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My Generation - My Generation

Regia:Thomas Haneke; Barbara Kopple
Vietato:No
Video:No
DVD:Elle U
Genere:Documentario musicale
Tipologia:La musica
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Barbara Kopple
Sceneggiatura:Barbara Kopple
Fotografia:Tom Hurwitz
Musiche:Joe Cocker, Michael Lang, Ossiz Kilkenny, Allman Brothers, Blind Melon, Blues Traveller, Crosby, Stills & Nash, Sheryl Crow, Cypress Hill, Dave Matthews Band, Dmx, Melissa Etheridge, Green Day, Jimy Hendrix, Janis Joplin, Limp Bizkit, Country Joe Mcdonald, Metallica, Joni Mitchell, Youssou N'Dour, Nine Inch Nails, Primus, Rage Against The Machine, Red Hot Chili Peppers, Rollins Band, Carlos Santana, John Schzr, The Who, Violent Femmes
Montaggio:Thomas Haneke
Scenografia:
Costumi:
Effetti:
Interpreti:Joe Cocker, Michael Lang, Ossiz Kilkenny, Allman Brothers, Blind Melon, Blues Traveller, Crosby, Stills & Nash, Sheryl Crow, Cypress Hill, Dave Matthews Band, Dmx, Melissa Etheridge, Green Day, Jimy Hendrix, Janis Joplin, Limp Bizkit, Country Joe Mcdonald, Metallica, Joni Mitchell, Youssou N'Dour, Nine Inch Nails, Primus, Rage Against The Machine, Red Hot Chili Peppers, Rollins Band, Carlos Santana, John Schzr, The Who, Violent Femmes
Produzione:Cabin Creek Films, Mikado Films, Road Movies, Filmproduktion Films
Distribuzione:Mikado
Origine:Germania, Italia, Usa
Anno:2000
Durata:

103'

Trama:

"My Generation" racconta i 30 anni di storia di Woodstock, dal concerto originale del 1969, passando per il venticinquesimo anniversario nel 1994 fino all'edizione del 1999. "My Generation" è una testimonianza divertente, commovente e molto provocatoria su Pace, Amore e Merchandising ed include le esibizioni di alcuni degli straordinari gruppi che hanno partecipato ai tre concerti, evoca le battaglie per la liberazione sessuale e sociale che hanno unito tra loro i figli dei fiori degli anni '60 e ci dice cosa ne e stato di quegli ideali e come sono stati assorbiti e modificati dalla generazione successiva.

Critica 1:Come sono cambiati, signora mia, Joe Cocker e Santana! My Generation di Barbara Kopple ce li fa vedere montando in parallelo sequenze girate a distanza di venticinque anni: durante la grande Woodstock del '69 e nel corso concerto-revival realizzato nel '94 dallo stesso organizzatore dell'"originale", Michael Lang. Però Barbara è troppo brava per limitarsi a fare il gioco del come eravamo e della nostalgia. My Generation, in realtà, mette in scena il confronto tra due generazioni: quella della Woodstock storica e quella delle due Woodstock del '94 e del '99. Se la prima fu il più grande evento collettivo della controcultura americana, le altre due sono rappresentative di tempi diversi, tempi in cui anche la controcultura è organizzata dalle multinazionali e serve a produrre quattrini. Sponsorizzato da discografici, bibite e gelati, l'evento musicale diventa un grande bazar di merci, i biglietti hanno costi proibitivi (135 dollari) per i suoi naturali destinatari, l'amore libero di ieri produce, oggi, preservativi col logo della manifestazione. Abbandonandosi al rimpiato di tempi forse migliori, di certo più entusiasmanti e vitali, e alla nostalgia per chi non c'è più (Jimi Hendrix, Janis Joplin) sarebbe molto facile sentenziare che la nuova è una generazione di atoni, demotivati individualisti: lo sostengono, del resto, i residenti della zona (che pure lucrano assai sul concerto), alcuni reduci della generazione "love & peace" e perfino qualche giovane intervistato. Eppure, dalle inquadrature rubate dal mare dei partecipanti e alternate con le esibizioni sul palco di Metallica, Red Hot Chili Pepper, Nine Inch Nails e degli altri, esce un messaggio che non sfugge alla Kopple (e che sottolinea bene Allen Ginzberg, partecipante-osservatore al concerto). Una gran voglia di aggregarsi, di sentirsi parte di un tutto, di riconoscersi celebrando un grande rito collettivo: motivazioni non diverse da quelle espresse nel documentario del 1970 Woodstock - Tre giorni di pace, amore e musica. E magari di tirare fuori la propria rabbia contro la logica della merce, come mostra il rogo finale dei simboli degli sponsor.
Autore critica:Roberto Nepoti
Fonte criticakwcinema
Data critica:



Critica 2:Si può dare appuntamento a un sogno perché ripassi tra 25 anni? Barbara Kopple e Michael Lang, organizzatore dei concerti rock a Woodstock, hanno pensato di sì e hanno realizzato un bel documento, My generation . In cui rievocano, contrappongono, resuscitano, con filmati, tre stagioni: le 16 ore del 21 agosto ’69, poi il ’94 e il ’99, quando la gente del posto puliva i fucili per accogliere “giovani sbandati e drogati”, come in Easy rider . Intanto la controcultura giovanile è diventata business, merchandising, sponsor; buttarsi nel fango una moda e il concertone costa ormai 40 milioni di dollari. Woodstock, da cui si girò nel ’70, a sangue caldo, un film di Wadleighmontato da Scorsese, fu un raduno storico per la cultura hippy “perché quelli erano i momenti dei veri e chiari ideali della gioventù”, dice oggi, ingrassato e ingrigito, il manager Lang. Barbara Kopple, due Oscar, gran documentarista, ha osservato nel corso del tempo sogni e incubi americani, ha filmato scioperi di minatori e operai. Ma soprattutto la musica, dal concerto dell’81 contro il nucleare alla tournée di Woody Allen. E da questo istruttivo, bellissimo, sinfonico My generation , fatto di suoni, volti, campi lunghi, l’espressivo anonimato, emerge la morale di un cambiamento in nome del plusvalore, a scapito delle (presunte) genuinità e innocenza del rock. Circola l’aria del tempo, si rivedono i figli dei fiori, i momenti cult di Santana e Jimi Hendrix, la gente che fa “moshing” cioè viene sopraelevata sulla testa del pubblico con mani birichine che se ne approfittano, e altri che rotolano nel fango. Oltre a qualche cartello “abbiamo bisogno di acido” e alle solite proteste, perché frattanto i regolamenti si sono fatti ferrei almeno come la volontà di trasgredirli. La controcultura verace, dice la Kopple, è diventata merce di scambio: ovunque bancarelle con l’industria del ricordo, mentre i giovani di oggi non ne possono più del mito del ’68. E alla fine il vecchio Ginsberg cita Yeats, un bel pezzo di sociologia applicata. Nella compilation del film ci sono leggendarie presenze (The Who, Cocker, Joplin, Metallica, Chili Peppers) e perfino un eroico italiano, Zucchero, con la sua parte di gloria.
Autore critica:Maurizio Porro
Fonte critica:Corriere della Sera
Data critica:

23/6/2001

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



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