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Posto dell'anima (Il) -

Regia:Riccardo Milani
Vietato:No
Video:
DVD:01 Distribution
Genere:Drammatico
Tipologia:Il lavoro
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Riccardo Milani
Sceneggiatura:Riccardo Milani, Domenico Starnone
Fotografia:Arnaldo Catinari
Musiche:Leandro Piccioni
Montaggio:Marco Spoletini
Scenografia:Paola Comencini
Costumi:Gianna Gissi
Effetti:
Interpreti:Silvio Orlando (Antonio), Michele Placido (Salvatore), Paola Cortellesi (Nina), Claudio Santamaria (Mario), Imma Piro (Maddalena), Flavio Pistilli (Giannino), Maria Laura Rondanini (Emanuela), Alessandra Albo (Lucia), Domenico Baiocco (Steve Assunto), Andrea Bayer (Amante di Nina), Michele Buccini (Michelino), Sergio De Guglielmo (Sindacalista), Federico Di Flauro (Amico di Giannino), Franco Di Nardo (Sindaco), Luciano Di Pietro (Salumiere), Firpo Geminelli (Parroco), Paolo Gileno (Vescovo), Ermanno Grassi (Gaetano), Donato Placido (Mignolo), Andrea Pollutri (Poliziotto), Davide Rossi (Rino), Sandro Ruotolo (Giornalista Tg3), Michela Santini (Nunzia), Paolo Setta (Amico di Giannino), Nicola Soria (Dirigente), Ennio Tozzi (Gerard Utterson)
Produzione:Lionello Cerri per Albachiara, Raicinema
Distribuzione:01 Distribution
Origine:Italia
Anno:2002
Durata:

106'

Trama:

La multinazionale 'Calair', produttrice di pneumatici, annuncia l'imminente chiusura della stabilimento di Campolaro, con il conseguente licenziamento di decine di operai, la stragrande maggioranza dei quali provenienti dallo stesso piccolo paese sito sulle montagne circostanti. Decisi a non arrendersi, gli operai organizzano forme di lotta che, poco a poco, portano il loro caso ad approdare sui tg nazionali. Fra gli operai, Antonio sogna di tornare a vivere nel suo paese insieme alla compagna Nina, che ora lavora a Milano. Il sindacalista Salvatore ha un rapporto conflittuale con il figlio diciottenne. Mario, invece, cerca una via alternativa aprendo una fabbrica di pasta fresca. Quando la Carair decide di chiudere definitivamente lo stabilimento, gli operai tentano un gesto di protesta estremo. Ma ormai è davvero troppo tardi.

Critica 1:La classe operaia non va sullo schermo. O ci va poco, almeno nel nostro Paese. Se qualche studente dovesse elaborare la tesi «l'operaio nel cinema italiano» si troverebbe davanti una scarsa filmografia: Acciaio di Ruttmann, Olmi, Petri, Monicelli... A quest'ultimo si ispira Riccardo Milani riportando la macchina da presa in fabbrica per Il posto dell’anima. L'opificio si immagina in Abruzzo, ma è di proprietà di una multinazionale che ha deciso di chiudere e le lettere di licenziamento appaiono fin dalle prime immagini. La sceneggiatura di Domenico Starnone descrive tre operai alle prese con l'emergenza: Silvio Orlando, Michele Placido e Claudio Santamaria. Ciascuno reagisce a suo modo: Silvio bizzarramente, preso com'è da una tormentata storia d'amore con Paola Cortellesi; Michele da grintoso sindacalista, ferito nell'intimo dallo scontro generazionale con il figlio, e Claudio cercando una via di scampo nella produzione artigianale dei gnocchi di Santa Gemma. Anche su questo fronte, però, un supermercato finirà per togliere respiro ai poveri. Che cosa ha imparato Milani dal suo maestro Monicelli? La delicatezza del tocco, il divertimento di fare emergere le piccole cose della quotidianità, la capacità di proporre personaggi simpatici piuttosto che eroici; e soprattutto lo stoico pessimismo nei riguardi delle tragedie in agguato, quando il destino di uno dei protagonisti interviene a sottolineare il significato funesto che può assumere la parola fabbrica. I nostri personaggi scandiscono slogan, si fanno incatenare ai cancelli, vanno a Bruxelles e perfino nel cuore della New York capitalista dove Orlando in una sortita alla Frank Capra si prende il gusto di sputare in faccia a un compatriota considerato un servo del potere. Applausi in sala alla proiezione stampa, però poi si apprende che l'aggredito non era la persona giusta. Il posto dell’anima è un film di qualità nobile, che mira alto senza lanciare messaggi. La regia si fa complice dei bravi interpreti, concedendo a ciascuno spazi e tempi giusti: Placido incarnando la dignità del proletario, Santamaria da farfallone e Orlando in tutta la sua gamma di affermato promiscuo. Vedi la scena in cui stupisce un'assemblea parlando all'improvviso un buon inglese, mentre sta solo declamando i versi di una canzone. Qualche musichetta dolciastra, qualche indugio paesaggistico e un finale pasteggiato non tolgono granché al risultato positivo del film.
Autore critica:Tullio Kezich
Fonte criticaIl Corriere della Sera
Data critica:

10/2003

Critica 2:Che sensazione di pienezza dà il film di Milani. E che bel trio Michele Placido, Silvio Orlando, Claudio Santamaria. Che bella scrittura (Domenico Starnone), che bella storia, che bei personaggi. E che titolo giusto. In un piccolo centro a ridosso della vergine montagna abruzzese si annuncia la chiusura del locale stabilimento produttore di pneumatici decisa dalla casa madre americana. Succede tutto quello che deve succedere. Ci si stringe nella protesta e nella solidarietà, nella difesa di quanto la fabbrica - tossica fonte di morte, luogo di identità e di orgoglio di classe - ha rappresentato per tutti, di tutte le età. Ci s'ingegna ad autofinanziare la resistenza, ma l'idea geniale di vendere gnocchetti fatti in casa accende nuove tentazioni imprenditoriali e nuovi appetiti individualisti. E dispute ideologiche su da che parte va il mondo, su quanto sia o non sia giusto adeguarsi. Tema che percorre anche il contrastato amore a distanza tra uno dei neodisoccupati (Orlando) e la fidanzata che da un pezzo ha piantato il posto dell'anima, troppo stretto e troppo morto secondo lei, per andarsene a Milano (Paola Cortellesi resta anche qui a un passo dal cogliere il risultato pieno: ma resta anche la convinzione che ancora ha da dare tanto come attrice del cinema italiano). Ciò che conta molto è come questo film, senza rinunciare a nessuno dei punti indispensabili dall'umorismo all'invettiva al patetismo, sappia difendersi dalla retorica. E gli faremmo un torto assimilandolo al cinema inglese-operaio. La scena madre di Orlando davanti ai boss di Detroit è nipote della requisitoria del professorino Mastroianni de I compagni; e il suo turbamento da "compagno" tradito è figlio del muratore Mastroianni di Dramma della gelosia che a San Giovanni non ascolta la voce di Ingrao ma si chiede perché la bella Adelaide lo abbia lasciato.
Autore critica:Paolo D'Agostini
Fonte critica:La Repubblica
Data critica:

10/05/2003

Critica 3:
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