michiko), Mikami Shin'ichiro (Kazuo),Yoshida Teruo (Miura Yutaka)
Produzione:Shochiku
Distribuzione:Non reperibile in pellicola
Origine:Giappone
Anno:1962
Durata:

113'

Trama:

Nella zona industriale di Kawasaki Shuhei Hirayama (C. Ryu), ex dirigente d'azienda e vedovo, vive tranquillamente con la ventiquattrenne figlia Michiko (S. Iwashita) e il minore dei figli maschi. Quando si rende conto che Michiko sta sacrificando la sua vita per lui, Shuhei decide di darla in sposa. Dopo la cerimonia, confortato da una copiosa bevuta di sakè, rientra a casa sua, malinconicamente rassegnato alla solitudine.

Critica 1:Ultimo film di Y. Ozu (1903-63), e il sesto a colori. Vi riprende quel rapporto tra padre e figlia che già aveva analizzato in Tarda primavera (1949) e Tardo autunno (1960), ma con significative varianti: il contrappunto di commedia ironica a una narrazione di toni cupi nella rappresentazione della borghesia giapponese avviata al benessere e al consumismo e la tipizzazione dei personaggi femminili, ormai lontani dall'immagine della donna passiva proposta da molto cinema classico giapponese e dallo stesso Ozu. È un altro film in cui, più del fugace presente, contano il passato e il futuro, la frustrazione acquista i colori della serenità e il dolore di vivere si trasforma in una rassegnazione a una normalità quasi banale.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Il soggetto di Il gusto del sakè ripropone quel rapporto tra un genitore vedovo e una figlia in età da marito che già era di Tarda primavera e Tardo autunno. Sebbene le concordanze fra i tre film siano evidenti (come confermano anche le chiare similitudini dei finali), Il gusto del sakè assume caratteristiche che lo differenziano dagli altri due: pensiamo alla rappresentazione ironica della vita della nuova famiglia media giapponese e alla tipizzazione dei personaggi femminili. Pur intessuto di toni piuttosto cupi,
a volte quasi disperati, il film non è privo di situazioni da commedia. Lo si vede soprattutto nella rappresentazione della vita quotidiana della giovane coppia formata da Kôichi e Michiko. Le liti fra i due sono il pretesto per un ironico ritratto dei miti della famiglia media giapponese, dove il desiderio della donna di possedere un frigorifero nuovo deve per forza scontrarsi con quello di lui di comprare un set di mazze da golf usate - status symbol essenziale di ogni buon sararîmen. Tutte le scene dedicate alla coppia, nel loro piccolo appartamento, vertono su questo contrasto irrisorio che rivela la mediocrità delle aspirazioni del mondo che rappresentano. Nella corsa al consumismo riaffiora lo sguardo caustico verso la società che era proprio dell'Ozu anni 30.
Se Kóichi appare un giovane timido e mite, che desidera le mazze da golf come un bambino potrebbe accarezzare il desiderio di possedere un oggetto proibito, Akiko è al contrario una donna risoluta, che gestisce direttamente l'economia familiare e non è certo disposta a cedere al marito lo scettro del comando fra le pareti domestiche. La risolutezza di Akiko la ritroviamo anche in Michiko, la figlia di Shûhei che, unica donna in casa, compie sí i suoi "doveri" domestici, ma in piú di una circostanza invita padre e fratello a sbrogliarsela da soli. In sostanza Akiko e Michiko rappresentano un modello femminile ben lontano dall'immagine della donna passiva proposta da molto cinema classico giapponese e a cui Ozu, in diverse circostanze, si era attenuto.
Se in Tarda primavera e Tardo autunno il rapporto tra genitore e figlia assumeva la dimensione quasi idilliaca di un legame fondato su affinità elettive, la relazione fra Shûhei e Michiko appare invece molto piú normale. La riluttanza di Michiko a sposarsi è per lo piú dovuta a una sorta di senso di responsabilità che nasce dalla coscienza delle difficoltà cui il padre e il fratelli andrebbero incontro se lei dovesse lasciare la casa. E questo aspetto cambia notevolmente l'assunto di fondo. In Tarda primavera e Tardo autunno l'intensità del legame tra genitore e figlia conferiva al distacco tra i due e alla conseguente solitudine del genitore un carattere particolare. Qui, al contrario, il distacco e la solitudine del padre si impongono indipendentemente dall'intensità del rapporto. In sostanza, nel disegnare la relazione fra padre e figlia come un rapporto normale, Ozu rafforza la centralità delle figure tematiche del distacco e della solitudine in sé e per sé, rappresentandole in forma generalizzata, senza che alcun elemento accessorio le riduca al caso particolare. Che la solitudine sia del resto il tema centrale lo si scorge a diversi livelli. Dall'insistenza dei dialoghi - le ultime parole di Shûhei sono: «Alla fine si resta soli» - al ricorso a personaggi che "doppiano" ipoteticamente il destino del protagonista, come il professore Sakuma e l'amico Horie, entrambi patetici nel loro futile tentativo di vincere la solitudine e la vecchiaia costruendosi un'esistenza insieme a donne molto piú giovani (la figlia per l'uno, la seconda moglie per l'altro). Distacco, solitudine e vecchiaia sono poi strettamente associati all'immagine della morte, come accade nella scena in cui, dopo il matrimonio, Shûhei, ancora in abito da cerimonia, si sente chiedere se è stato a un funerale - una battuta ripresa direttamente da Una locanda di Tokyo.
Inevitabile, dato il contesto tematico del film, il ricorso alla nostalgia, nelle scene dell'incontro col vecchio professore (che ora gestisce un povero ristorante, come accadeva a molti insegnanti nei film di Ozu dell'anteguerra), in quelle in cui la proprietaria del bar ricorda a Shûhei la moglie morta - un'idea che era già in Viaggio a Tokyo - e nell'uso della celebre canzone « Gunka machi », un vero e proprio successo degli anni di guerra, che ancora oggi si ascolta quotidianamente nelle vie di Tokyo davanti alle sale di pachinko. In generale, tuttavia, l'atteggiamento nostalgico verso gli anni di guerra - che, non dimentichiamolo, sono gli anni giovanili dei personaggi del film - si stempera in uno sguardo ironico, come mostra la conversazione fra Shûhei e un suo ex-commilitone in cui si immagina che, se il Giappone avesse vinto la guerra, i giovani di New York si sarebbero conciati i capelli come i samurai e avrebbero suonato lo shamisen masticando chewing-gum. Il tutto per concludere che forse è stato un bene che il Giappone abbia perso la guerra.
Il gusto del sakè ripropone un andamento narrativo assai caro a Ozu, che tuttavia, come spesso accade, adotta alcune varianti rispetto a un modello consolidato. Il carattere digressivo della narrazione non si afferma tanto nell'esordio (l'intreccio riguardante il matrimonio della figlia e il distacco dal padre, che è quello centrale, è dato infatti sin dalle prime battute del film), quanto in un secondo momento, allorché si introducono altri due intrecci (quello sul vecchio maestro e la figlia, che funge da parallelo all'intreccio principale, e quello del contrasto per le mazze da golf tra Kôichi e Akiko, che invece vanta uno statuto piú autonomo). Un ruolo centrale è ancora una volta assunto dalle ellissi. Valga per tutte quella che ci porta bruscamente dalla decisione di fissare un primo incontro tra Michiko e il suo ipotetico marito agli ultimi minuti che precedono la cerimonia nuziale (che ovviamente non vedremo, come non vedremo neanche lo sposo di Michiko). Ellissi che ha la chiara funzione di ribadire la centralità del personaggio di Shûhei.
Transizioni e inserti di notevole interesse aprono, attraversano e chiudono il film. Impossibile descriverli tutti. Citiamo almeno la lunga transizione dell'epilogo che da un'immagine di Shûhei ubriaco in casa sua, conduce, attraverso una serie di inquadrature, fino alla stanza del primo piano dove, in una scena precedente, Michiko si era vestita per la cerimonia nuziale, per tornare poi a Shûhei, ora piangente. Una transizione che ancora una volta copre un'ellissi giocata sul mutamento dello stato d'animo di un personaggio, come avveniva nella scena e del vaso in Tarda primavera, e del kimono in Tardo autunno. Ma anche una transizione giocata sull'ambiguo rapporto tra personaggio e istanza narrante: se infatti l'inquadratura della stanza dove Michiko si era vestita per la cerimonia nuziale può voler rappresentare il luogo a cui corre il pensiero del padre, gli altri, assai piú neutri e privi di significazione, rinviano alla presenza di un'istanza narrante che tende ad allontanarsi dal soggetto, a creare delle parentesi e dei vuoti nella narrazione, a generalizzarne i contenuti, a creare sospensioni che inducano lo spettatore a una partecipazione diversa all'avvenimento narrato, a un'osservazione piú cosciente e distaccata, sebbene non meno intensa sul piano emotivo.
Un'analoga funzione di formalizzazione e generalizzazione spetta ancora al quasi provocatorio uso di campi e controcampi con stacchi a 180 gradi e con la macchina da presa in posizione frontale rispetto ai volti dei personaggi. Montaggio il cui carattere astratto nasce dal sovrapporsi di immagini che presentano uno stesso disegno grafico. Lo si veda in particolare nella scena in cui Miura rivela a Kôichi di essere già fidanzato
con un'altra ragazza e di non potere accettare cosí l'offerta di matrimonio con Michiko. Il campo e controcampo gioca ancora una volta sull'alternanza di inquadrature di oggetti posti sul tavolo che divide i due amici. Tuttavia, la differenza fra le due serie di piani è data da un gioco di messa in campo e messa fuori campo di due bottiglie di birra sul tavolino, in modo tale che ad apparire in ogni inquadratura sia sempre una bottiglia diversa (che finisce però con l'occupare la stessa posizione, alla sinistra di chi sta parlando). In tal modo il rapporto fra le due inquadrature s'impernia sia su elementi speculari (i vari soggetti disposti sul tavolo, con l'eccezione delle bottiglie) sia su altri che si sovrappongono alla perfezione (le bottiglie di birra, appunto, e la posizione dei due personaggi). Se a tutto ciò aggiungiamo gli effetti di montaggio giocati sulle analogie di movimento e l'uso di piani ripetuti con una certa frequenza - come le inquadrature dell'ufficio di Shûhei che sembrano uscite da Fiori d'equinozio e Tardo autunno o come quelle del corridoio che porta alla cucina della casa del protagonista, che a loro volta citano esplicitamente inquadrature di Viaggio a Tokyo e Inizio d'estate - non possiamo non ribadire la coerenza di uno stile che sa guardare alle cose spogliandole della loro contingenza e proiettandole in un universo che, mediante palesi forme di stilizzazione, mira a coglierne l'essenza.
Autore critica:Dario Tomasi
Fonte critica:Ozu Yasujiro, Il Castoro Cinema
Data critica:

1-2/1991

Critica 3:
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Data critica:



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