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Settembre - September

Regia:Woody Allen
Vietato:No
Video:Columbia Tristar Home Video
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Woody Allen
Sceneggiatura:Woody Allen
Fotografia:Carlo Di Palma
Musiche:
Montaggio:Susan E. Morse
Scenografia:Santo Loquasto
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Denholm Elliott (Howard), Dianne Wiest (Stephanie), Mia Farrow (Lane), Elaine Stritch (Diane), Sam Waterston (Peter), Jane Cecil (Signora Raines), Rosemary Murphy (Signora Mason), Jack Warden (Lloyd), Ira Wheeler (Sig. Raines)
Produzione:Jack Rollins e Charles M. Joffe - Orion
Distribuzione:Non reperibile in pellicola
Origine:Usa
Anno:1987
Durata:

87’

Trama:

Un gruppo di persone passano alcuni giorni di vacanza in una villa del Vermont, legate come sono da vincoli o di parentela o di amicizia. Ne è proprietaria Lane, una giovane donna depressa, innamorata di Peter, uno scrittore, che tenta invano di finire una biografia su Diane, una ex-diva madre di Lane, presente con il secondo marito. Ma Peter non ricambia l'amore di Lane, essendo innamorato di Stephanie che di Lane è amica. Come se non bastasse, quest'ultima è amata da Howard, un vicino più maturo della donna. Nel giro di ventiquattr'ore, affetti, rancori e passioni emergono. L'anziana Diane pretende di installarsi con il coniuge nella villa, ma Lane, già in trattative per la vendita si ribella. Da troppo tempo ha subito l'oppressione e le imposizioni della madre che, avendo ucciso il primo marito, era riuscita ad evitare il carcere facendo accusare la figlla quattordicenne. Peter, prima di partire, cerca di insidiare Stephanie che piomba in uno stato di disagio e di smarrimento, sia per il tradimento che inesorabilmente va a compiere, sia per l'amicizia di Lane, che, sconvolta da ciò che accade attorno a lei, rifiuta anche l'affetto di Howard: venderà la casa, che pure ama tanto per andare a vivere a New York, desiderosa di rifarsi una vita e di dimenticare il suo opprimente passato.

Critica 1:Per due giorni e una notte in una villa del Vermont, alla fine d'agosto, sei personaggi si confrontano, si scontrano e soffrono. Il nucleo segreto della storia è un rapporto tra madre e figlia; il suo schema di base: A ama B che ama C che ama D. Sotto il segno della malinconia, questa convalescenza della tristezza dalle ombre troppo lunghe, è un dramma crepuscolare a mezze tinte e a porte chiuse di cui, pur lodandone l'esecuzione (la messinscena), molti critici hanno discusso il testo. Film d'atmosfera, documentario sui sentimenti, il 16 film di W. Allen ha 2 coautori: le luci e i colori di Carlo Di Palma e le vecchie nostalgiche musiche di Loesser, Berlin, Porter, Kern con Art Tatum e Bernie Leighton al piano.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Un piano sequenza dal ritmo lento ricrea cinematograficamente il rituale dell'epifania scenica e dell'attimo che la precede; al tempo teatrale dell'attesa - il sipario sul punto di levarsi - corrisponde qui il breve spazio percorso dall'obiettivo - un'anticamera vuota di voci e presenze - prima di giungere dentro la scena, un vasto soggiorno dove alcuni personaggi già recitano la fatale commedia umana dei rapporti e dei sentimenti. Un analogo movimento di macchina, a rotta invertita, abbandonerà in chiusura di film il luogo della rappresentazione, ritornando con perfetta circolarità in quello stesso atrio ancora una volta silenzioso e deserto. All'interno di questa rigorosa cornice che significativamente chiude la narrazione entro precisi confini spaziali e la definisce nella sua specificità, Woody Allen ha organizzato il set teatrale di Settembre, accolto in America, com'era del tutto prevedibile, con proterva irritazione e sbrigativamente liquidato da noi come buon esempio di teatro filmato seppure - si è voluto sottolineare - troppo manieristico e assai poco alleniano. (…)
Dunque: successivo a Radio Days intenzionalmente frammentario nello sfidare sul terreno dell'immagine un soggetto - la radio appunto - di per sé infilmabile, Settembre si presenta invece come un film unitario e compatto, rigidamente strutturato secondo un disegno di alta precisione, e paradossalmente, proprio l'evidente diversità linguistica che «slega» le due pellicole testimonia la determinata consapevolezza con la quale Allen interpreta e traduce secondo differenti registri narrativi, i modelli cui fa riferimento. Modelli che oggi, portata a radicale compimento l'indagine autoriflessiva sul cinema - ambiguo creatore di un universo fascinatorio dove irrimediabilmente tendono a confondersi e a mettersi reciprocamente in crisi i territori paralleli della realtà e dell'immaginario (La rosa purpurea) - egli attinge da altre forme della spettacolarità, da quella dimensione riproduttiva del reale insomma che da sempre s'impone come unico e insostituibile referente del suo processo di creazione artistica.
Ma a spiegare il perché dell'operazione teatrale di Settembre, in qualche modo addirittura prevedibile, concorre anche una sottile rete di rimandi che sembrerebbe suggerire un timido corteggiamento a distanza: in primo luogo le suggestioni europee del dramma borghese distribuite a piene mani in Annie Hall, Interiors, Manhattan, Hannah; la citazione shakespeariana di Una commedia sexy; le nostalgiche luci della ribalta di Broadway Danny Rose (che a loro volta rinviano alla figura di un Allen giovane, stand-up comedian di successo e scrittore non sempre fortunato per i palcoscenici broadwayani). Se si chiedono garanzie di autenticità d'ispirazione, c'è di che essere soddisfatti; quanto poi alle accuse di ricalco europeizzante, il regista gioca di contropiede ed è lui stesso a dichiarare esplicitamente - l'ha fatto in più di un'occasione - il proprio modello: Cechov, e la strizzata d'occhio è quella che si dà a un compagno di lunga data del quale si condivide il sentimento malinconicamente doloroso dell'esistenza.
Ma, a dieci anni di distanza da Interiors, non vale nemmeno più la pena di interrogarsi sul male e l'angoscia di vivere, tentare di rintracciarne le cause come facevano i personaggi di quel film intenti a rivoltarsi l'anima, la cui certa indubbia tragicità cedeva almeno allo sfogo nevroticamente affabulante, espressione di un confuso sentimento di non accettazione verso una condizione esistenziale peraltro immutabile. A dieci anni di distanza l'assurdità dell'esistenza conviene darla per scontata, ciò che conta sono i suoi effetti alla lunga distanza, le risposte che provoca, gli sforzi individuali per tenersi a galla; per evitare un naufragio del resto già avvenuto, perché in definitiva - come confessa Lane a Stephanie dopo aver accarezzato l'idea di un improbabile suicidio - «il vero problema è di voler comunque vivere», accettando perciò la sfida quotidiana di inghiottire silenziosamente la vita. Settembre, frutto di questa definitiva consapevolezza, si propone come osservazione fenomenologica della rassegnazione e della sopravvivenza, perciò al bisturi analitico ormai inservibile di quel primo e, per quanto è possibile ipotizzare, unico film dal registro esclusivamente drammatico, Allen ha sostituito la lente di ingrandimento dell'entomologo e da buon ricercatore ha creato le condizioni favorevoli alla propria indagine, il che, tradotto nei termini cinematografici di una scelta linguistico-narrativa, ha significato adottare, legittimandola, la formula della messa in scena teatrale, senz'altro la più funzionale allo scopo; di conseguenza, un «interiori rigidamente chiuso, rispettoso delle unità aristoteliche e sei personaggi uniti tra loro da legami familiari, affettivi o, più semplicemente, dal caso.
Uniti, il termine suona quasi beffardo; le creature dolenti di questo teatrino alleniano sono in realtà piegate su se stesse e irrimediabilmente sole, destinate a covare in segreto affetti non corrisposti oppure ad arretrare di fronte ad essi, perché gli intrecci sono sempre sbagliati o comunque impossibili (come quello tra Lane e la madre) e quegli affetti paiono piuttosto dei tentativi disperati di evadere da sé, di negare attraverso l'«altro» il proprio stato di solitudine esistenziale cui del resto frettolosamente si fa ritorno, rassegnati in partenza, dopo essersi graffiati il cuore ed aver aggiunto un ulteriore scacco alle già numerose personali sconfitte; si tira avanti, «tra qualche giorno sarà settembre». Li riconosciamo questi personaggi, sono quelli di Allen - e lui ce li propone con i volti dei suoi attori di sempre - individui fragili, insoddisfatti, incapaci di programmare secondo un senso definito la propria esistenza; se qui non raggiungono la dimensione del tragico è perché se la sono lasciata alle spalle per istinto di sopravvivenza, se non è loro concesso il conforto dell'ironia è perché la sofferenza séguita comunque ad essere troppo grande. Settembre, non a caso, viene dopo Interiors, dopo Hannah. Film intimista sul piano dei contenuti, dal punto di vista formale Settembre è un joke molto privato che rieccheggia la splendida operazione-travestimento di Zelig. Là si trattava - detto molto sbrigativamente - di spacciare la finzione cinematografica per realtà, con Settembre, nella nuova dinamica intermediale, di assumere all'interno della narrazione i meccanismi propri della messa in scena teatrale allo scopo di provocare un ribaltamento prospettico che «obblighi» a leggere il film come fosse una piéce di teatro; ma, ambiguità per ambiguità, quella piéce che esibisce con tanta intransigenza e scupolosa precisione la propria teatralità, Allen l'ha scritta per essere filmata, dal suo cinema naturalmente, sempre più camaleontico.
Autore critica:Marzia Milanesi
Fonte critica:Cineforum n. 274
Data critica:

5/1988

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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