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Dracula di Bram Stoker - Bram Stoker's Dracula

Regia:Francis Ford Coppola
Vietato:No
Video:Columbia Tristar Home Video
DVD:
Genere:Horror
Tipologia:Letteratura inglese - 800
Eta' consigliata:Scuole medie inferiori; Scuole medie superiori
Soggetto:Tratto dal romanzo "Dracula" di Bram Stoker
Sceneggiatura:James V. Hart
Fotografia:Michael Ballhaus
Musiche:Wojciech Kilar
Montaggio:Anne Goursaud, Glen Scantlebury, Nicholas C. Smith
Scenografia:Thomas E. Sanders
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Gary Oldman, Winona Ryder, Anthony Hopkins, Keanu Reeves
Produzione:Francis Ford Coppola, Fred Fuchs, Charles Mulvehill
Distribuzione:Columbia
Origine:Usa
Anno:1992
Durata:

130'

Trama:

Per la falsa notizia della sconfitta e morte sul campo di Vlad III, la moglie Elisabetta si suicida lanciandosi dall'alto di una roccia. Il condottiero, folle d'ira e di dolore, giura vendetta contro l'onnipotente, resta "non morto per sempre", ambizioso di potere, assetato del sangue di cui si nutre, lussurioso e ancora vivo, nella secolare leggenda di Dracula. Nella Londra vittoriana si sposta in caccia della donna eletta, per azzannarla al collo, travolgerla in un turbine di sangue e di eros, farle assaporare il gusto del potere e trasmetterle la vita eterna sulla terra. Dapprima seduce Lucy poi Mina medesima. Mina a detta di lui, assomiglia prodigiosamente alla defunta Elisabetta, Lucy è presto perduta.

Critica 1:Il talento melodrammatico di Coppola è così grande che, anche se il mito di Dracula interessa ormai poco, nel suo film si trovano tante cose appassionanti e divertenti.
Autore critica:Lietta Tornabuoni
Fonte criticaL'Espresso
Data critica:



Critica 2:(...) Nel mondo del Dracula coppoliano (...) si affrontano gli antagonisti di sempre, ma per una volta pressoché fuor di metafora e soprattutto nell'ottica di un riscatto di quello che un tempo passava per il Male, ma in realtà altro non era che un'altra forma di Bene; contraria a quella predicata da Chiesa e Società, senza dubbio, ma non per questo passibile del marchio del demonio. Del resto, il demonio che si vede è sempre visto dagli altri e non dalle sue partners, le quali o non lo vedono (o non ricordano), o pure lo vedono come egli ama esser visto, giovane e bello.
Si dirà: ma allora si tratta di una falsità; Dracula ammette la propria vecchiaia e la paura di essere visto dalla sua preda così com'è. Vero, ma solo perché egli è il principio di quell'amore. Se prende un volto non significa che inganni, ma solo che si adatta alla persona turno. La sua vecchiaia ultracentenaria allude invece alla sua storia nel tempo (quel tempo di cui egli confessa d'avere paura). Insomma, Dracula è un film costruito - a differenza da tutti gli altri sull'argomento su un continuo shifting del punto di vista ideologico: Dracula come vittoriana incarnazione del Male, Dracula come idea moderna della sessualità e dell'eros (...).
Non per nulla Mina afferma che una volta sposata comincia a capire la natura dei propri sentimenti per il suo strano amico. In breve, mentre il romanzo originario riposava sull'idea di un universo regolato, ordinato e monolitico, dove qualsiasi alterità, in quanto minaccia al sistema, veniva immediatamente esorcizzata nell'attribuzione al diabolico, nel film di Coppola rimane l'intero apparato iconografico (che anzi vediamo di molto perfezionato dall'alto grado di trucchi ed effetti speciali del cinema odierno), ma l'antagonista non si identifica strettamente con il diabolico e il bestiale. Quel che di diabolico e bestiale di esso vediamo è il risultato di un secolare lavoro d'immaginario, ed è lq natura assolutamente maligna di questa alterità ad essere posta in discussione. Si noti che in Dracula Coppola osa per la prima volta avvicinare il tema del sesso, che aveva pressoché bandito dal suo cinema. Il regista che aveva cominciato ventunenne a girar film proprio di carattere pornografico (sì, come quello che Dracula e Mina vedranno - o meglio, non vedranno - nella sala londinese) avvicina finalmente il tema mostrando, in piena linea con quel che ha sempre pensato (e mai tradotto in opera), la paura e la morte che al sesso sono legate. Non è un operazione terroristica, non le va attribuita alcuna tara conservativa: è piuttosto una lucida e rigogliosa esemplificazione di come la società concepisce il sesso e di come invece l'individuo potrebbe viverlo. Dracula, non dimentichiamolo, viene da un tempo in cui l'articolazione della società secondo i termini funzionalistici della morale borghese consente di farne per quest'ultima una sorta di mostro, intatto da qualsiasi precetto repressivo. Attribuirgli, poi, un sentimento romanticamente travolgente che lo porta a dannarsi è una sorta di licenza che la storia deve permettersi per poter mettere in scena l'opposizione di cui si diceva: diverso dai dati fondanti la società borghese, Dracula viene caricato di tutto quello che a una tale società ideologicamente si oppone, anche se storicamente non gli pertiene. Poi, perché mai non dovrebbe pertenergli? Dopotutto, è proprio in quel Medioevo cui egli per molti versi ancora appartiene che si era sviluppato quel "romanzo" una delle cui seminali caratteristiche è proprio il progresso verso la morte e il morire per amore come riscatto del destino degli amanti . Dice anzi de Rougemont che “senza saperlo gli amanti non han mai desiderato, loro malgrado, che la morte” e che in questa "volontà di morte" si identifica “la passione attiva della Notte”. Non è tutto qui il Dracula di Coppola?
No, non è tutto qui. Perché se il tema dello sguardo può essere ricondotto alla storia posta in questi termini, esso - unitamente a quello, già citato, della complessità della visione - è l'idea cui rimanda, come si diceva, lo straordinario brano nella sala in cui si proietta il film che fa da cornice alla seduzione. Ma forse vale la pena rivedere l'intera sequenza, nella speranza di chiarir meglio l'importanza di questo momento della pellicola.
Si apre un'iride su una mappa di Londra e subito dopo ecco sullo schermo una strada cittadina, vivace, piena di gente che vi cammina. Il movimento è veloce, come nei film muti d'altri tempi, cui l'immagine cerca di adeguarsi anche da un punto di vista fotografico, con un'atmosfera d'usato, d'antico, di stinto. (...) In effetti l'atmosfera da old time movie svanisce come per incanto quando nel quadro compare Mina, della cui presenza Dracula si accorge subito. Dal momento in cui la donna il ritmo dei movimenti cambia, le persone sembrano appartenere a un film moderno, aggiornato (ancorché, ovviamente, sempre abbigliate secondo la moda d'epoca) e il colore acquista tutto il suo fulgore nella pienezza delle mille sfumature cromatiche. Dopo l'approccio del Conte la donna, che pudicamente (o per meglio dire: convenzionalmente) lo tiene a distanza, taglia corto davanti alla sua allusione al cinematografo con involontaria ironia, dicendo: “Se cercate la cultura, visitate un museo!”. Dopo il ripensamento di Mina, che viene a termini più cordiali con Dracula, i due si avviano mentre lui sembra quasi cingerle la vita con il braccio. Segue la parte nel cinema, dove evidentemente il nuovo mezzo di comunicazione è galeotto, ché è sul suo sfondo che Mina subirà l'approccio dello straniero. Verso la fine della sequenza l'immagine sullo schermo non è più di carattere osé, ma è quella di un treno che arriva in avanti e in diagonale (ombra dei fratelli L.!).
Tutto il brano, dicevo, è d'importanza capitale. Sin dall'apertura cogliamo il tema dello sguardo (l'iride, che forse non a caso si chiama così e che rimanda a quella in chiusura su Dracula che ride dopo l'orgia con le "brides") secondo una vecchia tecnica che si sposa abbastanza bene con l'immagine della mappa (quante carte geografiche nei film d'una volta!, come ricordava anche il Truffaut di Adele H). Lo "sguardo" si posa quindi su una strada del centro in un modo arcaico, adeguato alle tecniche impiegate in apertura.
L'arrivo di Mina e il radicale cambiamento dei modi di ripresa - vale a dire una resa più verosimile dell'immagine - e precisa allusione simbolica: Mina, voglio dire, segna l'entrata in campo del Moderno, e come tale è lei ad incarnare nel film l'idea di realtà (o perlomeno, di verosimiglianza). Il discorso di Dracula sulla scienza e sulle sue conquiste - perfettamente logico nel contesto storico-culturale dell'epoca (tanto che, magnifica idea, vedremo addirittura il sangue che si muove sotto le lenti di un microscopio) - fa di Mina l'inconscio simbolo di questa nuova epoca, a un punto tale che non è idea peregrina leggere nello speciale legame fra il Conte e la donna una sorta di rinnovamento dell'antico nel moderno. Del resto, che il medievale Conte rappresenti l'antico è evidente persino nei mezzi di locomozione impiegati: la nave per Dracula, il treno (ricordate Carducci e il suo - guarda caso - Inno a Satana?) per Van Helsing e gli altri.
In breve, da questo punto di vista, il Dracula di Coppola carica il vecchio tema stokeriano (cui, ripeto, in fondo da Murnau a Herzog, passando per Browning e per la Hammer, tutti sono stati nella lettera meno infedeli) di un significato inedito attraverso una sorta di teoria della visione come mezzo di realizzazione del desiderio. Fra Dracula che vuole essere visto giovane e desiderabile e quello che nel cinema cerchiamo di bello, appassionante e totale non c'è gran differenza: ambedue attivano nell'altro il meccanismo di un desiderio la cui fallacia è secondaria, ininfluente. Se dunque Mina incarna il Moderno e rende (anzi, no: dona) al vecchio cinema un passo e un colore adeguati alla realtà, Dracula è quello che di onirico, di immaginario il cinema incarna ed esprime.
Ed è a questo punto che si inquadra l'altro cardine del discorso che Coppola accarezza e sviluppa nel film, quello che ho chiamato "continuità della visione". Sintatticamente infatti l'intera pellicola è pensata quasi fosse un flusso continuo, ininterrotto. Non di rado l'immagine che chiude una sequenza si sfalda, si consuma, si trasforma in un'altra che apre quella seguente. Non è esibizione, ma anzi il suo esatto contrario: non esprime staticità ma dinamismo, movimento. Dall'occhio della coda del pavone che diventa galleria alle bolle dell'assenzio che sfumano nel vorticoso sangue che pare ingrandito al microscopio, al tuffo di Jonathan la cui onda si allarga in un'altra immagine oscura, la pellicola inscena un diverso modo di raccordare i singoli blocchi narrativi. Se quindi è vero che il romanzo di Stoker è in sé un magnifico esempio di montaggio, è altrettanto vero che Coppola tenta di battere nuove strade nell'organizzazione sintattica, quasi un enjambement operato per mezzo di una sorta di dissolvenza.
In realtà la tecnica è ancora più sofisticata e rimanda agli esperimenti che il regista aveva tentato sin dai tempi di Apocalypse Now quando, stando alla testimonianza della moglie Eleanor, egli usava dissolvere insieme su un monitor le immagini che comparivano su tre videoschermi. Solo che qui si tratta del perfezionamento di quella dissolvenza multipla che costruiva le “sovrapposizioni allucinatorie dell'underground programmate al computer” (...) accostando la pratica a quella dell'avanguardia americana. Qui l'immagine non è più costruita tentativamente, sperimentalmente: essa è ormai tecnicamente messa a punto così da fornire un diverso modo di connessione del racconto cinematografico.
Il senso di questo diverso modo è davanti agli occhi di tutti: Coppola sta adeguando le forme de raccordo all'episteme della contemporaneità, quella riduzione del mondo a immagine che non può non sfociare nell'idea di una realtà-racconto, di una interminabile storia in cui la realtà è destinata a tramutarsi nell'era della sua vieppiù incalzante identificazione con lo spettacolo.
Ma tale pratica non va intesa come puro versante tecnico di un pensiero del cinema. Al contrario, la metamorfosi dell'immagine avviene regolarmente su un terreno di accostamento analogico di carattere formale. Come a dire, un montaggio delle attrazioni senza montaggio ma con parvenze di una dissolvenza che tramuta la tecnica in metamorfosi. E questa geniale idea che fa di Coppola il cineasta visionario che è. Cinema barocco? Ma certo! Solo, sarà meglio chiarire che cosa intendiamo con l'aggettivo. (...) Il Conte Dracula, l'aristocratico per antonomasia, colui che si rinchiude nel proprio castello e che per i contadini e sinonimo di terrore, che non mangia cibo né beve vino, il raffinato signore di un universo polveroso, sì, ma avito e dinasticamente ineccepibile, è l'immagine stessa di questa idea culturale del Barocco, attratto verso il non comune e ineluttabilmente destinato al tramonto a causa dello sviluppo di una classe che, letteralmente, lo sotterrerà. Di questa classe fanno parte le persone più diverse, medici e irruenti americani (quale più calzante immagine del Nuovo?), che alla fine si installano perfettamente nel luogo antonomastico del Moderno, il cinema: Morris che rotea il suo rifle e che incalza il cavallo insieme agli altri inseguendo la carrozza del Conte è l'immagine dell'irruzione del Moderno ed insieme ammicco alla vecchia questione della dissoluzione dei generi, qui talmente evidente da rendere tranquillamente un horror movie un western. La sua morte, peraltro, non indica certo un tramonto di quel che egli rappresenta: soltanto una rivendicazione della vecchia Europa nei confronti delle proprie radici come garanzia di equilibrio nei confronti del Nuovo. Ma si tratta poi davvero di un horror movie? In realtà, di questo Dracula tutto si può dire tranne che faccia (o tenti di fare) paura. Per quanto ammirevoli ne siano trucchi ed effetti speciali, lo spettatore si scopre a non temere alcunché; e mano a mano che la storia procede si chiarisce invece il cardine della pellicola, ciò che avverrà di Dracula e di Mina.
Non si tratta soltanto del fatto che Coppola ha preferito raccontare una storia d'amore invece che una storia orrifica. Ha fatto molto di più: ha colto la natura e la sostanza di romance che giace dietro a ogni horror story. Si diceva più sopra di come l'obiettivo del film non sia quello di impaurire. I trucchi orrifici non mancano; pure, essendo la pellicola tesa verso un altro scopo, essi si lasciano osservare con distacco, suscitando ammirazione ma non interesse. L'interesse è suscitato da un'altra e ben più ampia trasformazione: quella della horror story in romance.
Coppola, cioè, ha mantenuto tutto quel che c'era da mostrare in fatto di horror, ma "dimenticandosi" di Dracula, vale a dire svuotando la storia originale dei suoi tratti veramente incidenti (facendone, insomma, motivo formale) per sottolineare invece il fondamento su cui posa e ha sempre posato quella che poteva sembrare una tradizione a sé come quella gotica (soprattutto dopo il giro di boa di autori come LeFanu, M. James, ecc. ). Per questo - a differenza di quanto normalmente avviene in un qualunque vampire movie - la prima parte di Dracula è avvincentissima mentre la seconda non riesce a mantenere un identico livello e grado di tensione: la costruzione del romance è infinitamente importante del climax orrifico, e quel che succede nel castello è incomparabilmente meno interessante e teso di quel che vediamo a Londra seguendo da vicino i più normali personaggi. Questa è un'esplosione della vita, non un'imitazione della fantasia.
La differenza abissale tra il mondo gotico-orrifico della Romania e l'Inghilterra di Mina e Lucy, straordinariamente floreale, patrizia e stylée, va molto al di là dalla solita opposizione necessaria a rendere il senso dell'irruzione del fantastico e del mostruoso nel mondo reale, quotidiano: questo mondo, in effetti, di reale e quotidiano ha ben poco; esso è anzi altrettanto irreale dell'altro, solo molto più confortante e socialmente ordinato. (...)
L'amore impossibile per il maledetto, il matrimonio con il tranquillizzante rappresentante di una più regolare socialità, un mondo di superlativi dell'anima e dei cuore, di abbondanza d'emozioni, di straripamenti della speranza: per bene che vada siamo nella tradizione di Cime tempestose, più spesso in quella di Barbara Cartland. E lo siamo a un punto tale che Coppola ha intessuto a questa linea da romanzo rosa elementi che rasentano addirittura il fiabesco così che la meraviglia, cacciata dalla porta come orrore, rientra dalla finestra come fiaba. Il castello in Transilvania sembra un modellino disneyano, Dracula si avvicina a Jonathan come se scivolasse su un tapis roulant (provando così che, come aveva detto la giovane passeggera della carrozza, riprendendo una battuta di Stoker, “i morti viaggiano veloci”), i candelabri, in pieno stile coctoiano, sono braccia che escono dal muro e reggono le fiaccole (e da quale film se non La bella e la bestia?), quando Jonathan prende in mano una boccetta curiosando nella "stanza proibita" l'atto ha qualcosa di pericoloso e quasi ci si aspetta un genio che ne esca insieme a del fumo. A loro vo ta le lacrime di Mina diventano diamanti nella mano di Dracula, dopo che la donna ha ascoltato una storia già in sé alquanto fiabesca come quella del Fiume della Principessa.
Insomma, il mondo del Dracula coppoliano non è un mondo orrifico ma da fiabesco romanzo d'amore. Gli elementi fantastici che lo compongono non mirano alla Paura ma alla meraviglia che sempre s'accompagna ala scoperta di un sentimento, soprattutto in chi ne sembrava e sembra escluso.
Ed ecco che anche per Dracula si compie quel che era sotteso alla bella sequenza della sala cinematografica: il film d'orrore si tramuta in film d'amore, e senza neanche rinunciare alla meraviglia, alla fantasia, al mistero, allo stupore. Nonostante superficiali apparenze c'è dunque poco Herzog in questa pellicola dolce e un po' timorosa, c'è poco Murnau e nell'insieme c'è poco Dracula. C'è invece, come si diceva, tanto cinema. Non solo i riferimenti esteriori alla specifica mitologia vampirica (Herzog e Murnau compresi, s'intende), ma soprattutto al cinema nella sua interezza: c'è, dicevo, il Cocteau di La bella e la bestia nei candelabri così come nel finale, c'è il Freddy Krueger di Craven quando, sorpreso con Mina, Dracula si ritira nell'ombra, c'è l'inondazione di sangue del Kubrick di Shining, c'è il Lynch di Eraserhead nell'acconciatura del bravissimo Tom Waits, c'è persino Peter Pan con quell'ombra che va per i fatti suoi (un'idea felicissima, esaltata dalla sordina in cui è attuata), e c'è naturalmente anche Coppola, dal tema della potenza superiore nell'umano, esemplare in Apocalypse now, a tracce di una sua produzione come Koyaanisqatsi. (...)
E poi, quel personaggio così strano che parla con un accento tanto singolare, non ci ricorda forse voci già udite, suoni familiari? Non ci ricorda uno di quegli infidi sovietici d'una volta, quelli che tentavano di barare mentre parlavano al telefono rosso con la loro altrettanto infida controparte americana nel film che riassume qualunque immagine cinematografica del nemico come straniero, Il Dottor Stranamore? (la lettura non meravigli troppo: in fondo Dracula può addirittura essere inteso come un'enorme metafora sul tema della prevenzione all'AlDS con quel vampiro che non vuole contaminare l'oggetto adorato del suo amore). Oggi che quel nemico (forse soltanto temporaneamente) non c'è più, ecco che ne rivediamo e risentiamo una sua sorta di replicante nel quadro di uno sfrenato immaginario quale quello del vampire movie. Ma siamo proprio certi che si tratti soltanto di una piccola, infondata e irrazio-nale nostalgia? Siamo proprio certi che dietro la figura dell'affamato Conte non prema un Oriente che è lecito sospettare sia in procinto di divenire l'altro, il diverso, il nemico, e forse mai un interlocutore?
Autore critica:Franco La Polla
Fonte critica:Cineforum n.321
Data critica:

1-2/1993

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
Titolo libro:Dracula
Autore libro:Stoker Bram

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