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Anima divisa in due (Un') -

Regia:Silvio Soldini
Vietato:No
Video:20th Century Fox Home Entertainment
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Migrazioni, Minoranze etniche
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Silvio Soldini, Roberto Tiraboschi, da un'idea di Umberto Marino
Sceneggiatura:Silvio Soldini, Roberto Tiraboschi
Fotografia:Luca Bigazzi
Musiche:Giovanni Venosta
Montaggio:Claudio Cormio
Scenografia:Elvezio V. D. Meijden
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Fabrizio Bentivoglio (Pietro Di Leo), Maria Bako' (Pabe), Jessica Forde (Helene), Edoardo Moussanet (il piccolo Tommaso), Silvia Mocci (Lidia)
Produzione:Aran S.R.L. Darc (Italia) Intra Film (Dist. Int.)
Distribuzione:Cineteca Nazionale - Cineteca dell'Aquila
Origine:Italia
Anno:1993
Durata:

124'

Trama:

Pietro Di Leo, trentasette anni, vive e lavora a Milano. È impiegato nella sicurezza interna di un grande magazzino del centro. È separato dalla moglie, con un figlio di cinque anni che può vedere solo il fine settimana, e la sua vita va avanti per inerzia: è solo, insoddisfatto, perso. L'incontro con Pabe, una ragazza nomade colta in flagranza di reato, si trasforma dall'iniziale solita diffidenza in un desiderio di entrare in contatto con quella "diversità", per scoprire quanto inconciliabili siano due mondi così distanti tra loro, non solo in apparenza. Insieme con Pabe, Pietro concepisce la fuga. Viaggiano verso sud, lungo la costa italiana fuori stagione. Pabe deve lentamente adattarsi, cambiare aspetto, mentre inizia una storia d'amore che li porterà entrambi ad inventarsi un nuovo possibile modo di vita...

Critica 1:Strano rapporto protettivo e amoroso tra un "gagio" (sorvegliante in un grande magazzino di Milano) e una "rom" (zingara, nomade) che si sposano ad Ancona e qualche mese dopo si lasciano. Divisa in tre movimenti (Milano, il viaggio, Ancona), la storia si fonda sulla dialettica tra normalità e diversità, sul difficile incontro tra culture ed etnie diverse. L'amore è qui anche un rapporto di reciproca conoscenza e di scambio, quasi di osmosi. Pur non del tutto risolto, con casta e rigorosa tenuta stilistica, arriva con logica inesorabile a un epilogo triste, ma non disperato. Premio del migliore attore per Bentivoglio alla Mostra di Venezia 1993.
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Per sineddoche, Pabe si impone immediatamente alla nostra attenzione: quel tubetto di rossetto incongruo tra le mani di Pietro, di cui solo più tardi conosceremo la provenienza, è una presenza "forte" (tale ce la rende il découpage) e insieme indifesa: basta poco e lo rivediamo, scivolato sul pavimento, alla mercè dei piedi pesanti della folla che riempie la metropolitana, senza che il nostro uomo sappia far nulla per cercare di riprenderselo. Viene raccolto da un vecchio piuttosto male in arnese; che se ne farà, a chi lo darà?
Ed eccola finalmente, Pabe in persona, malvista, rifiutata e segnalata in mezzo al gruppo di clienti che si accalca intorno al banco delle dimostrazioni nel reparto cosmetici della Rinascente. All'estetista che le sta di fronte visibilmente irrigidita rivolge una richiesta provocatoria a causa della sua evidente, irrimediabile diversità: quella di truccarla per farla diventare come lei. Pabe ci si presenta da subito come un personaggio trainante del racconto che sta muovendo i suoi primi passi davanti ai nostri occhi. Come in tutte le narrazioni che si rispettino, è un trauma che determina lo scarto iniziale: qui è l'ostinazione, con ogni evidenza inaccettabile, di questa creatura a sconfinare, a confondere le differenze, a esporsi non per sottolineare la sua diversità ma piuttosto per superarla. Ciò che le manca, per ora, per concretizzare questa sua rischiosa propensione, è l'appiglio a cui afferrarsi. Quell'appiglio sarà Pietro.
Pabe si muove attorno a Pietro per avvicinamenti successivi, inconsapevoli ad entrambi eppure in qualche modo inevitabili. Inseguita, e poi lasciata andare, la ragazza rincorre a sua volta l'uomo per chiedergli dei soldi e lasciargli in cambio un pegno. La complicità tra i due aumenta, con risvolti comici ma non senza conseguenze anche violente. E a un certo punto è ancora una volta lei a "costringere" Pietro a passare dal suo goffo pedinamento automobilistico al vero e proprio rapimento d'amore, il gesto che li strappa definitivamente all'indecisione, ai falsi movimenti, per proiettarli in un nuovo presente tutto da giocare fuori dagli schemi a cui, ognuno per proprio conto, ambedue prima potevano ancora fare riferimento. Anche in questa nuova fase della loro storia, nel corso della quale - come è stato da più parti naturalmente sottolineato - il film ci fa assistere al rimescolamento delle carte, alla reciproca assimilazione dei due fuggitivi, riflessa in quei mutamenti anche esteriori su cui dopo torneremo; anche ora, è sempre Pabe a raccogliere la nostra attenzione più ansiosa, perché ancora una volta è lei a dover (a voler) affrontare i passi più decisivi.
In solitudine pressoché totale eppure sempre alla ricerca di un barlume di comunicazione, Pabe affronta il pericoloso passaggio da una cultura a un'altra. Il suo inserimento non può compiersi che per linee traverse, in clandestinità: un'operazione tutt'altro che pacifica, carica di incognite e di conflitti sempre pronti ad esplodere, Il film ci mostra con trasparente semplicità le tappe di questo passaggio: abituarsi alle pa-reti di una casa, modificare per adeguamenti successivi la propria apparenza (vestiti, taglio dei capel-li), accettare la necessità di un la-voro fisso, dover affrontare altri Rom dalla sua nuova posizione am-bigua e per loro certo incomprensi-bile, dover subire l'umiliazione del-lo "smascheramento" e del rifiuto... Non si tratta di momenti isolati in una qualche valenza simbolica da sottolineare; si inseriscono invece con tutta naturalezza nel pudore generale con cui la vicenda di Pabe e Pietro viene raccontata. Semplice-mente, ne fanno parte integrante e
necessaria. Soldini si è dimostrato in questo particolarmente bravo, si-curamente educato anche dalle esperienze di documentario che fan-no parte del suo curriculum di fil-maker: viene da ricordare anche la breve inquadratura in cui vediamo Pietro che allaccia al polso di Pabe un orologio, prima che lei affronti la brutale esperienza del lavoro in fabbrica. Inquadratura rischiosissi-ma per tutte le implicazioni imma-ginabili, eppure brillantemente ri-solta come rapido dettaglio del-l'azione in corso, talmente significa-tiva da aver bisogno di un tempo minimo per proporsi alla nostra at-tenzione.
Questa attitudine all'effrazione dei limiti, al rifiuto delle norme che definiscono territori e comportamenti, non può che condurre a spiacevoli conseguenze: Pabe resta infine sola e sospesa in una no man's land da cui non ci è dato sapere se e come potrà uscire. L'inquadratura che chiude il film diventa, nella sua arbitraria conclusività, allegoria di una condizione umana e si stacca in questo dalla funzione puramente narrativa per proporsi in tutta la sua voluta emblematicità.
Pietro è un sognatore, che contrappone al suo apparente inserimento nel contesto sociale una cronica avversione a tutto ciò che deve essere, a tutto ciò che deve fare per sopravvivere. Con il suo bambino inventa viaggi avventurosi nei fine settimana senza muoversi dal marciapiede sotto casa; come accade a molti sognatori costretti a una vita di solitaria routine, anche Pietro sembra appagato dal suo infantile fantasticare. Sotto l'apparente rassegnazione, dietro i gesti, gli sguardi e le parole dell'abitudine c'è però dell'altro. Spia del malessere, della nascosta consapevolezza di un'esistenza “a perdere", è la concreta emorragia che lo colpisce nei momenti in cui quella consapevolezza si traduce in vera e propria angoscia, provocandogli istanti di concitato sovraffollamento della coscienza. Le immagini dell'esistenza quotidiana lo travolgono allora come un insieme sconnesso e minaccioso, del tutto estraneo alla consequenzialità indotta che lo regola nei momenti di "normalità".
Così come ci viene presentato all'inizio, Pietro è certo il più fragile dei due protagonisti, caratterizzato da un disordine interiore che gli impedisce qualsiasi rapporto diretto e sincero con la realtà circostante. Tutto il suo agire tende ad occultare un desiderio che lui stesso teme di riconoscere. Pietro attende inconsciamente un'occasione. Pabe sarà quell'occasione.
La disgregazione coscienziale che caratterizza questo irresoluto difensore della proprietà privata si riflette nell'organizzazione narrativa e nella messa a punto delle inquadrature adottate da Soldini nella prima parte del film: frammentata per scarti temporali e spaziali, la prima; insidiata dal ricorrere di inquiete (e impercettibilmente inquietanti) angolazioni di ripresa, la seconda. La dissipazione dell'esistenza che caratterizza Pietro e i suoi "simili" prende corpo anche nella sovrabbondanza degli oggetti, che straripano da ogni dove, si impongono come una presenza ossessiva, angosciosa, che finisce per regolare e indirizzare i rapporti tra le persone: tutto l'approccio tra i due protagonisti ruota intorno alla differente relazione che Pabe e Pietro hanno con gli oggetti in vendita sui banconi della Rinascente. Occorrerà andarsene da Milano perché le cose possano diventare testimoni di parziali trasformazioni in atto e non più custodi di una fissità plumbea senza vie d'uscita.
L'inizio del viaggio comporta anche un mutamento nel modo della narrazione, una sorta di scioglimento dell'ingorgo iniziale, che dà luogo ad un flusso libero ed uniforme anche se a tratti ostacolato da deviazioni morte o, al contrario, da troppo rapide e traumatizzanti accelerazioni. Un cambiamento di registro del tutto coerente che segna l'instaurarsi delle condizioni della comunicazione possibile tra Pietro e Pabe.
Una volta uscito dal suo vicolo cieco, Pietro prende però poco a poco il sopravvento. In bilico tra il tentativo di non prevaricare e un ruolo maschile di leader, che è Pabe stessa a riconoscergli dopo che si sono lasciati la metropoli alla spalle, la funzione di cui si fa portatore è oggettivamente quella di "educare" la ragazza ad un progressivo inserimento nella società dei gaggi. In questa sua nuova posizione, l'uomo riacquista sicurezza, si trasforma: e se i mutamenti costituiti dai vestiti più colorati o dai baffi che si lascia crescere sembrano assimilarlo nell'aspetto ai Rom, in realtà forse mai come adesso è stato legato organicamente al mondo a alla cultura che gli appartengono dalla nascita. Ambiguità e ironia della situazione in cui i due innamorati sono andati a cacciarsi. Non si presenta a Pietro una sola occasione di mettersi totalmente in gioco, paragonabile a quella in cui viene a trovarsi Pabe quando, lavorando all'albergo, di fronte alla possibilità di impadronirsi di un gioiello preferisce rimetterlo al suo posto, dimostrandoci così di aver introiettato una norma che fino a poco tempo prima era da lei giudicata ridicola.
Quando alla fine rimane solo, Pietro ricade immediatamente in quella forma patologica di disperazione da cui l'avevamo già visto sopraffatto all'epoca del suo lavoro di sorvegliante. Il periodo trascorso con la ragazza non lo ha cambiato realmente: è stato una straordinaria parentesi che gli ha sì rivelato delle potenzialità, la cui conclusione lo ha però ributtato nello stesso marasma interiore da cui era riuscito a emergere solo grazie a Pabe. Anche per questa sincerità il film di Soldini vale. Un'anima divisa in due non si nasconde dietro facili utopismi o posizioni fideistiche: esprime la sua fascinazione di fronte alla possibilità di questa mescolanza estrema, non nascondendosi quanto di sfuggente e ambiguo possa motivarne il funzionamento interno ed eventualmente lasciarla irrisolta.
Soldini segue i suoi protagonisti non con l'occhio freddo dello scienziato (sociologo, psicologo, entomologo ... ). La partecipazione anche affettiva alle loro vicende, al loro destino emerge dalla vicinanza della mdp:. fissa o in movimento, si trova quasi sempre a stretto contatto con i volti, i gesti, gli sguardi, cogliendoli a volte nella loro esplicita disponibilità oppure andandoli a cercare senza reticenze. È, in definitiva, lo sguardo di un esploratore quello che finisce per imporsi a fare a tramite: un esploratore che non si chiede tanto i perché delle conformazioni che incontra sul suo percorso, ma che cerca innanzitutto di descriverle nel Ioro manifestarsi e di seguirne poi le successive trasformazioni. La descrizione di un fenomeno, di un paesaggio non va alla ricerca di verità "scientifiche": costruisce figure capaci di aprire le porte sulla complessità di ciò che viene osservato in primo approccio, con inevitabile coinvolgimento.
In fin dei conti, anche raccontandoci la storia di Pietro e Pabe, il regista di L'aria serena dell'Ovest agisce su paesaggi, soltanto che qui si tratta esplicitamente di paesaggi umani, esteriori, interiori: partendo dalla loro "conformazione" iniziale, ne segue l'evoluzione, le modificazioni susseguenti, coinvolgendo lo spettatore in un appassionato gioco di attese e di rivelazioni sulle possibilità visive che implica un processo di reciproco adattamento tra due culture estranee nel momento in cui viene realizzato grazie al rapporto amoroso che ne coinvolge due rappresentanti.
In questo senso, l'oggi inteso come particolare momento storico della società italiana resta sullo sfondo presente ma non determinante. L'immagine che prende corpo assume un'evidenza che va al di là del contesto contingente; per questo motivo si sottrae ad ogni rischio demagogico, ad ogni asservimento alla "denuncia", collocandosi invece in un ambito di meditazione sulla realtà, rispettosa delle possibilità ma anche dei confini di cui il mezzo espressivo si fa portatore. A tutt'oggi il cinema di Soldini sembra lavorare consapevolmente e senza facili esibizionismi in questa direzione. Per questo, nell'attuale panorama italiano, ci sembra di poter indicare i suoi film come esempi attendibili di un cinema d'idee fondato su una scelta di moralità.
Autore critica:Adriano Piccardi
Fonte critica:Cineforum n. 327
Data critica:

9/1993

Critica 3:
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