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Tre colori: film rosso - Trois couleurs: rouge

Regia:Krzysztof Kieslowski
Vietato:No
Video:RCS
DVD:San Paolo Audiovisivi
Genere:Drammatico
Tipologia:Storia del cinema
Eta' consigliata:Scuole medie superiori
Soggetto:Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Piesiewicz
Sceneggiatura:Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Piesiewicz
Fotografia:Piotr Sobocinski
Musiche:Zbigniew Preisner
Montaggio:Jacques Witta
Scenografia:Claude Lenoir
Costumi:Corinne Jorry
Effetti:
Interpreti:Irène Jacob (Valentine), Jean-Louis Trintignant (Giudice), Frédérique Feder (Karin), Jean-Pierre Lorit (Auguste), Samuel Le Bihan (Il fotografo), Juliette Binoche (Julie), Roland Carey (Il trafficante), Teco Celio (Il barman), Jean Marie Daunas (Custode del teatro), Julie Delpy (Dominique), Bernard Escalon (Il negoziante di dischi), Elzbieta Jasinska (La moglie), Jean Schlegel (Vicino), Marion Stalens (La veterinaria), Paul Vermeulen (Amico di Karin), Zbigniew Zamachowski (Karol)
Produzione:Coproduzione Mk2 Productions, France 3 Cinema, Paris - Cab Productions, Lausanne - Tor Production; Varsavia
Distribuzione:Cineteca Lucana
Origine:Francia – Polonia - Svizzera
Anno:1994
Durata:

99'

Trama:

Valentine, fotomodella e studentessa appena ventitreenne, vive sola a Ginevra. Il fidanzato, tipo geloso ed assillante, a volte le telefona da Londra, dove lavora. Una sera, investito un cane, lei lo riporta ad un magistrato in pensione, cui la bestia è sfuggita. A 65 anni, questi è un solitario, scorbutico e di rare parole, la cui sola attività consiste nello spiare gli abitanti delle villette vicine e nell'intercettare le telefonate, anche le più intime. Ma, sia pure indifferente all'incidente occorso al cane, il giudice ha un po' di interesse per Valentine, la sua ingenuità e simpatia. Uno strano rapporto, fatto comunque di timidezza e discrezione, si instaura fra i due, mentre nelle strade ginevrine un gigantesco manifesto riproduce il volto della ragazza e mentre in città altra gente vive la propria vita quotidiana: tra gli altri la coppia formata da Karin, una bionda che lavora per i Servizi meteorologici ed Auguste, il suo innamorato, che sta per affrontare gli esami per magistrato (abitante vicino a Valentine, che peraltro non conosce). Valentine non ha il coraggio di denunciare alla Polizia il traffico telefonico del giudice che si è autoaccusato e ci sarà un processo (casualmente presieduto da Auguste, divenuto nel frattempo procuratore). Il giudice infine si confida con lei: molti anni prima la moglie lo aveva spudoratamente tradito e lui ne aveva condannato l'amante (arrestato per un altro reato). Da questo la fine della carriera e della tranquillità del giudice, soggetto a rimorsi. Valentine, volendo rivedere colui che dice di amarla, decide di partire per Londra con il traghetto che, per una violenta tempesta, affonda nella Manica. Nella catastrofe solo alcuni sono i superstiti. Fra coloro Valentine ed Auguste: lei, che ha dato con la sua innocenza un filo di speranza al giudice; lui che, dopo aver visto Karin nelle braccia di un focoso ammiratore (come era capitato al giudice stesso), ha appena cominciato il proprio lavoro.

Critica 1:A Ginevra le vicende parallele della modella Valentine (I. Jacob) e di un neolaureato in legge (J.-P. Lorit) che si congiungono soltanto nel finale. L'azione fa perno sull'ambiguo rapporto tra Valentine e un ruvido giudice in pensione (J.-L. Trintignant) che perversamente spia le telefonate dei suoi vicini, ma che, intravista nella ragazza e nel suo generoso impegno verso il prossimo un'occasione di uscire dal tunnel della sua misantropia, si autodenuncia. E il film che chiude la trilogia, scritta con Krzysztof Piesiewicz, sui colori della bandiera francese (rosso = fraternità), virtù che i due autori intendono soprattutto come comunicazione, con tutti i suoi diaframmi e le sue difficoltà. Al di là del suo splendore figurativo, del fascino sonoro e dell'eccellente interpretazione di Trintignant e della magica Jacob, ha la qualità della leggerezza anche nella dialettica tra caso e necessità. E un ottimo esempio di cinema antiautoritario che lascia libero lo spettatore nella lettura e nell'interpretazione di un testo intessuto di rime interne, coincidenze, ripetizioni, rimandi simbolici. Ultimo film di Kieslowski (1941-96).
Autore critica:
Fonte criticaIl Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli
Data critica:



Critica 2:Perché rosso? Perché di qualche colore devono pur essere gli indizi (la jeep, il golf, il fiocco sull'antenna del telefono, la copertina del disco di Van Den Budenmajer, il guinzaglio del cane) che fanno presagire gli incontri tra i personaggi. Perché i legami di fraternità (terzo capitolo della trilogia) sono legami di sangue. Perché la fotografia gigante di Valentine, e l'ultima immagine che la richiama, non possono avere uno sfondo rasserenante, poniamo verde. Il rosso è il colore del dramma, e Film Rosso è il più drammatico della trilogia di Kieslowski.
E ancora: perché la vita del neo-giudice Auguste rispecchia quella del giudice in pensione (magnificamente) interpretato da Trintignant? Perché il giudice vecchio non si può innamorare di Valentine, ma un suo gemello giovane sì. Perché esistono due tipi di caso: un caso apparentemente casuale, quello di eventi imprevisti e senza logica (Valentine investe una cagna, trova del chewingum nella serratura di casa); e un caso apparentemente significativo, quello delle coincidenze e del déjà-vu. Il parallelismo Auguste-giudice appartiene alla seconda categoria. Il primo tipo di caso finisce sempre col portare da qualche parte (Valentine investe il cane e incontra il giudice; non riesce ad entrare a casa e rispondere al telefono, e fa ingelosire il fidanzato). Il secondo caso suggerisce l'esistenza di un disegno arcano, ma rimane statico, come un arabesco. Non significa nulla, o meglio: significa niente. Perché un film sul caso deve pur porre domande senza risposta, domande che è inutile formulare. Perché così è la vita.
È il migliore dei mondi possibili quello in cui Valentine sopravvive a un incidente per incontrare Auguste? Forse sì. Film Rosso finge di azzerare il senso della casualità del vivere, per ristabilire in realtà un senso ben forte. Film Rosso non poteva essere giallo. Auguste non poteva fare il medico, e avere una fidanzata fedele. Altrimenti addio film. lrène Jacob non poteva essere Juliette Binoche: ci voleva una faccia da agnellino che si ribella al non-senso del mondo, mica una faccia da invasata che scava le abissali profondità del reale. Sì, ma perché metterci in mezzo un fratello (anzi, ancora più complicato: un fratellastro) drogato? Perché il giudice gioca con le bretelle e rovescia l'acqua calda? Ridondanze di sceneggiatura, ma anche indizi che cercano di incrinare un quadro fin troppo compatto e chiuso nella propria perfezione autosufficiente. Ma forse c'è più di un motivo anche per questo.
Valentine, poco prima della fine, aiuta una vecchina decrepita a infilare una bottiglia in un apposito raccoglitore. Non mi ricordo se fosse la stessa vecchina che nessuno aiutava in Film Blu e in Film Bianco. Fatto sta che, alla fine della trilogia, alla fine del suo cinema (almeno secondo le promesse, o minacce), Kieslowski non ha potuto fare a meno di inserire una piccola parabola che minaccia di far crollare tutto il suo edificio costruito sul caso. Il senso c'è: siate più buoni, amatevi l'un l'altro. Anche il giudice misantropo alla fine coccola un cucciolo (tenerezza e cinguettii in sala). Fraternité. Niente di male, per carità. Nessuno ha detto che essere cattivi sia più poetico e profondo che essere buoni. Ma, come nel sopravvalutatissimo Decalogo 5, non ho bisogno che me lo si venga a dire. Non ho bisogno delle chiose e delle didascalie.
Film Rosso non propina nulla di altrettanto terrificante del videoclip sul tema dell'agapé (che non è l'amore-passione alla Bataille che si può trovare nei live show di Pigalle) che chiudeva Film Blu. Non c'è nemmeno quella fastidiosa trasfigurazione del quotidiano, per cui immergere una zolletta di zucchero in una tazzina diventa un poema visivo (ancora Film Blu), carico di tremore e meraviglia. È sorprendentemente sobrio e poco arzigogolato (malgrado certi inutili movimenti di macchina), per quanto resti un teorema che si autodimostra. In fondo è uno dei film più riusciti di questo regista. Ma se a tutti i perché si può rispondere appellandosi alla logica (o non-logica) interna del racconto, rimangono delle piste narrative senza seguito. Il fratellastro di Valentine si salverà dalla droga? Che fine ha fatto il festoso cane di Auguste? E Karin, la traditrice, che doveva andare in barca sulla Manica col suo bello: è stata spazzata via dalla tempesta?
Lasciare aperti questi quesiti, per ingenui e ininfluenti che siano, significa non uccidere un film, lasciarlo respirare. Anche il Dio di Leibniz, pur avendo previsto tutto fin dall'inizio, lasciava pur sempre all'uomo il libero arbitrio. E una cosa i demiurghi Kieslowski e Piesiewicz non hanno saputo o voluto stabilire, per fortuna: il giudice Trintignant è un demiurgo o una marionetta?
Autore critica:Alberto Pezzotta
Fonte critica:SegnoCinema n. 68
Data critica:

7-8/94

Critica 3:
Autore critica:
Fonte critica:
Data critica:



Libro da cui e' stato tratto il film
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