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Ultimo buscadero (L’) - Junior Bonner

Regia:Sam Peckinpah
Vietato:No
Video:Vivivideo
DVD:
Genere:Drammatico
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:John Franco, Jeb Rosebrook
Sceneggiatura:John Franco, Jeb Rosebrook
Fotografia:Lucien Ballard
Musiche:Jerry Fielding; canzoni:"Arizona Morning, Rodeo Man" di Rod Hart interpretate dall'autore
Montaggio:Frank Santillo, Robert L. Wolfe
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Ida Lupino(Elvira Bonner), Steve McQueen (Junior Bonner), Donald Barry (Homer Rutledge), Robert Preston (Ace Bonner), Charles Gray (Burt), Rita Garrison (Flashie), Ben Johnson (Buck Roan), Barbara Leigh (Charmagne),William McKinney (Red Terwiliger), Mary Murphy (Ruth Bonner), Matthew Peckinpah(Tim Bonner), Sundown Spencer (Nick Bonner), Joe Don Baker (Curly Bonner)
Produzione:Joe Wizan per Booth Gardner - Solar.for Abc Pictures
Distribuzione:Non reperibile in pellicola
Origine:Usa
Anno:1972
Durata:

103'

Trama:

Junior Bonner, figlio di un ex-campione di rodeo (l'anziano, ma ancora gagliardo Ace), si guadagna a sua volta la vita misurandosi, da una città all'altra dell'Arizona, con puledri selvatici e tori scatenati. Il mestiere, tuttavia, non gli dà le soddisfazioni di un tempo, le sue finanze sono ridotte all'asso e, della famiglia, l'unico a stare ancora dalla sua parte è il padre, un uomo che, dopo aver sperperato i guadagni in imprese sballate, insegue il sogno di recarsi in Australia, a cercarvi l'oro. Tornato a Prescott, sua città natale - dove il fratello Curly, che si è dedicato alla speculazione edilizia, cerca inutilmente di coinvolgerlo nei propri affari, mentre la madre si limita a dimostrargli un'affettuosa tolleranza -, Junior spera di rinverdire la propria fama e rimpinguare un po' le proprie sostanze cimentandosi in una prova mai riuscitagli fino allora: riuscire a star per otto secondi in sella all'indomabile toro Sunshine. Arriva finalmente l'ora della grande prova e stavolta Junior riesce ad aver ragione dell'animale. Col denaro vinto egli acquista, per il padre, un biglietto d'aereo per l'Australia, dove il vecchio potrà dedicarsi al suo sogno.

Critica 1:Junior Bonner si guadagna la vita come faceva il vecchio e gagliardo padre, ex campione di rodeo. Il fratello, invece, vuole coinvolgerlo nei suoi affari e nella vita "borghese". Dopo l'orgia di violenza di Cane di paglia, Peckinpah torna alle sue origini di regista profondamente americano, tradizionalista e rurale. Bravo e credibile McQueen. Qualche momento di lirica malinconia in questa quieta storia su coloro che "devono tener fermi i cavalli".
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:La storia del West è terminata dà un pezzo, ma negli Stati del deserto
(Arizona, Nuovo Messico, Nevada) vivono ancora uomini cresciuti in quel passato, e da quel passato segnati. In un paesaggio immutato, protetto per tanti anni dalla sua immensità, un uomo come Ace Bonner, ormai sessantenne, può conservarsi irrequieto e baldanzoso nonostante i continui fallimenti materiali. In rapporto a questo personaggio-faro, che sogna ancora l'avventura e il filone d'oro mentre il mondo si fa sempre piú palesemente prosaico, si caratterizzano i due fratelli Bonner, con tutto il bagaglio delle loro ragioni e delle loro fedi. Il nodo del film - abbastanza breve e privo di vera e propria azione - è tutto qui: nel legame usurato ma indistruttibile che collega la concezione del mondo del padre Ace e del figlio Junior e nella barriera insormontabile che separa le due ideologie da quella del figlio-fratello Curly.
E' indiscutibile che lo straordinario Steve McQueen-Junior Bonner incarni la figura piú tipica dell'universo peckinpahiano; sino a far pensare ad un vero e proprio processo di identificazione. Egli perfeziona la malattia del padre, l'utopismo monomaniaco e inconcludente, in un'attività che moltiplica i viaggi ed offre la possibilità di successi senza futuro: sballottato da una città all'altra, Junior vede trascorrere la sua giovinezza ma non ha tempo di fermarsi a pensare. Per vivere bisogna lottare nell'arena contro tori imbestialiti e cavalli selvaggi: se si vince ci sono i soldi, altrimenti le ferite bisogna curarsele da sé. Un uomo dell'età di Junior ha la testa piena di ricordi e sente il rimpianto doloroso dell'infanzia perduta, della famiglia ancora unita: ma un enorme bulldozer giallo stritola sotto i suoi occhi la casa natale e con essa l'idea stessa della giovinezza (la foto del primo rodeo di Bonner jr.). Il ralenti fa ancora paura, come se invece della demolizione di fatiscenti baracche sottolineasse la morte di un uomo; ed ai posti di comando delle ruspe gli operai, il volto coperto da una futuribile celata, hanno la fredda crudeltà dei killer d'antan. L'America si autodivora. Junior non si ribella ma non accetterà mai questo dato di fatto: « Il suo problema è il ventesimo secolo ». Un contrasto così estremo col «moderno» lo provavano anche le figure brancolanti nei celebri Solo sotto le stelle (Lonely Are the Brave, 1962) di David Miller e Gli spostati (The Misfits, 1961) di John Huston, ma la pervicace letterarietà delle sceneggiature di Dalton Trumbo ed Arthur Miller costringeva l'interpretazione negli steccati di un classico freudismo. Invece i gesti tranquilli e semplici di Junior Bonner dispiegano la malinconica contro-leggenda di Peckinpah; il figlio dell'Ovest è divenuto simbolo di uomo «antico», il suo mestiere errabondo assume sempre piú caratteristiche da circo, il rapporto con la società industriale non può che avvelenare la libertà di vivere e di agire: senza laceranti rotture, ma cosí, quasi volontariamente, il vecchio vitalismo individualista perde ogni possibile edonismo. Al grido di negazione de Il mucchio selvaggio è seguito il rassegnato mutismo dell'ultimo cowboy.
Il ritorno a casa di Junior mette in moto le correnti che attraversano la sua famiglia, squassandola inguaribilmente. Mamma Bonner (quella Ida Lupino il cui nome «è un po' la madeleine proustiana di tutti i cinéphiles che ebbero vent'anni negli anni 50» …) è umiliata quotidianamente dal figlio Curly e dalla nuora, ma non può ribellarsi alla legge del denaro. Ha perso l'appoggio di Ace che, per inseguire imprese strampalate, risse e gonnelle, si è allontanato dall'insopportabile «buon senso» di Curly, non prima d'avergli venduto a pochi soldi ogni possedimento terriero. Ama molto il marito ed il figlio maggiore, ma non compirà neppure un gesto per impedirne la nuova partenza, non urlerà la sua pena, non piangerà: questa accettazione dei fatti è dovuta piú che a un severo autocontrollo, alla predisposizione alla sconfitta che ha in comune con i suoi due uomini. Autocontrollo, a modo suo, è quello di Curly che con un'approssimazione non lontana dalla verità dice al fratello maggiore: «Non sei altro che un cowboy da motel che cerca di affermare continuamente la propria virilità... Io sono arrivato al primo milione di dollari mentre tu ti arrabatti penosamente con otto secondi». Ed è significativo che Junior si accapigli col fratello e poi scateni una rissa gigante in un bar, corteggiando l'amica di un grande campione: di fronte ad un'accusa che brucia, l'uomo non ha trovato di meglio che sfogarsi con la reazione obsoleta del westerner, il tradizionale com-
battimento a pugni nudi, dando così indirettamente ragione alle aggressive deduzioni del fratello.
Il West è un capitale monetizzabile, il turismo di massa è alle porte; il vero cercatore d'oro è proprio Curly, che sa adeguarsi senza sforzo al nuovo pionierismo della speculazione: la sua aridità è in pratica realistica lungimiranza. Junior deve supplicare Buck Roan, il piú grande e potente allevatore del posto, perché gli sia ridata la chance di montare il toro Sunshine; questa bestia furiosa, il cui occhio rovente ed inasprito la macchina da presa non manca di dettagliare, ha già disarcionato 29 cowboys ed assume per l'uomo una dimensione «alla Moby Dick»: restare in groppa al mostro per piú di otto secondi consecutivi, significherebbe vincere un grosso premio ma soprattutto vendicare uno scacco precedente. La forza di volontà di Junior, soffocata nelle strettoie della necessità, ha ancora bisogno di esasperare e mettere alla prova la propria consistenza. Con una tessitura pastosa, onirica, esaltata dai particolari minimi, il film arriva ad un'espansione diegetica quando cominciano i giorni del rodeo.
Il rodeo era anticamente una gara alla buona tra cowboys di ranches confinanti, ma ora è solo «spettacolo», volgare e bolso show per attirare la valuta dei turisti: la parata che lo precede sembra una sistematica parodia delle leggende del West. La macchina da presa ne illustra tutta la scadente liturgia, indulgendo ad osservazioni dirette-documentarie sul pubblico dei tifosi che si affollano ai due lati, scatenati in un artificioso entusiasmo. Durante il corteo Ace e junior fuggono con una pazza cavalcata da quell'atmosfera fieristica e si ritrovano in una stazioncina deserta: padre e figlio si confessano i propri fallimenti e quando Junior comunica ad Ace che non ha neppure un soldo da parte, il vecchio gli fa volare il cappello con un gesto incontenibile di stizza. Ma subito il circuito della solidarietà tra sopravvissuti ricompone l'armonia, Ace raccoglie il cappello e lo restituisce al figlio. Con questa sobria sequenza, Peckinpah cerca di valorizzare il romanticismo anacronistico che estrania padre e figlio dalla nuova barbarie della civiltà; ma lo stile è tanto pudico
da non soffocare lo spettatore con una lagnosa apologia del déraciné. Il senso umorale della libertà che affligge i due personaggi, non marca una polemica da «laudator temporis acti» qualsiasi: senza una predica, senza una prolissità retorica, il regista ha sintetizzato nella loro amara nevrosi il fascino incoercibile del tempo perduto presente in tutti i suoi «eroi» barcollanti; ma la certezza commovente dell'impossibilità di retorici ritorni al passato esclude il pericolo di una corriva nostalgia.
Iniziano le prove del rodeo e Junior si piazza bene in tutte le gare, pur senza mai vincere: gli attimi piú emozionanti del grande gioco si stagliano in ralenti e la fotografia, ancora una volta di Ballard, si libera dai cerchi incantati dei suoi colori pastello per spezzarsi piú volte in lampi di bianco e nero. Quando arriva il momento del «Bull Riding» ossia della battaglia con Sunshine, Junior riesce a concentrarsi, ad esprimere il meglio di sé, a vincere tra gli applausi della folla. È quasi logico che la bella turista venuta da Phoenix, per la quale ha scatenato una rissa, flirti adesso con lui, con il favore sospetto che si concede alle celebrità. Però il momento magico di Junior dura davvero pochissimo. I dollari del premio servono ad acquistare un biglietto aereo: è cosí che Ace (fuggito dall'ospedale dove era ricoverato per alcoolismo) ed il suo cane bastardo si troveranno pagato il viaggio di andata per l'Australia, crepuscolare surrogato delle epiche spedizioni verso il West. Dopo aver comprato il costoso sogno paterno ed essere rimasto di nuovo al verde, Junior non ha nient'altro da fare che salutare l'amica occasionale all'aeroporto. Deve andarsene alla ricerca di un nuovo rodeo, e senza melodrammi abbandona la città: la madre, che sa comprendere, finge di dormire quando egli parte, sempre piú destinato ad esistere piuttosto che a vivere. Le sue elementari ambizioni sono rovinose, quelle di Curly saranno le funzioni cardinali del futuro. Il suo calore umano, la sua bontà - c'è da giurarlo - perderanno sempre l'appuntamento con la felicità ed i suoi successi «sportivi» saranno progressivamente dimenticati, come è avvenuto per i trionfi di Ace Bonner nei famosi rodei di Calgary, New York, Cheyenne. Del resto, al padre che gli domandava rabbiosamente: «Se questo mondo è tutto per i vincitori, che cosa resta ai perdenti?», Junior aveva già rivelato la sua abissale rassegnazione: «Qualcuno deve pur tenere fermi i cavalli».
Abbiamo citato Sfida nell'Alta Sierra ed è proprio a questo film che si collega il pessimismo accorato de L'ultimo buscadero: la coppia dell'annebbiamento fisico e della pulizia morale è stata sostituita da un binomio padre-figlio in cui queste caratteristiche si bilanciano ancora fluidamente. Però, la resistenza solidale di una generazione invecchiata contro la propria assimilazione al presente si è prosciugata per la catastrofe di ciascun mondo interiore e Peckinpah ha spostato il centro focale della sua osservazione esclusivamente sull'uomo in lotta come individuo. Lo sciame variopinto dell'umanità presentava ancora qualche settore interessante, magari curioso o primitivo, mentre ormai, ne L'ultimo buscadero, Junior ed il padre vagano in mezzo alla meschinità universale senza nessuna possibilità di contatti. L'esperienza drammatica della violenza sembra a prima vista bandita da L'ultimo buscadero, ma in realtà è tutta concentrata nel microcosmo familiare dei Bonner. Se non è piú l'esplosione incontenibile degli istinti aggressivi, è la sistematica degradazione dei legami di affetto in nome dell'efficienza. Nel tratteggiare il gruppo di famiglia, Peckinpah riscopre la remota esperienza teatrale e delinea le difficili relazioni personali con un notevole estro psicologistico. Grazie all'abilità del cast, questa subdola violenza (che sottintende certi echi alla O'Neill) riesce a permeare di sottile struggimento sia gli odi che gli amori. Il cinismo di Curly è piú distruttivo della ruspa, l'insofferenza di Junior piú irrefrenabile di un mustang. (…)
Autore critica:Valerio Caprara
Fonte critica:Sam Peckinpah, Il Castoro cinema
Data critica:

10/1975

Critica 3:
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