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Mio fratello è figlio unico -

Regia:Daniele Luchetti
Vietato:No
Video:
DVD:01
Genere:Drammatico
Tipologia:Diventare grandi, I giovani e la politica
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:ispirato al romanzo "Il fasciocomunista" di Antonio Pennacchi
Sceneggiatura:Stefano Rulli, Sandro Petraglia, Daniele Luchetti
Fotografia:Claudio Collepiccolo
Musiche:Franco Piersanti
Montaggio:Mirco Garrone
Scenografia:Francesco Frigeri
Costumi:Maria Rita Barbera
Effetti:Fabio Luongo
Interpreti:Riccardo Scamarcio (Manrico), Elio Germano (Accio), Angela Finocchiaro (madre), Massimo Popolizio (padre), Luca Zingaretti (Mario Nastri)
Produzione:Riccardo Tozzi, Marco Chimenz, Giovanni Stabilini per Cattleya – Babe Films
Distribuzione:Warner Bros. Italia
Origine:Francia – Italia
Anno:2006
Durata:

100’

Trama:

Le vicende dei fratelli Accio e Manrico che, sullo sfondo dell'Italia turbolenta degli anni '60 e '70, si trovano a preferire differenti percorsi di formazione e scelte di vita che li porteranno spesso a un duro confronto tra loro, senza però rinunciare mai a dimostrarsi reciproco affetto e solidarietà.

Critica 1:Veloce, vivace, ben scritto, ben costruito e ben recitato, tratto dal romanzo Il fasciocomunista di Angelo Pennacchi (Arnoldo Mondadori edizioni), Mio fratello è figlio unico di Daniele Luchetti racconta, dal 1968 per qualche anno, di due fratelli che si muovono tra le architetture razionaliste di Latina ex Littoria e di Sabaudia, città inventate dal fascismo. Il più bello dei fratelli, Riccardo Scamarcio, è buono, operaio e attivista sindacale, adorato dalle donne, molto popolare. Il più bravo, Elio Germano, diventa fascista con gli insegnamenti di Luca Zingaretti («Vedi la torre comunale? Fu costruita in 235 giorni»), partecipa ad azioni violente, a cortei con le catene e il saluto romano: ma non è detto che sarà sempre così. Il fratello (e la sorella) picchiano il fratello fascista perché è fascista; il fratello di sinistra tiene comizi, il fascista visita la tomba di Mussolini; si trovano uno contro l'altro negli scontri, negli assalti a concerti o convegni culturali di sinistra. Ma il fascista strappa la tessera quando, nonostante il suo intervento, i camerati danno fuoco all'auto di suo fratello. Cortei, manifestazioni, striscioni, botte: forse s'era dimenticato quanto fossero stati violenti gli Anni Settanta. Alla fine le vittime, le perdite, il pianto, la solitudine arrivano a capovolgere i ruoli, o a cancellarli.
Il film di Luchetti non è storico né politico: per la prima volta, la divisione politica è un fatto di famiglia. Si spiega l'approdo opposto dei due fratelli con gli opposti caratteri (apparentemente, l'eredità aggressiva è data dalla madre Angela Finocchiaro, bravissima, anziché dal padre mite e cattolico) e le opposte esperienze, le loro vite sono seguite come quelle di ragazzi diversamente idealisti. E' un film lieve, spesso divertente, certo non inconsapevole delle perenni lacerazioni italiane. Un po' paternalistico, un poco indulgente e consolatorio, ma ben fatto ed esatto, con una evocazione d'epoca esemplare, per fortuna non affidata prevalentemente alle canzoni.
Autore critica:Lietta Tornabuoni
Fonte criticaLa Stampa
Data critica:

20/4/2007

Critica 2:«Mio fratello è figlio unico» di Luchetti oltre a essere un buon film sta conquistando i botteghini. Bravo Scamarcio, sorprendente Elio Germano nei panni del fascista anni '60. Lo abbiamo sentito: ci ha parlato di politica, come la vorrebbe... Figlio unico? Per niente. Mio fratello è figlio unico, il nuovo film di Daniele Luchetti ispirato al romanzo Il fasciocomunista di Antonio Pennacchi, ha un sacco di fratelli: sono gli spettatori, che lo stanno premiando a suon di incassi e di affetto. È un film che suscita complicità anche se parla di conflitti. È la storia, ormai lo sapete, di due fratelli dell'Agro Pontino in un arco di tempo che va dai primi anni '60 alla fine dei '70, da un'Italia pre-sessantottina e pre-giovanile agli anni di piombo. Manrico il comunista, Accio il fascista che crescendo farà altre scelte nella vita. Il primo è interpretato da Riccardo Scamarcio, il divo del momento, presenza che al box-office sta sicuramente aiutando; il secondo è Elio Germano, classe 1980, un attor giovane sul quale il cinema italiano – è ufficiale - può cominciare a contare. Germano è un ragazzo dí sinistra «incuriosito e perplesso» dall'iter del Partito Democratico: «Ho seguito, sto seguendo. II nuovo "Pantheon" non mi convince, ma il dibattito sul nuovo partito è interessante. È la situazione della politica italiana in generale che mi sconcerta. Capisco la difficoltà di essere al governo, ma la politica non dovrebbe preoccuparsi esclusivamente dell'economia. Mi spiego, e vengo al film: studiando gli anni '60, mi sono reso conto che allora la politica era ancora partecipazione e volontà di cambiamento, mentre oggi sembra che la politica si scontri di continuo con realtà ineluttabili. Ad esempio: siamo contro la guerra, ma ci sono interessi economici superiori... siamo contro l'inquinamento e a favore delle macchine elettriche, ma ci sono interessi economici superiori... La politica è sempre condizionata da questi interessi. C'è sempre "altro". Mi sembra che la politica abbia subìto una deriva del senso: siamo immersi in contesti che non si possono discutere. Da artista, l'unica cosa che posso fare è mettere le cose in confusione, ribaltarle: mettere la politica di fronte alla sua scombinatezza. È quello che abbiamo tentato di fare in Mio fratello è figlio unico».
Tentato e riuscito. La cosa affascinante del film è proprio la fluidità ideologica, la capacità di mostrare (non dimostrare) che il fascismo e il comunismo potevano nascere anche all'intemo della stessa famiglia. «Accio è un personaggio che mi piace –continua Germano – perché è indipendente, ragiona o sragiona con la sua testa. Ha un disperato bisogno di partecipazione, di sentirsi utile, di esserci: e placa questa fame con i piatti che gli vengono serviti. Il primo è la religione, il secondo è questa idea mitologica del fascismo dalla parte degli "ultimi", il terzo è il '68, la sinistra extra-parlamentare. Sempre in modo estremo: quando è in seminario non si accontenta di diventare prete, vuole diventare santo, e se capisce di non farcela se ne va. Alla fine (unico modo di aiutare gli "ultimi" è fare qualcosa di concreto. La scena dell'occupazione delle case è molto bella e molto simbolica: come dire, prima di pensare alla rivoluzione renditi conto di come è ridotta casa tua. Lì si coglie la lezione di quell'epoca: ci si ponevano delle domande e si cercavano risposte, si sognava dì cambiare le cose. C'era, scusa la banalità, il sogno di un mondo migliore, non la rassegnazione solipsistica e isolazionistica di oggi». Certo, per chi c'era - come chi scrive – scoprire che gli anni '60 e '70 visti dal 2007 sono così belli è una piccola consolazione: a noi, nella distanza del ricordo, la nostalgia convive con la consapevolezza di aver fatto un mucchio di cazzate… «Sì, ma c'era la voglia di pensarsi come futuro, mentre oggi c'è la chiusura nel presente. Luchetti mi ha spiegato che prima degli anni '60 i giovani, come categoria, non esistevano. Sono nati in quegli anni, grazie al benessere e alla possibilità di diventare "soggetti" del consumo, ma anche grazie a una feroce volontà di autodeterminazione. Bisogna voler essere, per essere. È un po' quello che abbiamo fatto con questo film: (abbiamo girato sconvolgendo la sceneggiatura scritta, cercando soluzioni fresche per ogni scena, rifiutando tutto ciò che omologa il cinema al modello americano. Credo che sia venuto fuori un film molto italiano e al tempo stesso sanamente bastardo. E il meticciato, la diversità, sono valori fondamentali. Al cinema, in politica, nella vilta».
Autore critica:Alberto Crespi
Fonte critica:L'Unità
Data critica:

27/4/2007

Critica 3:
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Fonte critica:
Data critica:



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