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Nashville - Nashville

Regia:Robert Altman
Vietato:No
Video:L'unita' Video
DVD:
Genere:Musicale
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Joan Tewkesbury
Sceneggiatura:Joan Tewkesbury
Fotografia:Paul Lohmann
Musiche:Richard Baskin, Keith Carradine
Montaggio:Dennis M. Hill, Sidney Levin
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:David Arkin Norman, Sheila Bailey Le "Smokey", Richard Baskin Frog, Barbara Baxley Lady Pearl, Ned Beatty Delbert Reese, Karen Black Connie White, Ronee Blakley Barbara Jean, Timothy Brown Tommy Brown, Patti Bryant Le "Smokey", James Dan Calvert Jimmy Reese, Keith Carradine Tom Frank, Geraldine Chaplin Opal, Robert Doqui Wade, Jo Ann Doster, Shelley Duvall Los Angeles/Martha,
Allen Garfield Barnett, Henry Gibson Haven Hamilton, Scott Glenn Soldato Glenn Kelly, Jeff Goldblum Uomo del tricycle, Barbara Harris Albuquerque, David Hayward Kenny Fraiser, Susan Johnson, Merle Kilgore Trout, Carol Mcginnis Jewel, Michael Murphy John Triplette, Allan Nicholls Bill, Dave Peel Bud Hamilton, Cristina Raines Mary, Bert Remsen Star, Gailard Sartain, Joyce Smith, Lily Tomlin Linnea Reese, Gwen Welles Sueleen Gay, Keenan Wynn Mr Green
Produzione:Landscape Films (Usa)
Distribuzione:Non reperibile in pellicola
Origine:Usa
Anno:1975
Durata:

160'

Trama:

A Nashville (Tennessee, USA) si prepara l'annuale festival del country music. La coincidenza con la campagna elettorale per il candidato alla presidenza Hal Phillip Walker induce i galoppini elettorali a strumentalizzare la popolarità dell'avvenimento di risonanza nazionale, provocando la sdegnosa opposizione di Barnett, marito e agente musicale della diva della canzone Barbara Jean, che alla fine l'inganno e il ricatto costringeranno a piegarsi. Durante la preparazione si intrecciano slogans politici ad un caotico viavai di cantanti più o meno famosi, talenti sconosciuti, aspiranti privi di capacità, impresari di complessi e di locali, personaggi svitati e divi del cinema sullo sfondo di moltitudini propense all'applauso. Nella girandola canora davanti al "Partenone" semicoperto dall'immenso nome del candidato politico, Barbara Jean, sempre malata e con il sistema nervoso distrutto, inonda il pubblico con la sua voce vibrante e carezzevole, finchè un soldato col complesso della mamma la uccide con un colpo di fucile. Dopo un primo smarrimento l'esibizione canoro-politica prosegue perché come dice l'ultima canzone, "Io non me la prendo".

Critica 1:Per cinque giorni grande giostra di 24 personaggi che fa perno sul festival canoro della musica country and western nella capitale del Tennessee dove si svolge anche un grande comizio per le primarie delle elezioni presidenziali. Scritto da Joan Tewkesbury, è il più importante film made in Usa degli anni '70 in cui la musica (27 canzoni) è la vera protagonista. Nuovo e insolito per la struttura narrativa, è una cronaca americana attraverso la quale si esprime l'anima di un popolo, di una nazione. Film senza indulgenze sulla politica americana, ma anche sulla maschera dolce e ignobile del fascismo quotidiano di matrice europea. Riguarda anche noi. Film sulla nevrosi, sul Sogno Americano che è diventato un Incubo, sugli Stati Uniti come società dello spettacolo e sulla natura dello spettacolo (del cinema). 5 nomination agli Oscar (film, regia, L. Tomlin, canzone, R. Blakley) e una statuetta per la migliore canzone: "I'm Easy" (di K. Carradine).
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Robert Altman (Kansas City, Missouri, 2 febbraio 1925) è uno dei protagonisti - forse il maggiore - della rinascita del cinema statunitense. La sua rivelazione risale al 1970, con la fragorosa satira di M.A.S.H. (M.A.S.H.), cui seguirono, su registri diversi, Brewster McCloud (Anche gli uccelli uccidono, stesso anno), McCabe and Mrs. Miller (I compari, 1971), Images (Images, 1972), The Long Goodbye (Il lungo addio, 1973), Thieves Like Us (Gang, stesso anno), California Split (California Poker, 1974).
Altman ha idee precise. “Vorrei” ha dichiarato “portare fuori strada gli spettatori. Vorrei spezzare questo rapporto monotono che lega il pubblico alle storie che esso chiede al cinema di raccontargli.” È possibile, se si mettono in crisi i meccanismi linguistici della comunicazione tra film e spettatore e si dissolve l'atmosfera di complicità ipnotica che si crea nel buio della sala di proiezione. Per ottenerlo, Altman agisce su due piani: su quello del racconto, evita di approfondire le psicologie dei personaggi e concentra l'attenzione sui loro comportamenti; su quello della forma cinematografica, s'ingegna di provocare “situazioni di disturbo” (fratture improvvise del ritmo, confusione di immagini “realistiche” e di evocazioni fantastiche in modo che siano indistinguibili, divagazioni senza scopo apparente).
Come accade ogni volta che ci si spinge su questo terreno insidioso e ancora poco esplorato, si corre il rischio del gratuito gioco intellettualistico, che impedisce, o attenua, la comunicazione e, perciò, la comprensibilità del testo. A un rischio che Altman accetta consapevolmente: una scommessa che talvolta lo vede sconfitto e talaltra, come in Nashville (girato in sette settimane, fra luglio e agosto del 1974), vincitore indiscusso. Qui voleva parlare, insieme, della degenerazione folcloristico-commerciale della musica popolare e della instabilità emotiva (e politica) del cittadino medio, di quell'average american su cui riposavano le sorti della nazione dopo il Vietnam, alla inquieta vigilia del bicentenario. Era un vecchio progetto, più volte affrontato e più volte messo da parte per la impossibilità di trovare un produttore che si accollasse il peso d'una iniziativa così imponente. Il ritardo fu benefico. Decantandosi e affinandosi, il soggetto si sciolse in quella articolazione libera, polifonica, casuale e frammentata che sola poteva consentire al regista di svolgere il suo discorso critico con la certezza di essere compreso.
Sono cinque giorni di baldoria sonora nella capitale della musica folk and country. Ventiquattro personaggi principali, più una folla di comprimari, entrano ed escono dalla scena (dalle molte scene, piccole e grandi, di Nashville), mentre in città il candidato (reazionario) alla carica di governatore, Hal Philip Walker, conduce la sua spregiudicata campagna elettorale. A queste marionette della parata canora, a questi emblematici esponenti del perbenismo borghese, non accade nulla. Cantano, fremono, discutono, chiacchierano, fanno l'amore, riscuotono applausi, guadagnano soldi, salvano la faccia, impazziscono, intrigano, si pavoneggiano, come avviene a chi voglia conservare (o conquistare) il potere dello spettacolo. Altman organizza lo spettacolo dello spettacolo, guidando le marionette nei meandri delle loro nevrosi e costringendole a confrontarsi in pubblico con se stesse. Da un avvio banale (nulla conta veramente per chi fa spettacolo di sé), come può essere l'arrivo d'una diva della canzone all'aeroporto, parte un film che gira a vuoto senza svilupparsi mai, ripetendo al. l'infinito le sue situazioni fisse (sulle scene, nella camere di albergo, per le strade, nelle case, all'ospedale). Personaggi che sembrano pittoreschi (Tom, il cantante bello impegnato in una ininterrotta fatica amorosa; Opal, la petulante cronista della BBC; Sueleen Gay, canterina stonata e spogliarellista goffa; Linnea Reese, madre amorevole e adultera sbadata; Haven Hamilton, impettito principe del country e spietato detentore del potere; L.A. Joan, patetica matta di provincia; Barbara-Jean, la diva sull'orlo del collasso nervoso: la mite e scentrata Albuquerque a caccia di un successo improbabile; John Triplette, cinico traffichino in relazioni pubbliche; Glenn Kelly, paracadutista in licenza; il vecchio Green che si aggira spaurito nei corridoi dell'ospedale dove la moglie sta morendo, e così via), ma che in effetti sono soltanto la proiezione delle fobie dell'autore, soffermatosi a riflettere sul caos che lo circonda.
La nota acuta del film giunge alla fine, durante l'esibizione dei cantanti dinanzi al Partenone (un vero e solido Partenone, in pietra), trasformato nella tribuna elettorale del candidato Walker, che ha mandato in giro per tutto il film un furgone munito di altoparlanti da cui escono slogan battaglieri. Barbara-Jean canta sul palco. Nella folla un giovanotto qualunque estrae una pistola e l'ammazza. Benché ferito, l'ottimo Haven tranquillizza la folla. Lo spettacolo deve continuare, la sua “immagine” dev'essere salva. Così, la sgangherata Albuquerque è gettata allo sbaraglio, canti e riporti l'ordine, in una situazione assai più crudele di quella che ha visto la morte di Barbara-Jean. Anche la tragedia annega nel mare dello spettacolo: casuale e anonima come tutto il resto. Solo lo spettacolo impone la sua presenza e la sua forza universale.
Questa folgorante composizione di facce e di suoni (e di eventi vuoti) - due ore e 40 minuti di proiezione - può ricordare la narrativa “cronistica” e fattuale degli anni trenta, quella del radicalismo rooseveltiano di un Dos Passos (Manhattan Transfer, The 42nd Parallel, The Big Money, per esempio). Molti fatti minuti e indistinti che sotto la denuncia nascondono l'aspirazione al consenso, alla solidarietà nonostante tutto. Il valore purificatorio di uno spettacolo (di un film) riuscito non è cosa da trascurare.
Autore critica:Fernaldo Di Giammatteo
Fonte critica:100 film da salvare, Mondadori
Data critica:

1978

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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